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Non può finire così

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di Mauro Saglietti. Oggi ospito volentieri il racconto di un Tifoso vero, Ravera Ajra che ci parla di un derby indimenticabile.
Redazione Toro News

Cari amici, prosegue anche questa settimana e per tutto il mese di agosto, la pubblicazione delle "Istantanee" che mi avete inviato. Oggi ospito volentieri il racconto di un Tifoso vero, con la T maiuscola, che ci parla di un derby indimenticabile. E fa una dedica speciale...

Non può finire così

di MARCO RAVERA AJRA

Il 14 ottobre 2001 era giorno di derby, ovvero il calendario offriva Juve-Toro. Il derby per me non è solo una partita di calcio, ma rappresenta lo scontro tra due modi di intendere non soltanto i valori dello sport, ma anche la vita, l'amore, l'amicizia, la lealtà.A dire il vero quel derby, come tutti gli altri del resto, iniziò almeno una settimana prima. Le giornate di scuola e studio non passavano mai e la mente, gira e rigira prima o poi lì andava a parare. Il tempo che mi separava dallo stadio, dalla curva, dalla partita pareva eterno. Fu come sempre uno stillicidio. Ricordo che mi tormentai per tutto il sabato sera nel cercare una qualsiasi tv privata che parlasse nel dettaglio delle formazioni, delle possibile strategie da adottare nel fronteggiarli. Già, come avremmo mai fatto a fronteggiarli? Fino a quel giorno loro viaggiavano spediti al comando della classifica insieme con l'Inter. Noi eravamo penultimi con due soli miseri punticini. Solo il Venezia stava facendo peggio di noi, ultimo ad un punto. La nostra stagione si era forse fermata al primo tempo della prima di campionato ad Udine. Due a zero con reti di Galante e di Osmanovski (goal all'esordio in granata, che risulterà il suo primo ed unico). Peccato che nella ripresa avvenne la rimonta sul due a due dei friulani ed in tutte le altre partite strappammo solamente un punto.Sembrava davvero impossibile opporre resistenza alla gobba di Buffon, Nedved, Trezeguet, Del Piero e compagni.Io e mio cugino Simone però ci credevamo. Eccome.Quello sarebbe stato il mio secondo derby vissuto in Maratona dopo quello dello scialbo 0-0 di due anni prima. Per Simone era il primo.Luigi, un collega di mio padre, ci trovò i biglietti di curva: 50.000 Lire. Un'enormità, ma si sa per questi eventi e per la fede granata non si bada a spese.Finalmente arrivò la domenica mattina ed alle undici via tutti, accompagnati in macchina dalle nostre madri, che avremmo lasciato al parcheggio dello stadio per poi attenderci al ritorno. Arrivammo allo stadio attorno a mezzogiorno e ci mettemmo subito a far la fila davanti ai cancelli della Maratona. Con noi portammo la mia granatissima nonna, all’epoca settantasettenne che proprio non volle sentire ragioni a guardarsela da casa. Per lei fu la prima volta al secondo anello, visto che abitualmente andava con le amiche di sempre al primo, dove la partita si vede più in santa pace.Entrammo alle ore 13. L'ingresso fu un autentico tuffo al cuore condito da un mix di amore per il Toro allo stato puro, di orgoglio di esserci, ma anche di consapevolezza che molto probabilmente qualche ora più tardi ne sarei uscito fra le lacrime.In quei momenti avrei voluto che il tempo non passasse mai. Fra uno sfottò alla curva opposta e cori di incitamento da pelle d'oca, le ore 15 si avvicinarono sempre più. Ci trovammo subito bene con coloro che ci stavano attorno, ricordo davvero ragazzi e ragazze affabili, simpatici e sempre più tesi come noi mano a mano che il tempo passava.

