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Settantuno anni fa, dopo due giorni dal boato che spezzò 31 vite sul duro e impietoso terrapieno della Basilica di Superga, Torino dovette fare i conti con l’amara realtà dei fatti. In un clima ovattato, il 6 maggio 1949 vennero celebrati i funerali degli Invincibili e più di mezzo milione di persone – circa 600.000 i presenti che saturarono le vie della città – trovandosi davanti ai feretri dei caduti, si rese bruscamente conto di non far parte di un brutto sogno.
IL TRIBUTO - Alle esequie parteciparono delegazioni di tutte le squadre italiane e molte rappresentanze di compagini straniere. Ottorino Barassi, Presidente della Federazione Gioco Calcio, fece l’appello, come se gli Invincibili dovessero scendere in campo. Lesse i nomi di quegli uomini che da lì a poco avrebbe nominato Campioni d’Italia per un’ultima triste volta, dei giornalisti e dei membri dell’equipaggio. Da Palazzo Madama, il corteo con le salme delle vittime del terribile schianto sfilò tra le ali di una folla, o meglio di una famiglia, piegata dal peso dell’evento. Generazioni diverse, tra chi era nonno e chi nipote, strette in un gigantesco abbraccio che, in questo periodo che ci obbliga a stare distanti, prende ancora più significato. Parte dei feretri venne inumata al Cimitero Monumentale, parte nei cimiteri dei loro luoghi natii, ma in verità mai si sono divisi.
IL RACCONTO - “La città era tutta per strada quel giorno: nessuno era voluto restare in casa mentre passava il Torino. Fabbriche, uffici, negozi serrati. Gente e bandiere da tutta Italia in un pellegrinaggio d’affetto. Lunghissime ore di strazio: una via crucis di strada in strada, dietro quell’interminabile colonna di fiori e di morti”, scrisse in seguito Giorgio Tosatti, penna di Tuttosport e figlio di Renato, che a Superga aveva perso la vita. Quel giorno e da quel giorno, al Toro venne restituito tutto l’attaccamento che solo gli Invincibili erano stati capaci di generare attorno a sé.
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