di Walter Panero
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Al Tour! Al Tour!
La prima volta. Martedì 18 luglio 1989.
“Desolé Messieurs...la route est barrée...il faut se garer là-bas....”
“Barrée? Chiusa?!?” dice mio padre rivolgendomi la parola, visto che io un po' di Francese lo mastico per averlo studiato alle medie e per averlo praticato con i miei amici d'infanzia che stanno a Marsiglia.
“Sì papà. Chiusa....quel signore in uniforme ha detto che la strada è chiusa e bisogna parcheggiare qui....”
“Ma come chiusa?! Mancano almeno dieci chilometri da qui alla cima del colle. Siamo venuti all'alba proprio perché pensavamo che ci lasciassero passare...al Giro ha sempre funzionato e....”.
Già. Al Giro ha sempre funzionato. Ma questo non è il Giro, papà. Questo è il Tour. E quando passa il Tour la Francia si ferma e si mette il vestito da festa. Passa il Tour e quella è l'unica cosa davvero importante. Degli spettatori che vorrebbero salire in macchina sino alla cima del Col d'Izoard frega poco o nulla a nessuno. Che vadano pure a piedi! O in bici, se ce la fanno. Per questo la gente con i camper e le tende sale con molti giorni di anticipo; piazza le proprie bandiere che hanno i colori di tutte le Nazioni e di tutte le regioni d'Europa e del mondo; si mette ai bordi della strada sulla quale scrive i nomi dei propri beniamini. E attende. Per giorni. Una lunga attesa per quei pochi minuti di emozione che il passaggio della corsa rappresenta.E noi, ovvero papà, un suo amico con la faccia da bulldog ed io, che ho finito da pochi giorni l'esame di maturità, non abbiamo alternative: dobbiamo salire a piedi. Punto e basta.
Da anni, da quando cioè vidi per la prima volta una tappa del Tour alla televisione, sognavo questo momento. Sognavo di essere uno di quei puntini colorati ai bordi della strada. Ed ora eccomi qui, finalmente. Felice ed emozionato come un bambino. Come, forse più, della volta in cui andai a Sestrière per veder passare il Giro per la prima volta. Era il 1982. Era la Cuneo-Pinerolo.
Ci vogliono più di due ore di marcia e sudore per arrivare in cima, scollinare e piazzarsi in uno degli ultimi tornanti del Colle che vide le imprese di Fausto Coppi e Louison Bobet, dei quali resta una lapide piazzata poco più in basso su una roccia. Dopo la marcia, inizia l'attesa. Il tempo trascorre lento tra una chiacchierata, una bevuta ed un giro di scopone finché, ad un certo punto, si sente della musica interrotta dal frastuono dei clacson. La gente, grandi e piccini, si porta tutta sul ciglio della strada.
“La Caravane! La Caravane!” urla qualcuno.
Eccola, la famosa Carovana del Tour. Quella di cui finora avevo letto solo sui libri e sui giornali, perché queste cose in TV mica le fanno vedere! Camion, macchine dalle forme più strane; sembra quasi che il Carnevale sia arrivato fin quassù, anche se siamo a luglio e non a febbraio.Su questi carri che assumono sembianze ora di animali, ora di scatole di caffè, ora di orologi ci sono ragazze che ballano e si dimenano. Qualcuno dalle macchine lancia dei cappellini, ma non solo. Caramelle, salamini, scatole di formaggini, buste di caffè solubile, addirittura pacchi di pasta (che poi chissà che gusto avrà questa benedetta pasta francese!). E' uno spettacolo vedere la gente che si butta in strada, che quasi si picchia per riuscire a recuperare qualcosa. Per riuscire a dire agli amici ed ai conoscenti, quando tornerà a casa in chissà quale posto della Francia o del mondo: “Ecco....questa roba l'ho presa al Tour de France!”Lo spettacolo allegorico dura per circa un' ora. Poi torna il silenzio inframmezzato solamente dal passaggio di qualche macchina.