Mia nonna era ovviamente la mascotte della compagnia. Mio cugino era imperturbabile, pareva addirittura tranquillo. Partirono poi le coreografie, imperiosa la nostra con i colori del Toro e della città, ridicola la loro, condita da errori ortografici piemontesi ed italiani... All'annuncio della nostra formazione, lo stupore: Ferrante ancora fuori per Osmanovski, Semioli all'esordio da titolare in A come terza punta in un improbabile 4-3-3 e Cauet al posto di Vergassola in mezzo al campo. Oddio. “Così ci massacrano” pensammo tutti in quella piccola porzione di Maratona.Da li in avanti una bolgia tremenda, un mare di tifo e di cori per il Toro e poi, finalmente, il fischio d’inizio. I primi dieci minuti furono confortanti e culminarono con una mega palla gol divorata proprio da Osmanovski che da pochi passi la telefonò a Buffon. Poi l'inizio del massacro. Il cagnaccio De Ascentis la appoggiò orizzontalmente in modo maldestro, si infilò Del Piero, che in un amen giunse davanti a Bucci. Staffilata imprendibile e gol. Uno a zero. Nemmeno il tempo di capire che diavolo fosse successo ed erano già due. Tudor tenuto in gioco da Delli Carri insaccò da pochi passi su un cross a pelo d'erba dalla sinistra. Dieci minuti dopo fu di nuovo Del Piero a trafiggerci. 3-0 era il ventiseiesimo minuto. Era resa incondizionata. Non avevo nemmeno più la forza di imprecare, contro chi poi? Nemmeno quello sapevo. I gobbi giocavano sul velluto, sembrava quasi non volessero affondare i colpi per risparmiarsi in vista della Champions che avrebbero giocato il mercoledì dopo. Oppure semplicemente per continuare a prenderci per i fondelli. La Maratona non mollò mai di incitare la squadra, ma ogni giocatore nostro veniva coperto di insulti ad ogni palla persa, perché quello che stavamo vedendo non era il Toro, ma un gruppo di giocatorini spaesati in balia dell’avversario. In un derby nessuno lo poteva tollerare. Nessuno.Gli "olè" della loro curva ogni qual volta si passavano la palla erano avvilenti alle mie orecchie e nemmeno riuscivo a schiumare rabbia per quell'affronto così enorme che stavo subendo. Un tremendo affronto che tutto il popolo granata stava subendo. I sms degli amici gobbi arrivavano a grappoli sul mio cellulare con la solita spavalderia che da sempre li contraddistingue. Mi ricordavano il 5-0 del ’95 ed intimamente pensai che stavolta sarebbe potuta finire anche peggio.Arrivò finalmente la fine del primo tempo. Fischio liberatorio come per un pugile sull’orlo del knockout. Mi convinsi che non sarei rimasto lì dentro a farmi prendere per i fondelli dai gobbi nemmeno un minuto di più. Basta era troppo."Simo che ne dici ce ne andiamo? Io voglio andare via, basta!" Lui mi rispose "Ma no dai... con quel che abbiamo pagato il biglietto... cinquanta mila! Restiamo fino alla fine... tanto..." e poi sotto voce mi disse "Se la partita si mettesse ancora peggio potremmo sempre guardare quella gran bella figliola che abbiamo davanti, no?". "Certo" pensai, "Hai ragione è proprio bella". Non saprei nemmeno più che faccia avesse quella bella ragazza mora che stava davanti a noi col fidanzato. Ricordo solo gli occhi. Degli occhi azzurri splendidi, quasi quanto quelli di una meravigliosa ragazza che cinque anni dopo avrebbe fatto in tempo ad incendiarmi il cuore prima che il destino infame e maledetto decidesse di portarsela via per sempre.E poi che figura avrei fatto con Simone? Le avrei fatto spendere 50.000 Lire per vedere appena un tempo di partita?"E va bene, restiamo" Dissi. “Poi mia nonna chi la schioda più di qui? Ma al quarto io me ne vado, voi fate quello che volete”.Fu la scelta più azzeccata della mia vita.

