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E così ci saluti anche te, Beppe. Troppa retorica gratuita non va mai bene, però il pianto sotto la curva è stato così drammaticamente e nostalgicamente spontaneo che hai dimostrato ancora una volta quanto pare impossibile non provare un po’ di simpatia per te. Il tifoso mai cuntent di questa rubrica ti avrà contestato qualche volta, ma un aforisma che sta rimbalzando di bocca in bocca in questi ultimi giorni è quello che più si addice al tuo “arrivederci”: quando Torino ti “piange”, è perché fondamentalmente non si sbaglia mai.
Quattro anni dopo Bianchi, un simbolo del Toro di Cairo ci saluta e consegna inevitabilmente agli atti la fotografia di quel Toro partito nelle mani di Ventura a Sappada e (quasi) tramontato in quelle di Mihaijlovic in una Sisport che si interroga se tutto quel granatismo pronunciato a gran voce da luglio in poi non sia stato soltanto che una bella mascherina per farci star buoni nei mesi che ci conducessero dal gran caldo della rivoluzione al grande freddo di una rivoluzione (appunto) mascherata o morta di questi giorni. Insomma, tutto tornerebbe al suo posto. Via l’ultimo uomo della B triste di Gubbio e di quella trionfante di Bilbao, via un Toro che non ha mai nascosto le sue ambizioni: vincere per crescere, stare tranquilli, vendere i pezzi migliori e ripetere il giro che in confronto la fotosintesi clorofilliana è uno stacchetto mal riuscito della Cuccarini. Che ci piaccia o no. Anzi, da quel che si respira, specie dopo il pareggio guadagnato contro l’Atalanta, (scusate la sintassi e la grammatica) che non ci piaccia.
Ed ecco servito il paradosso: anche senza o’professò, tutto rimarrà sempre più o meno così. Stagioni che partono all’insegna di un obiettivo che pian pianino si perde per una mancanza più che mai collettiva (di spese, investimenti, valori) di raggiungere l’obiettivo tanto conclamato. E per questa stagione, con una perdita in più. Quella di un “vecchietto”, oltre a Moretti, in grado di strigliare uno spogliatoio troppo giovane, troppo libertino, e che il tecnico serbo sta perdendo a colpi di dichiarazioni che sarebbe meglio farle a quattrocchi con chi una lavatrice sulla schiena la porta sul serio e che nessuno, manco il Crotone (con tutto il rispetto per Nicola, cuore granata già ricordato in questa rubrica) vuole comprare. P.S. Da quel poco che ne capisco, Vives dev’essere stato per tutti i giocatori passati da Torino dal 2011 in poi un punto di riferimento importante nello spogliatoio. Al di là dei valori calcistici, cui impossibile non menzionare l’impegno, uomini così devono essere sempre presenti all’interno di una rosa. Il calcio, prima di tutto, è disporre di valori umani. Valori che distinguono una persona con la “p” maiuscola da un semplice calciatore. Valori che in questo attualissimo Toro, servirebbero davvero come il pane.
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