“Pe-pe-pe-pe-pe-peeeeeeee....” si sente una vecchia auto bianca che fende strombazzando la folla plaudente. Chi sarà mai? Un uomo importante di sicuro, penso tra me e me. Alla guida dell'automobile c'è un signore piuttosto anziano con pochi capelli ed un naso enorme. Indossa un cappellino bianco di quelli che di solito portano i corridori. Di quelli che portava mio nonno in campagna per ripararsi dal sole, o quando andava a dare una mano ai suoi amici muratori per tirar su qualche soldo per integrare la pensione. Adesso lo riconosco anch'io, quell'uomo. Urlo ed applaudo. Come tutti. Due bambini francesi si rivolgono al padre chiedendo informazioni sul tizio nella macchina. Con poche parole il padre spiega: quest'uomo ha vinto due Tour tanti anni fa, dice. Ed i bambini iniziano ad applaudire come e più degli altri.
“Allez Sginòòòòò!” gridano i bimbi.
“Allez Sginòòòò!” urla la folla.
“Forza Ginoooo!” rispondo io.
Bartali tiene il volante con la mano destra, mentre con la sinistra saluta la folla. Di tanto in tanto ferma la sua auto. La gente si avvicina al finestrino, lo tocca, lo accarezza, gli chiede autografi, lo fotografa. E lui ha una parola per tutti. Poi riparte mentre la folla continua ad applaudire seguendo con lo sguardo la sua macchina che sparisce dietro al tornante. Qui ci sono persone che erano presenti quando nel '38 e nel '48 staccò tutti andando a vincere a Briançon ed a conquistare il Tour. Manca Coppi, purtroppo. Anche se mi sembra di aver visto anche lui, o almeno la sua ombra, su quella macchina insieme al suo vecchio rivale. Eh sì, perché la gente che oggi applaude Bartali, applaude anche Coppi. Applaude quel ciclismo. Il ciclismo degli Eroi.
“Allez Poupouuuuuu!!!”
Un altro boato enorme.
“E questo chi è?” chiedo a mio padre mentre applaudo l'uomo che passa a bordo di una macchina gialla.
“E' Raymond Poulidor. Un campione Francese degli anni Sessanta e Settanta. Pensa che ha partecipato a quattordici Tour e per otto volte è arrivato nei primi tre. Ma la cosa pazzesca è che non solo non ha mai vinto il Tour, ma addirittura non ha mai indossato la maglia gialla. Manco per un giorno, per un'ora. Però, come vedi, la gente lo adora malgrado questo. O forse proprio per questo....”
“Una storia da Toro, pà....” dico. E applaudo ancora di più unendo il mio “allez Poupou!” a quello di tutta la Francia.
Dopo il rumore, di nuovo il silenzio. Il silenzio dell'attesa. Ma dura poco. Ecco il frastuono delle pale degli elicotteri che rimbombano così forte manco fossimo su un set di un film di guerra. Poi macchine. Moto. Infine sudore. Il sudore dei corridori.Passa da solo lo svizzero Pascal Richard che vincerà la tappa. Quindi la Maglia Gialla, ovvero l'Americano Greg Lemond che fino ad un paio d'anni fa lottava contro la morte dopo che un amico lo aveva impallinato come una lepre durante una battuta di caccia. Dietro di lui, il codino biondo e gli inconfondibili occhialini da eterno studente del Francese Laurent Fignon, secondo in classifica. Oscilla le spalle, sbuffa, pare affaticato. Ma è lì. Fiero e forte come un toro. Spero proprio che oggi riesca a combinare qualcosa, visto che adoro il suo modo di correre e di lottare. Lui è...insomma...ecco sì...se fosse un calciatore sarebbe proprio uno da Toro! Ma da Toro vero, non quella specie di vacca imbolsita che il mese scorso è scesa in B. Dietro di loro, ecco lo spagnolo Perico Delgado, chiacchierato vincitore della scorsa edizione del Tour. Poi, via via, gli altri tra i quali riconosco gli Olandesi Rooks e Theunisse, l'Irlandese Sean Kelly ed il nostro Gianni Bugno. A tutti va un applauso. Soprattutto agli ultimi. Quelli che non vincono mai, ma fanno più fatica dei loro capitani.