Molte volte penso a quello che mi sarei perso andandomene ed a quello che si sono persi quelli che invece lo hanno fatto per davvero, pensando di aver fatto in quel momento la scelta giusta per non essere umiliati ulteriormente dal nemico più acerrimo.Il segno della svolta fu impercettibile, ma significativo. Quasi tutti i nostri erano già in campo a passeggiare su e giù per il campo nervosamente ben prima che rientrassero i gobbi. “Quando il Toro carica, travolge” recita uno striscione che campeggia sempre in Maratona. E fu proprio quello che successe. Undici tori scatenati aspettavano gli eterni avversari. Gli stessi smidollati che pochi minuti prima si erano fatti umiliare come dei dilettanti al cospetto di campioni affermati. Non so cosa scattò in loro, forse capirono che una umiliazione del genere non potevano concedersela e concederla a noi tifosi che continuavamo a tifare anche sul 3-0. Forse la giusta carica data dal Camola con le sue strigliate, forse la ribellione agli schemi presidenziali tutt’altro che trasparenti dell’epoca, o semplicemente tutte le cose insieme, condite anche da una impostazione più sensata della formazione. Fuori Semioli ed Osma, dentro Vergassola e Ferrante, uno che di gol alla gobba se ne intendeva eccome… E la musica cambiò. I nostri partirono a spron battuto, i gobbi invece a fari spenti convinti di gestire il risultato senza troppe preoccupazioni con la tipica spocchia dei campioni in bianconero. Lancio di Ferrante, Lucarelli dimenticato da Thuram si trovò e davanti a Buffon, che trafisse con un potente diagonale sotto la traversa. Mini boato della Maratona. Mini, sì, perché nessuno ancora lontanamente credeva in una rimonta. Io stesso neanche esultai, anzi pensai che forse avremmo limitato la figuraccia. Il boato più grande avvenne qualche secondo dopo per il gesto di Lucarelli che nell’andare a raccogliere la palla infondo alla rete ci invitò a crederci brandendo i pugni. Fu quella la scintilla che fece incendiare tutti noi in Maratona. Si alzò un boato gigantesco dopo quell’incitamento. Cominciammo a crederci o quanto meno a sperare, prendemmo coscienza che avremmo dovuto provare a spingerli anche noi i palloni dentro la porta della juve, sotto la nostra curva per realizzare il miracolo.Era un’altra squadra la nostra, certo molto per demerito dei gobbi, frastornati ed incapaci di risvegliarsi dal torpore nel quale erano caduti a fine primo tempo. Passò poco, davvero poco e Tonino Asta, in slalom andò via a due uomini e Thuram fu costretto ad atterrarlo dentro l’area. Rigore! Ricordo solo Tonino con “gli occhi della tigre” come Rocky di Silvester Stallone. Sfogò tutta la sua rabbia mista a felicità per il rigore conquistato. Per me poteva già anche bastare così. Il Toro, il vero Toro lo avevo visto quel giorno. Al momento della battuta di Ferrante ci abbracciammo tutti nella nostra porzione di Maratona. Tanta tensione e poi l’urlo di gioia. Palla da una parte, Buffon dall’altra. 3-2. Ci credavamo tutti ora. Tutti. Tutti. “Simo non può finire così”, “Non può finire così” Dentro me ero convinto che avremmo potuto pareggiare, ma temevo i loro possibili contropiede. O 3-3 o 4-2 per loro, pensavo. Non pensavo ad altro e sapevo che non poteva finire 3-2. Infatti loro sfiorarono più volte il quarto goal prima con Trezeguet e poi con Salas (Due grandi parate di Bucci) e trattenemmo il fiato quasi a soffocarci. Già nel frattempo, nella girandola delle sostituzioni, erano entrati Salas per Del Piero fra le loro fila e Maspero per Lucarelli per noi. Salas e Maspero. Due uomini molto diversi tra loro che decisero, nel bene per noi e nel male per loro, quella indimenticabile sfida. Campione di fama mondiale il cileno, onesto gregario dal piede fino il nostro. Veniamo al momento della gioia immensa ora. Quella regalataci proprio da quell’onesto gregario dal piede fino che risponde al nome di Ricky Maspero. Sventagliata di Castellini a cambiar gioco sulla fascia opposta ancora per Tonino Asta. Il capitano mette giù la palla, alza la testa e pesca Ferrante in area con un preciso cross. Colpo di testa del nostro n.94 a botta sicura sul secondo palo e… miracolo di Buffon che la allunga sulla destra.

