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Anabolizzanti come omogeneizzati

Anabolizzanti come omogeneizzati - immagine 1
di Andrea Ferrini
Redazione Toro News

Come premessa a questa inchiesta esclusiva di ToroNews vorremo specificare che ci siamo avvalsi della collaborazione del Dr. Maurizio Ferrini (www.ferrinimaurizio.it), specialista in Medicina dello Sport, Ortopedia e Traumatologia e Responsabile del Servizio di Medicina dello Sport A.U.S.L della Valle d'Aosta.

 

La quarta puntata della nostra inchiesta sul doping si concentra su un aspetto tanto sconosciuto quanto inquietante. Si parla sempre di doping riferendosi ai grandi atleti, agli olimpionici, ai campioni che vediamo un Tv e sui giornali. Eppure negli ultimi anni tende a confermarsi la tendenza che vede le sostanze dopanti diffondersi anche tra gli amatori.

Il modello proposto al vertice, con la caccia al risultato ad ogni costo, si ripercuote anche nei livelli non professionistici, contaminando dalla base la corretta visione dei valori legati allo sport. Ciò prefigura un preoccupante aumento del rischio sanitario.

Nonostante esistano pochissimi studi riguardanti la reale incidenza di questo fenomeno, chi conosce il mondo dello sport sa che non sono i professionisti i maggiori utilizzatori di sostanze dopanti bensì i dilettanti e gli atleti amatori. Un anno fa il ministero della Salute aveva diffuso dati allarmanti: il 4,1% degli atleti che praticano discipline sportive amatoriali risulta positivo, contro l'1% dei professionisti. Questi dati si basano sulla metodica delle interviste e rimangono legati alla serietà e veridicità delle risposte.

Forse ancora più preoccupante, ma naturale conseguenza del discorso fin’ora affrontato, è la diffusione del doping tra i più giovani e gli adolescenti.

I numeri fanno paura: negli Stati Uniti il 3-5% dei bambini a partire dagli 8 anni fa uso di steroidi anabolizzanti e almeno 375.000 ragazzi e 175.000 ragazze hanno utilizzato almeno una volta anabolizzanti.

I dati raccolti dal Professor Mauro Salizzoni, responsabile del centro trapianti delle Molinette a Torino e presidente della Commissione Antidoping della Federciclismo, dimostrano che, in settori giovanili di alcuni sport particolarmente esposti al problema, la percentuale dei giovani fra i 17 e i 23 anni che risultano dopati con l’eritropoietina supera abbondantemente il 50% e non l’1,5% delle positività ufficiali.

Il ragazzo, se così si può chiamare, in fotografia è Richard Sandrak, alias Little Hercules, classe 1992. I suoi genitori, ossessionati dal fitness e dal body building, alla sola età di 2 anni lo iniziarono all'allenamento indirizzandolo, a sua insaputa, verso l'agonismo.

Proprio i genitori, le persone più vicine ai futuri atleti, spesso investono i figli di responsabilità enormi, cullando aspettative di successo e sogni di gloria. Invece il loro compito dovrebbe essere quello di dare una giusta educazione sportiva, un’educazione che preveda anche la sconfitta come evento da non demonizzare.

Ruolo importante è anche quello ricoperto dalla scuola e dai tecnici, che hanno tra le mani i giovani negli anni della loro maturazione psicofisica; società e federazioni dovrebbero essere in prima linea nella lotta contro il doping; gli sponsor, che richiedono sempre e solo atleti vincenti, troppo spesso soppiantando l’aspetto sportivo con quello commerciale. Gli stessi medici sportivi sono stati per troppo tempo testimoni passivi, se non dopatori, per puro interesse economico.

Se veramente si vuole fare qualcosa di concreto tutti devono muoversi compatti verso un obbiettivo ben chiaro: dire no al doping, a tutti i livelli e in qualsiasi forma.

 

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