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Cadel Evans: il Tour di un ”Cuore Toro”

Redazione Toro News
di Walter Panero Seguo il ciclismo da oltre trent'anni ed ho sempre pensato che questo sia uno sport “da Toro”.  Non ci sono dubbi: la fatica, il sudore, il popolo lungo la strada, l'epopea, la tragedia che sono l'essenza di...

di Walter Panero

 

Seguo il ciclismo da oltre trent'anni ed ho sempre pensato che questo sia uno sport “da Toro”.  Non ci sono dubbi: la fatica, il sudore, il popolo lungo la strada, l'epopea, la tragedia che sono l'essenza di questo sport sono certamente “roba da Toro”.

Poi, in questa “roba da Toro”, ci sono stati tanti corridori diversi, sempre considerando solo i campioni e tenendo presente che il ciclismo non è fatto soltanto di campioni, anzi. Ci sono stati corridori “predestinati”, dotati da madre natura di un talento sopraffino, e tra questi annovero sicuramente il “Cannibale” Eddy Merckx, il “Grande Maestro” Anquetil e, per venire ai tempi nostri, il “Pistolero” Contador. Ci sono stati corridori “fortunati” perché nel momento giusto sono stati baciati dalla buona sorte, come ad esempio Lemond che vinse un Tour per soli otto secondi su Fignon. Ci sono stati campioni “sofferenti” che nella sofferenza e sulla sofferenza hanno costruito la loro storia, divenuta leggenda anche per colpa di una morte prematura: parlo di Coppi e di Pantani. Ci sono stati infine campioni sfortunati, quelli che hanno vinto meno di quello che avrebbero meritato: Gimondi, ad esempio, avrebbe vinto molto di più se sulla sua strada non avesse trovato quel fenomeno insaziabile di Eddy Merckx; Poulidor avrebbe di sicuro fatto suo almeno un Tour se non si fosse trovato di fronte un Anquetil e più tardi lo stesso Merckx; Fignon avrebbe vinto il Giro del 1984 se gli organizzatori non avessero “tagliato” lo Stelvio impedendogli di staccare ulteriormente Moser e il Tour del 1989 se un foruncolo non gli avesse impedito di competere con Lemond nell'ultima cronometro. Ovviamente qui si parla soltanto di sfortuna sportiva, visto che le vere sfortune nella vita sono altre, e noi del Toro lo sappiamo meglio di chiunque: parlo di Casartelli, di Weylandt, di Simpson e di tanti altri che sulla strada hanno trovato la morte.

Dei campioni sfortunati, insomma dei campioni “da Toro”, fa secondo me parte anche Cadel Evans, ovvero il vincitore del Tour appena conclusosi. Non parlo tanto dei numerosi secondi posti di cui la sua carriera era costellata almeno fino a ieri (il gobbo insegna che il secondo posto è una sconfitta e che la sconfitta spesso non è figlia della “sfiga” ma di incapacità) quanto alle circostanze in cui questi piazzamenti sono stati raccolti. Se già non bastasse il fatto di non essere un “super dotato” , ed Evans sicuramente non lo è, finora qualcosa sempre gli era andato storto: squadre inconsistenti ad affiancarlo, cadute assortite, crisi venute proprio sul più bello, incidenti meccanici, avversari che trovavano la loro giornata di grazia proprio contro di lui (a volerla pensare bene). Ma lui sempre lì. Malgrado tutto. Sempre lì a lottare, sempre lì a ciondolare con la testa incassata tra le spalle, sempre lì a sbuffare, sempre lì a giocarsela fino alla fine perché non si sa mai, perché tanto sai che alla fine qualcosa va storto, ma se non ti giochi fino in fondo tutte le carte che hai, perdi comunque e ti resta pure il rimpianto di non averci provato.

C'è stato un momento, in questo Tour, in cui Cadel Evans pensava di aver perso tutto. Sull'Izoard Andy Schleck era partito all'attacco e continuava ad accumulare vantaggio, mentre nel gruppo degli inseguitori tutti si guardavano e nessuno si prendeva la responsabilità di inseguire il battistrada che, con oltre quattro minuti di vantaggio, andava a prendersi il Tour. Qualcuno non ne aveva, qualcuno risparmiava energie forse pensando solo ad un piazzamento. Mancavano poco più di dieci chilometri all'arrivo del Col du Galibier quando Cadel ha capito che il Tour gli stava sfuggendo dalle mani e che nessuno lo avrebbe aiutato. Che a lui solo toccava il compito di togliersi d'impiccio. Che in quel momento la“sfiga atavica” non c'entrava: c'erano soltanto lui, la strada e gli avversari. E' stato lì che Cadel ha reagito come di solito fa il toro ferito nell'arena. Una reazione se vogliamo poco lucida, poco calcolatrice (e se ora riporto sotto i miei avversari e loro poi mi staccano?) ma piena di grinta, di cuore, di sudore, di tutto quello che è, o dovrebbe essere, lo spirito dello sport. Il vecchio Toro sfortunato, ferito e mai domo che lottava sputando sangue contro avversari più giovani, dotati e meglio organizzati.Quella sul Galibier quel giorno è stata per me la quintessenza di quello che è, o dovrebbe essere,  ciò che noi siamo soliti definire “spirito Toro". Che è poi l'essenza dello sport onesto di chi vince senza aspettarsi aiuti dalla buona sorte o da altri fattori esterni.

Dubito che Cadel Evans si interessi di calcio. Ma si è “Cuore Toro” anche se del Toro si sa poco o nulla. Perché essere “Cuore Toro” per me è un modo di pensare, di essere e di affrontare la vita.Soli, poco dotati da madre natura, contro la “sfiga”, contro tutto e tutti. Il Toro, appunto.

Per questo quando oggi ho visto Cadel Evans salire sul podio a Parigi, con quell'espressione imbarazzata, stupita e commossa di chi si sente un po' fuori posto nel momento della vittoria - insomma con una faccia così diversa da quella, tanto per dire, di Eddy Merckx il Gobbo, dell'Invincibile Cow Boy Lance Armstrong l'Extraterrestre o di Contador il Madridista - ho provato le stesse sensazioni che provo quando vince il Toro.Commozione bambinesca e anche un briciolo di innocente stupore. Insomma: pura felicità granata.

 

CLASSIFICA GENERALE FINALE DEL TOUR DE FRANCE 2011:

1. Cadel EVANS (Australia) in 83h45'20”2. Andy SCHLECK (Lussemburgo) a 1'34”3. Frank SCHLECK (Lussemburgo) a 2'30”4. Thomas VOECKLER (Francia) a 3'20”5. Alberto CONTADOR (Spagna) a 3'57”6. Samuel SANCHEZ (Spagna) a 4'55”7. Damiano CUNEGO (Italia) a 6'05”8. Ivan BASSO (Italia) a 7'23”9. Thomas DANIELSON (Stati Uniti) a 8'15”10. Jean-Christophe PERAUD (Francia) a 10'11”