“Vai Ettoreeeee....” grido rivolgendomi all'uomo solo che passa staccato di diversi minuti dai primi. L'uomo solo punta lo sguardo incuriosito verso di me.
Ma come fa questo a riconoscermi? Come fa a sapere come mi chiamo se non ho mai vinto una corsa e non sono neanche mai entrato nella classica fuga per farmi notare?
Si chiama Badolato Ettore. Non lo conosco, a dir la verità non l'ho mai sentito nominare, ma prima del passaggio della corsa, sull'Equipe, mi ero studiato i numeri ed i nomi di tutti i corridori italiani. Che importa se io non lo conoscevo da prima? Che importa? Il fatto che io lo abbia riconosciuto ed incitato gli regala comunque un attimo di felicità in una giornata intrisa di sudore e di fatica. Questo è il bello del Tour! Questo è il bello del ciclismo!
In mezzora o poco più tutto finisce. Si scende. Chi a cavallo della propria bicicletta. Chi in macchina. Chi a piedi. Alcuni, i più fortunati, proseguono la loro avventura e si mettono in movimento verso l'Alpe d'Huez, dove è previsto l'arrivo di domani. Gli altri, tra cui noi, tornano un po' abbacchiati alle loro case ed alla solita vita. Io abbacchiato ancora di più visto che, facendo il fesso lungo la discesa, mi slogo la caviglia e non riesco più a camminare. Per fortuna un signore italiano di buon cuore mi dà un passaggio e giungo alla macchina ben prima dei miei compagni di avventura. Si torna a casa, ma prima bisogna affrontare ore ed ore di coda per riuscire a scendere a valle. Il Tour, purtroppo o forse per fortuna, è anche questo. Ne sono certo: tornerò su queste strade! Lo farò presto e per molte altre volte ancora. Oggi il Tour mi ha conquistato come fece il mio Toro qualche anno fa. Credo proprio che finché camperò non riuscirò mai a separarmi da questi miei due grandi amori.Sul traguardo di Briançon, Fignon recupera una manciata di secondi a Lemond che conserva la Maglia Gialla. Ma, da domani, ci saranno nuove salite e nuove battaglie e sicuramente il Francese attaccherà ancora e venderà carissima la pelle. Chissà chi dei due la spunterà sul traguardo finale di Parigi? Tra pochi giorni sapremo tutto.
Ventitre anni dopo. Fine giugno 2012. Che cosa resta?
Cosa è rimasto di quei tempi, ora che sono passati più di vent'anni?
Le immagini, innanzi tutto. Immagini che subito appaiono sfocate, ma che, riavvolgendo il nastro dei ricordi, appaiono belle nitide. Nitide ed incancellabili. Così riemerge l'immagine di una Parigi tutta imbandierata a festa che, nel duecentesimo anniversario della Rivoluzione, attende il proprio cittadino per accoglierlo in un abbraccio trionfale. E poi l'immagine dell'Americano Lemond che si presenta alla partenza con una strana bici dotata di un manubrio speciale (come quelli che usano nel Triatlon, ci racconta la voce di De Zan), un Lemond che parte forte e che affronta i venticinque chilometri della cronometro finale da Versailles a Parigi come se si trattasse di un volo intercontinentale. E ancora l'immagine delle spalle di Fignon che oscillano come se su di esse si fosse depositato un fantasma invisibile. E poi quella dell'Americano che osserva il cronometro con l'aria incredula....e vede il tempo che passa inesorabile....trenta...quaranta...cinquanta...cinquantotto secondi....Cinquantotto secondi!...E sono proprio quegli otto secondi a fare la differenza....quegli otto secondi che mandano Lemond in paradiso e Fignon nell'inferno della sconfitta....E così, l'ultima immagine di quel Tour è quella di Fignon seduto sul selciato della sua città , le gambe leggermente divaricate, la testa incassata in mezzo alle gambe, quasi a volersi nascondere. Forse piange. Forse non si rende ancora bene conto di essere la vittima di una delle più clamorose beffe della storia dello sport: lui, Parigino ed ex studente di matematica alla Sorbona, sconfitto di un niente ed in quel modo proprio sulle strade di casa. Un dramma sportivo senza pari!
