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Quella di oggi è una semplice ed esplicita dichiarazione d'amore calcistico a un giocatore la cui grandezza non è dipesa dai successi. Uno che non ha vinto molto e che i trionfi, semmai, li ha ripetutamente sfiorati. Intendiamoci, tutti vogliono vincere e nessuno è più nobile per non esserci riuscito. A certi calciatori che hanno raccolto pochi allori, però possiamo riconoscere doti autentiche senza correre il rischio di essere influenzati dai loro successi. Nel caso di quello di cui vi parlerò poi, E' evidente quanto le vicende sportive al limite del drammatico di cui è stato protagonista, zeppe di episodi frustranti, non possono che sottolinearne la grandezza. Perché ripercorrendone la carriera si trova un’unica costante da celebrare: la sua classe. Scorrendo i commenti a un mio recente articolo mi sono imbattuto in uno entusiastico su Matthew Le Tissier. Anche a mio parere è stato uno dei talenti più grandi che la Gran Bretagna abbia mai espresso e per capire il suo spirito bisogna andare al di là dei fantastici gol che ha messo a segno per il suo piccolo, amato Southampton e dei sopraffini tocchi di palla che ci ha regalato. Quando gli chiesero perché non avesse mai accettato le proposte delle grandi, infatti, spiegò che lui stava bene lì dov’era e che sarebbe stato illogico cercare una felicità che necessitava di non troppe sterline dove questa avrebbe potuto essere ricreata solo artificialmente. Per lo stesso motivo Alan Shearer, che invece da Southampton se ne andò, dopo essere riuscito a vincere clamorosamente un titolo col Blackburn non si fermò a Manchester sponda United ma proseguì dritto per la sua adorata Newcastle, come un salmone che risale il torrente. Tornato a casa, però, non morì; al contrario fece cose meravigliose per altri dieci anni. Da uomo felice. Ma io oggi voglio rendere omaggio a un meraviglioso giocatore che calcò i campi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, contemporaneamente all’affermazione musicale del suo quasi sosia della musica pop, Paul Young, a cui può essere accomunato anche per aver inciso un paio di canzoni. Sto parlando di Chris Waddle, il dinoccolato e talentuoso centrocampista esterno che al Tottenham segnò un’epoca col quasi omonimo e altrettanto elegante Glenn Hoddle, quello che fra le altre cose prendeva la rincorsa per battere le sue micidiali punizioni come un giocatore di rugby: qualche passo all’indietro e due altri mezzi passi, laterali, a sinistra. Waddle è nato ormai cinquant’anni fa a poca distanza da Newcastle e dopo cinque stagioni nei Magpies giocando niente meno che con Kevin Keegan, il Gazza Gascoigne e Peter Beardsley si trasferì a Londra agli Spurs. Con loro raggiunse ma clamorosamente perse ai supplementari la Finale di FA Cup del 1986 contro il modesto Coventry City, squadra per cui aveva fallito un provino quand’era ragazzo. Con l’esclusione delle squadre inglesi dalle competizioni europee a partire dal 1986 in seguito ai fatti dell’Heysel, anch’egli lasciò l’Inghilterra. Andò al Marsiglia del magnate Bernard Tapie, e qui oltre a divenire un autentico idolo vinse tre campionati ma perse ai rigori la Finale di Champions League del 1991, giocata a Bari contro la Stella Rossa di Savicevic, Mihajlovic, Jugovic e Prosinecki. Suo, per la cronaca, il gol poi cancellato dalle statistiche con cui quello stesso anno i francesi erano passati in vantaggio contro il Milan nel ritorno dei quarti di finale, prima che Galliani approfittasse dell’improvviso spegnersi dei riflettori per ritirare la squadra, in evidente difficoltà e al momento eliminata, e l’UEFA, dando torto ai rossoneri, decretasse poi il 3-0 a tavolino per il Marsiglia. L’anno prima, in Nazionale, aveva perso ai rigori anche la Semifinale di Italia ’90 giocata al Delle Alpi contro la Germania. Terminata l’esperienza francese più o meno contemporaneamente al rientro in Patria di altri grandissimi campioni britannici quali Hughes (dal Bayern dopo essere stato al Barcellona), Lineker (dal Barcellona), il già citato Hoddle (dal Monaco) e Rush (dalla Juventus) mentre Souness, ugualmente trasferitosi oltre confine ai Rangers decise di restare a Glasgow per allenarli, Waddle si mise la maglia dello Sheffield Wednesday. Con gli Owls, nel 1993 fu protagonista di un epilogo di stagione a dir poco devastante: raggiunta sorprendentemente la Finale delle due Coppe nazionali, infatti, le perse entrambe, e sempre contro l’Arsenal. La FA Cup addirittura all’ultimo minuto dei supplementari del replay, dopo aver oltretutto segnato il gol del momentaneo pareggio. La carriera l’ha finita giocando un po’ qua e un po’ là e il fiato non gli è mai mancato nemmeno quando si è trattato di parlare e non più correre: famose le sue polemiche e i commenti fuori dai denti. Scorrendo la galleria di immagini che lo ritraggono in vari momenti della sua carriera è facile imbattersi in foto commoventi, come quella in cui piange, sconsolato, seduto in panchina dopo i rigori di Bari o quella risalente alla Semifinale dei Mondiali italiani, quando gli capitò di sbagliare il rigore decisivo dopo aver colpito un palo interno ancora sull’1-1. Che ingiustizia! Ecco, a seconda di come si vedono le cose e del credito piuttosto che del risentimento che si vuole concedere ai nostri beniamini, umani quanto noi, possiamo vederlo come colui che andò vicino a portare l’Inghilterra in Finale dopo l’unica mai disputata, risalente al lontano ’66, o chi ne decretò l’ennesima uscita dai Mondiali facendosi parare l’ultimo rigore. Io, più semplicemente, voglio ricordarlo mentre se ne va via sulla fascia con quel suo passo inconfondibile, sornione e inarrestabile al tempo stesso, con indosso la divisa tutta bianca del Tottenham del 1986, una delle più belle di sempre. Tanta grazia è il minimo che si possa riservare a un campione particolare come lui.
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