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di Andrea Ciprandi
Questa rubrica intende essere una finestra sul panorama calcistico mondiale. Partendo non necessariamente dalla cronaca, mira a offrire spunti di riflessione rispettosi delle diverse identità di questo sport nei tanti luoghi ove è praticato, con un occhio parimenti attento alle realtà di cui meno si parla.
Stanno riprendendo in Brasile i campionati statali. Come da tradizione, nel primo terzo dell’anno solare la squadre partecipano ai tornei locali confrontandosi coi vicini di casa secondo diverse categorie esclusive dello Stato di appartenenza. Succede così che chi è magari nella terza serie nazionale possa provare a contendere il titolo locale a chi gioca nel Brasileirão; anche se, come accaduto nel recente passato con Vasco da Gama e Corinthians, può anche capitare che siano club prestigiosi e clamorosamente retrocessi nella serie cadetta nazionale ad approfittare di quest’occasione per potersi confrontare con squadre di rango nel corso di una stagione di purgatorio.
Personalmente trovo eccellente questa formula. I vantaggi sono numerosi. Fra i principali: una possibilità in più concessa a tutti di potersi misurare con tutti, il respiro dato alle squadre impegnate in Copa Libertadores (che approfittando di impegni locali non sempre di prim’ordine possono alternare formazioni diverse senza affaticare i titolari), la vetrina offerta ai giovani talenti (che possono affacciarsi alla prima squadra guadagnando continuità con essa in vista di sfide più complicate) ma anche, anzi forse soprattutto, il mantenimento di una tradizione che affonda le radici in un periodo ben precedente a quello dell’inaugurazione dei campionati nazionali.
Sbaglia chi pensa che a club, giocatori e tifosi ormai interessi di più il Brasileirão un po’ come in Inghilterra alcuni hanno finito per privilegiare la Premier League dei ricchi contratti televisivi rispetto alla gloriosa FA Cup. E se in Europa i derby spesso si riducono a una sola stracittadina da disputarsi con un un unico avversario, in Brasile come nella maggior parte del Sud America invece le rivalità locali sono molteplici. E includendo nella lista dei cugini le squadre di ogni categoria, molte delle quali hanno l’occasione di affrontarsi e rinnovare le sfide ogni anno, si ottiene uno spaccato variegato e sportivamente entusiasmante che mantiene il proprio fascino immutato nel tempo.
Non va dimenticato che il calcio brasiliano nasce e inizialmente si sviluppa proprio grazie ai campionati statali. I nazionali, qualsiasi denominazione abbiano avuto nel corso del tempo, sono arrivati parecchi decenni più tardi. Quello attuale, per esempio, pur essendosi svolto via via con formule diverse risale appena al 1971 e quelli che lo precedettero al ’59 (Taça Brasil) e al ’54 (Torneo Roberto Gomes Pedrosa). Il primo Paulistão, che è il campionato statale più vecchio del Brasile, data invece 1902; il secondo a nascere, il Baiano, 1905; e il terzo, il Carioca, 1906. In totale i tornei locali sono 27, di cui 21 istituiti prima della Seconda Guerra Mondiale (17 addirittura entro gli anni Venti) e solo 6 in seguito, compresi i 3 organizzati in area amazzonica a partire dai tardi anni Novanta. Va da sé che l’orgoglio e la tradizione siano legate innanzitutto ad essi.
Dando uno sguardo ai maggiori e facendosi guidare dai numeri, la stagione in corso potrebbe essere quella dei record.
Nello Stato di San Paolo, un Santos fresco campione del Sud America e decisamente ancora molto attrezzato è serio candidato alla conquista del terzo titolo consecutivo. Si tratta di un’impresa che non riesce più a nessuno dalla fine degli anni Sessanta, quando a farcela fu sempre il Peixe; in precedenza, ancora il Santos e prima di esso il Corinthians (due volte), il Palestra Italia (poi Palmeiras) e il São Paulo Athletic (società più vecchia della capitale paulista, a cui andarono le prime tre edizioni in assoluto). Il record appartiene però al Paulistano (club poi confluito nel San Paolo), che fra il 1916 e il ‘19 vinse addirittura quattro volte coronandosi fra l’altro primo ‘tetracampeão’ brasiliano della storia. In effetti questo torneo è uno di quelli il cui Albo d’Oro contiene i nomi di più squadre: a vincerlo ad oggi sono state 17, anche se solo 9 di queste esistono ancora. Il Corinthians ha trionfato 27 volte, seguito dal Palmeiras con 22, il San Paolo con 21 e il Santos con 19; poi, la più vincente fra quelle non estinte è il Portuguesa con 3. A dispetto della supremazia delle quattro grandi, le finali hanno però spesso visto protagonista anche un club cosiddetto minore: negli ultimi dieci anni Santo André, Ponte Preta, São Caetano, Paulista e União São João hanno tutti sfiorato la vittoria. Il São Caetano in verità è anche riuscito a vincere, nel 2004 sotto la guida di uno dei maggiori tecnici brasiliani della storia, Muricy Ramalho; questo appena due anni dopo che a trionfare era stato un altro club minore, l’Ituano. Questi due club, fra l’altro, sono stati protagonisti delle ultime due finali a sorpresa (rispettivamente con Paulista e União São João); per trovarne un’altra del genere basta andare indietro solo di una decina d’anni (1990, Bragantino-Novorizontino) e ciò depone a favore del crescente equilibrio regnante fra i contendenti considerato che l’ultimo caso analogo prima di questo risale agli anni Trenta.