E cosa resta dei protagonisti di allora?Laurent Fignon, purtroppo, ci ha lasciati sul finire dell'estate di due anni fa, dopo che aveva stretto i denti per essere ancora una volta al suo posto, a commentare la “sua” corsa per la TV Francese. Ignoro invece cosa facciano adesso Pascal Richard, Greg Lemond e Perico Delgado, e ancor di più non ho idea di che fine abbia fatto Ettore Badolato.
So invece per certo cosa ho fatto io in questi anni, ogni volta che il mese di luglio si avvicinava. Qualche giorno di ferie, una tenda o un camper, e via: sulle strade del Tour. A respirare quell'aria unica, fatta di attesa, di emozioni e di sudore. A sentire il rumore delle pale degli elicotteri. E poi il boato della folla che sale e che, all'improvviso, si apre per lasciar passare gli eroi. I primi come gli ultimi.Alpi, Pirenei, Mont Ventoux, tutte le salite più mitiche, qua e la per la Francia. Non me ne sono persa una, col sole o con la pioggia.Ho visto il trionfo di Chiappucci a Sestriere, ho assistito al declino di Indurain a Les Arcs, mi sono commosso per la vittoria e la conquista della maglia gialla di Pantani a Les Deux Alpes, ho seguito da vicino l'epopea delle sette vittorie consecutive di Armstrong (vera gloria?), fino ad arrivare alle recenti sfide tra Contador ed Andy Schleck ed alla commovente vittoria di Cadel Evans lo scorso anno. Tempi diversi, luoghi diversi, protagonisti diversi.Ma un'unica grande emozione: quella del Tour de France!
La stessa emozione che mi pervaderà anche quest'anno, non appena il grande carrozzone colorato prenderà il via oggi da Liegi. Qualcuno parla di un'edizione del Tour un po' edulcorata, visto che sarà povera di salite veramente importanti.Qualcuno parla di un Tour un po' “succube” dei Giochi Olimpici di Londra, visto che questi ultimi inizieranno cinque giorni dopo la fine della corsa francese, e visto soprattutto che la gara che assegnerà la medaglia d'oro si disputerà sei giorni dopo la premiazione del vincitore del Tour sotto l'Arco di Trionfo. Qualcuno parla di un Tour povero di protagonisti dato che, per motivi diversi, non saranno al via due dei grandissimi protagonisti delle ultime edizioni, ovvero lo Spagnolo Contador (ancora sotto squalifica) e il Lussemburghese Andy Schleck (infortunato).Qualcuno parla di grande sfida tra cronomen che dovrebbe riguardare soprattutto il Britannico Bradley Wiggins (recente vincitore del Giro del Delfinato) e l'Australiano Cadel Evans. Qualcuno infine parla di occasione irripetibile per il nostro Enzino Nibali, giunto al culmine della maturità e finalmente leader senza se e senza ma della sua Liquigas.Se ne dicono tante, quando una grande corsa prende il via. Poi, come sempre, una volta partiti, le voci passeranno in secondo piano e lasceranno spazio a due grandi protagonisti silenziosi, ma non troppo: le gambe dei corridori e la strada. La strada parlerà eccome accogliendo il gruppo con il suo boato inconfondibile fatto di mani che applaudono e voci che incitano i corridori nelle lingue più diverse. E lo fanno a indipendentemente dalla loro nazionalità, perché chi fa fatica va incitato a prescindere.La strada emetterà come sempre i suoi verdetti, a volte rimediabili, a volte irrevocabili.La strada col suo odore di catrame, di frizioni bruciate, di sudore. Un odore che è dentro di me e che fa parte di me come, e forse più, di quello dello stadio.Sarò là a sentirlo quel rumore che mi è entrato nelle orecchie più di vent'anni fa.Sarò là a respirarlo, quell'odore unico. L'odore della strada. L'odore del Tour. Ancora una volta.Come sempre. Per sempre.Viva il ciclismo! Viva il Tour!
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