"C'è un filo rosso che corre da Superga a corso Re Umberto, dalla tragedia del Grande Torino a quella che colpì Gigi Meroni: il filo di una bellezza interrotta un istante prima che potesse raggiungere il suo apice. Come il 4 maggio 1949 un cielo inclemente si portò via la squadra che aveva vinto tutto e avrebbe potuto vincere ancora di più, così il 15 ottobre 1967 una tragica sequenza rubò agli occhi ed ai cuori dei tifosi granata e di tutti gli appassionati italiani un talento che pareva ad un passo dall'esprimersi nella forma più pura che il suo estro potesse concepire.
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Cinquant’anni dopo, è ancora Gigi Meroni
L'ala granata perdeva la vita il 15 ottobre del 1967. Una ferita lunga mezzo secolo
"Sono passati cinquant'anni da quel fatale passo indietro che spezzò la vita di Gigi Meroni, nella serata libera concessa dal tecnico Edmondo Fabbri successiva al bel successo sulla Sampdoria per 4-2. Cinquant'anni dal momento che ha cementificato la natura profondamente tragica che rende il Torino una squadra diversa da tutte le altre.
"Si dice sempre che l'intera Italia era 10 anni dietro a Gigi Meroni in termini di moda e stile di vita. Eppure, in campo, il suo talento fluiva nello scorrere di un presente che la Farfalla Granata era in grado di piegare al suo volere. Lì non c'erano ostacoli di mentalità o generazione che potessero impedire a chicchessia di farsi ammaliare dalle giocate del campione con la 7, che aveva conquistato Torino e stava affascinando l'intera Penisola.
"Ora, a distanza di cinquant'anni, di Meroni resta la dolce malinconia di chi se l'è visto scappare sotto il naso, proprio quando il meglio sembrava dover arrivare. In chi non ha vissuto quei momenti, ed è dovuto affidarsi ai vari reperti audiovisivi per provare a capire chi fosse quel talento eclettico che seppe incantare con la palla tra i piedi, Gigi invece rappresenta una figura irrisolta e irrisolvibile, il cui fascino in campo tracima le scarse testimonianze video e percorre sentieri cui le parole non arrivano.
"Cinquant'anni dopo, il Torino piange ancora Gigi Meroni, e si stringe al suo ricordo o alla sua idea, ritrovando la propria unica e indissolubile identità. Un'identità in cui una ferita lunga mezzo secolo ha tracciato un solco nel tempo che ancora non accenna a rimarginarsi, che torna a sanguinare ogni qual volta si passi da quelle parti di corso Re Umberto, che la fa riscoprire viva nell'amore per uno spirito libero e per quel corpo che con tanta grazia sapeva assecondarlo.
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