Nello Stato di Rio, il Flamengo continuerà la sua rincorsa al record di nove piazzamenti consecutivi (fra primo e secondo posto) che gli appartiene dagli anni Trenta-Quaranta; arrivasse in finale, nel frattempo otterrebbe la sesta finale di seguito eguagliando la serie più recente del Vasco da Gama, che risale agli anni a cavallo di fine Millennio e a sua volta pareggiò quella del Fluminense, agli albori. Fra i quattro club maggiori, quello che ha ottenuto meno trionfi è il Botafogo a cui però si deve l’interruzione di recenti vittorie consecutive proprio del Flamengo, nel 2010, dopo che aveva ceduto agli stessi rossoneri nell’atto conclusivo delle precedenti tre edizioni, seguite a loro volta alla sua penultima affermazione (2006). Come detto, il Fogão è, sempre delle quattro grandi, quella che ha vinto meno volte: 19 contro le 22 del Vasco, le 30 del Fluminense e le 32 del Flamengo (con l’ultima finale che, vinta dal Fla sul Flu, ha visto sfumare l’aggancio da parte del club di Laranjeiras ai rivali di Gavea ma, guardando alle origini, ex vicini di casa). Due curiosità: fra le squadre che non fanno parte di questo poker d’eccellenza, l’ultima ad aver vinto è il Bangu (1966) mentre l’ultima ad essere arrivata in finale è il Madureira (2006) che era stata preceduta sempre nel corso dell’ultimo decennio da Volta Redonda e Americano – a dimostrazione del fatto che i giochi non sono mai fatti in partenza.
Nel campionato del Rio Grande do Sul, il Gaucho, dominano l’Internacional e il Gremio di Porto Alegre che sono per tradizione le squadre di riferimento, fra gli altri, rispettivamente degli immigrati e della comunità tedesca. In questo ambito siamo di fronte a un vero e proprio strapotere dei due giganti della capitale: di 91 campionati, 76 se li sono divisi loro (40 sono andati ai Colorados e 36 al Tricolor). Per il resto, il Caixas ha vinto 2 volte e poi c’è una sfilza di 13 club ognuno dei quali è stato campione in una sola occasione. Dal 1940 ad oggi solo 3 volte non ha vinto una fra Internacional e Gremio e dal ’55 appena 2, anche se una di esse è stata comunque finalista. A proposito di finalisti, sono proprio questi - ma questi solo - a mitigare leggermente gli impressionanti numeri appena dati: dal 2001 sono infatti 7 le partite decisive a cui ha partecipato un terzo club.
Il campionato di Serie A dello stato di Bahia è quello, fra i più tradizionali, che più volte è stato vinto da squadre diverse (21) e anche di seconda fascia. Campione in carica a tale proposito è il Bahia de Feira, terza squadra di Feira de Santana (seconda città della regione) ad aver trionfato. Le altre due sono i locali Palmeiras e Fluminense, che col Colo Colo sono le sole ad essere riuscite a interrompere l’egemonia di Vitoria e Bahia, rappresentanti della capitale Salvador, che insieme hanno vinto 39 dei tornei disputati negli ultimi quaranta e rotti anni. Se vincesse, il Bahia otterrebbe il titolo numero 44 - attuale secondo miglior record brasiliano, appartenente al Paysandù di Belém (Stato del Parà) e inferiore solo a quello dell’ABC di Natal (Rio Grande do Norte) che è già stato campione 52 volte.
Poca alternanza invece fra i campioni del Minas Gerais, eccezion fatta per le tre squadre della capitale Belo Horizonte. Atletico Mineiro (40), Cruzeiro (35) e America (15) distanziano nettamente gli altri quattro club che siano mai riusciti a vincere. Ben 41 volte, poi, Galo e Raposa (come son detti Atletico e Cruzeiro) sono stati i primi due classificati.
Motivo di vanto per i diversi Stati sono anche le vittorie ottenute dalle loro rappresentanti nel campionato nazionale. Guida nettamente questa speciale graduatoria il gruppo Paulista (28), seguito da quelli Carioca (15), Gaucho (5), Mineiro (3), Paranaense (2) e Pernambucano (1). Da quando si disputa l’ultima versione del campionato nazionale, poi, sono riusciti a fare l’accoppiata ‘estadual-brasileiro’ soltanto il Palmeiras 3 volte (’72, ’93 e ’94), l’Internacional 2 (’75 e ’76) e una volta a testa Atletico Mineiro (il primo, nel ’71), Fluminense, Bahia, Gremio, Corinthians, Atletico Paranaense e Flamengo, (l’ultimo, nel 2009). Come conseguenza di questi numeri, ad accrescere l’importanza dei tornei locali quindi da un lato c’è la consapevolezza dei cosiddetti valori espressi ma dall’altro invece la quasi totale e fatale estraneità della stragrande maggioranza delle squadre brasiliane (e delle loro rispettive Federazioni) ai giochi che contano in ambito nazionale. D’altra parte non può esserci spazio per tutti in un campionato confederale forzatamente rappresentativo di un Paese grande appena meno di tutta l’Europa e con una popolazione più che tripla di quella italiana - attraverso 4 sole divisioni d’eccellenza per un totale di un centinaio di squadre, da cui esce un solo campione all’anno.
Sia quel che sia, comunque, ad inizio anno ogni comunità si ritira, si racchiude su stessa per vivere con passione e gelosia l’esclusività del calcio della propria terra, che senza obbligare a prendere l’aereo ogni due per tre si dipana contemporaneamente sui campi di casa, quelli maggiori ma anche quelli minori a testimonianza dell’esistenza e dell’importanza di tutti. Come ai vecchi tempi, quando tutto questo bastava e soprattutto non aveva alternative, in totale controtendenza rispetto all’imposta globalizzazione odierna e alle sue sorelle minori - che hanno forzato tutti a farsi andare a genio un modello di vita e quindi anche di sport per nulla indispensabile e men che meno irresistibile.
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