Non so come fece Ricky Maspero ad essere lì. Nessuno lo aveva visto perché tutti guardavano al centro dell’area di rigore. Forse ce lo aveva mandato il suo istinto o forse lo avevamo attirato noi lì col pensiero e con la fame di impresa che avevamo in quel momento. Fatto sta che Ricky si avventò in scivolata su quel pallone che attraversava l’area piccola della Juve, impattò col piede in modo perfetto e la spinse dentro nonostante Buffon fosse comunque riuscito ad avventarsi sul pallone che però era già entrato in porta. 3-3. Incredibile, inimmaginabile solamente tre quarti d’ora prima.

Un miracolo si era materializzato sul Delle Alpi. Loro erano increduli, noi anche. Ma noi dalla gioia. Abbracciai chiunque mi capitasse a tiro in mezzo a quella bolgia, urlando a squarciagola dalla felicità. Mi avvinghiai a mio cugino Simone e sembrava quasi che facessimo a botte dalla scarica di strattoni di esultanza che ci scambiammo. Una gioia indescrivibile che a parole non riuscirei mai a descrivere in modo corretto per far capire cosa intendo a coloro i quali leggono.Una volta ripreso il gioco ancora non ci capacitavamo di ciò che era successo. Sapevamo che mancava poco alla fine, all’impresa. Poco, ma non era finita. C’era ancora da scrivere l’ultimo e forse più emozionante capitolo di questo meraviglioso e perfetto thrilling. Stavamo soffrendo di brutto infatti. Loro premevano non poco per cercare ancora di vincere la partita e cancellare l’onta di una così colossale, epica rimonta da parte nostra.Cross in mezzo dalla destra, la palla pare perdersi dall’altra parte, ma l’arbitro fischia. E’rigore per la Juve. Manca un minuto. Ci cadde il Mondo addosso. No, così no! Su una loro ennesima ruberia no. La loro curva esplose facendo da contraltare alla nostra cieca rabbia. Dalla curva il rigore ci parve inventato. Un pretesto per dare loro l’opportunità di vincere e cancellare la nostra impresa. Visto dalla tele devo ammettere che il contatto tra Tudor e Delli Carri ci fu, non da rigore, ma il nostro difensore diciamo che non fece nulla per non indurre l’arbitro a fischiare. Diciamo che fu proprio pollo nel dare il pretesto a Tudor di lasciarsi andare accentuando il contatto. Per me era scontato al 100% che si sarebbe perso ora. Ricorderò perennemente che mio cugino mi disse in Piemontese: “A l’è nen dit ca lu sbagliu nen…”. “See… bel film hai visto Simo…” gli risposi io. Andò Salas a batterlo e…

Di nuovo l’incredibile prese forma al Delle Alpi. Palla sopra la traversa, alta, alle stelle, in curva!!!!Urlai di tutto contro la “Squadra avversaria” tutta la rabbia che avevo dentro per ciò che mi parve un furto legalizzato e che la sorte, finalmente dalla nostra parte, aveva sventato. Mi buttai quasi sul muro di folla esultante che avevo di fronte, dimenticando tutto e tutti abbracciando nuovamente chiunque mi capitasse a tiro, vivendo una delle gioie più grandi di tutta la mia vita. Sentivo profumo di giustizia in quegli attimi e pensai nell’esultanza pazza che per una volta tanto il Mondo era anche dei giusti.

