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Calcio, il potere unificatore di una nazione

Stefano Rosso
Sono passati già sei anni dalla, calcisticamente parlando, "presa di Berlino" ed in Italia, tra alti e bassi, il titolo conquistato in quell'estate torrida é ancora simbolo di un paese unito sotto tricolore e maglia azzurra, nonostante le...

Sono passati già sei anni dalla, calcisticamente parlando, "presa di Berlino" ed in Italia, tra alti e bassi, il titolo conquistato in quell'estate torrida é ancora simbolo di un paese unito sotto tricolore e maglia azzurra, nonostante le ripetute crisi ed i continui scandali che hanno colpito il mondo del pallone e non solo. Un ricordo per nulla sbiadito dal passare del tempo.

Ne sono passati, invece, soltanto due da quando la Roja ha portato la Spagna sul tetto del mondo e ancora meno, anzi molto tempo in meno, da quando sono tornati sul tetto d'Europa: un paese attraversato da una profonda dicotomia Barça-Real che si estende ben oltre i confini territoriali delle due città di riferimento - al punto da dividere l'intera popolazione calciofila, - ma che, nonostante il denso e importante valore politico assunto in passato, si concede una tregua nel momento in cui i simboli della contesa tecnico-tattica Xavi e Xabi (Alonso) indossano la camiseta del medesimo colore o quando l'Iniesta o il Pedro di turno concedono al Casillas della situazione l'onore alzare un trofeo in qualità di capitano e massimo rappresentante della Spagna intera.

La crisi economica e politica che sta investendo la Spagna, unita ad immancabili interessi monetari (storicamente mai degnati di tanta considerazione come in questo delicato momento storico), stanno spingendo in senso contrario. Succede così che in un paese attraversato da scioperi e manifestazioni continue, il cui il popolo sta cercando di manifestare il proprio dissenso di fronte alla crisi - della quale ne sono comunque responsabili oggettivamente, come in tutti gli altri paesi - e la propria voglia di rialzarsi e ripartire, ecco che tra gli ordini del giorno in un Parlamento già evidentemente oberato di lavoro spunta il faldone "indipendenza della Catalunya".

Se la rassegnazione generale della gente - "è sicuro che lo faranno, bisogna solo fissare la data" mormoravano i meno ottimisti durante la huelga di oggi per chiedere le dimissioni del primo ministro - accompagna un verdetto che pare inevitabile, nonostante l'auspicio che i promotori della scissione siano solo una minoranza tanto rumorosa (referendum scissionista che invece non è stato richiesto, curiosamente dai Paesi Baschi, che in materia hanno monopolizzato pagine di storia recente), riacquista peso e importanza la nazionale Roja nella vicenda.

Non occorre citare Nelson Mandela e la storia del Sudafrica - o la conseguente pellicola di Clint Eastwood - per ricordare il potere dello sport nello sviluppo del sentimento comune di appartenenza tra cittadini di popolazioni, etnie o religioni differenti. Non occorre perchè a sei di distanza la "presa di Berlino" ancora riaffiora nei nostri ricordi senza che la polvere del tempo o il fango dei giorni nostri ne attutisca il significato.

Per una volta, dunque, nonostante l'antipatia sportiva che ha caratterizzato gli ultimi anni di convivenza comune -con gli indelebili ricordi degli sfottò - freschi, tra lo scorso Mondiale e soprattutto la recente finale degli Europei - potrebbe valere la pena prestare alle partite della Roja un po' del nostro tifo affinchè anche gli spagnoli possano trarre forza da una loro "presa di Berlino".

 

Stefano Rosso (Twitter: @ste_ro_)