Non capii più nulla. Alla ripresa del gioco e quando si calmarono leggermente le acque notai che stavo vedendo il campo da una prospettiva strana, mi sembrava più schiacciato, più vicino di prima. E’l’ubriacatura per quello che è successo pensai. Tant’è che mi girai verso mio cugino e mia nonna per raccontarglielo. Erano spariti. Non c’erano né a destra, né a sinistra. Allora cominciai a guardarmi intorno, temendo soprattutto per mia nonna vista l’età e l’impeto dell’esultanza generale. Mi voltai e vidi un puntino biondo su in alto. Era mio cugino con di fianco mia nonna. Ecco perché vedevo il campo in quel modo strano. Non avevo perso il senso della misura.Nell’esultanza avevo disceso ben sei seggiolini della curva senza accorgermene. Li contai risalendo verso di loro. Come detto erano sei. Devo ancora capire oggi a distanza di sei anni come feci a fare una cosa simile senza averne la minima percezione. Potere dell’esultanza, della felicità, di quel profumo di giustizia che sprigionava quella domenica l’aria del Delle Alpi. Potere dell’essere granata.Dopo questo siparietto notai che l’arbitro fischio la fine. L’impresa era compiuta. Piansi fino al ritorno in macchina dalla gioia, abbracciando di continuo i miei eroici compagni di giornata. Simone e la mia nonna. Riabbracciammo le nostre madri una volta tornati alla macchina. Ed ascoltammo il loro racconto di ciò che avevano visto dal di fuori. Lacrime di disperazione a fine primo tempo sulle facce di quelli che uscivano. Lacrime di gioia sulle nostre e su tutte le altre facce che sono uscite dallo stesso posto soltanto cinquanta minuti più tardi. Questa è la magia che fece il nostro Toro quel giorno.

Soltanto quando giungemmo a casa scoprimmo la causa dell’errore dal dischetto di Salas. La piccola buca scavata proprio da Maspero sul dischetto del rigore coi tacchetti. L’effetto fu presto comprensibile. La palla calciata forte urtò su quell’asperità che la fece schizzare verso l’alto. E fuori dalla porta. Era la ciliegina sulla torta. Rimontare tre goal alla juve, da 3-0 a 3-3, subire un rigore inesistente al ’90, e causare con una malizia del genere un loro errore dal dischetto era inimmaginabile. Nemmeno il miglior scrittore di gialli avrebbe potuto disegnare una trama del genere. E’ meraviglioso per noi granata pensare di aver beffato la Juve miliardaria degli Agnelli, di Lippi, Buffon, Nedved, Trezeguet, Del Piero, Moggi ed i suoi amici arbitri in questo modo. Nell’era della super tecnologia, dei telefonini che già allora per loro risolvevano tutto, di Internet e della new Economy, era bastato un piccolo, modesto e povero solco sul dischetto del rigore per mandare tutto a monte. Una malizia, un’astuzia d’altri tempi insomma.Dopo questo racconto fiume di quella che posso senz’altro definire la giornata più bella ed emozionante della mia vita, a distanza di quasi sei anni dico dei “Grazie” e faccio delle dediche.Grazie a Luigi, il collega di mio padre, che ci procurò i preziosi biglietti.Grazie a Simone, a mia nonna, a mia mamma e Lucia (la mamma di Simone) per avermi accompagnato ad assistere alla giornata più bella della mia vita.Grazie a quella sconosciuta ragazza che ci ha convinto a restare a fine primo tempo per la sua bellezza ed avvenenza.Grazie a Lucarelli, Ferrante, Maspero, Camolese ed a tutti i ragazzi che scesero in campo in quell’indimenticabile domenica.Grazie alla Juventus Football Club. Sì avete capito bene, grazie alla Juventus Football Club. Perchè è anche grazie alla sua decisione di aver fissato all’esorbitante prezzo di 50.000 Lire i biglietti di curva Maratona se sono rimasto a godermi quel mitico secondo tempo!Infine le dediche.Dedicato a Simone perché quella giornata è uno dei maggiori collanti della nostra amicizia.Dedicato a mia nonna Alba perché ogni qual volta litighiamo, se per caso ricordiamo quella giornata, alla fine chissà come mai, facciamo sempre la pace.Dedicato a chi nella vita si trova metaforicamente sotto per 3-0. Affinchè arrivi anche per lui quello che in apparenza pare un misero golletto, che condito però da un gesto “alla Lucarelli” di una persona cara possa fargli scattare quella scintilla in grado riportarlo alla ribalta.Dedicato a chi periodicamente subisce angherie dai più prepotenti perché un’innocua, ma astuta genialata “alla Maspero” possa far sì che abbiano la meglio vendicandosi in un colpo solo da tutte le ingiustizie subite.

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