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Vacanzieri, continuate a spassarvela. Lavoratori, tenete duro. Se posso darvi una mano, quale che sia la vostra categoria, questo era il mio primo articolo...
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"Una vita fuori giri". C’era un modo migliore per iniziare una rubrica dedicata al popolo granata, e che vuol parlare in generale di emozioni? Non credo. La frase è bellissima e Massimo Cotto, fratello di Asti, di emozioni se ne intende eccome: grande esperto di musica rock, già direttore artistico di Radio Uno, direttore con profitto (per la rivista) di Rockstars, autore di numerose biografie di cantautori importanti e da qualche tempo scrittore tout court.
Oggi vi parlo del suo romanzo Hobo. Una vita fuori giri, Editori Riuniti: è possibile che qualcuno se lo sia perso, a momenti succedeva anche a me. Se non vi fidate di chi scrive di musica o di calcio senza far venire voglia di ascoltare un disco o di vedere una partita, se non vi fidate dei libri che non chiedono di essere sgualciti, usati letti respirati divorati, se non vi fidate dei toni pastello questa è la storia che fa per voi. Il protagonista è un quarantenne, splendido esemplare di quella “generazione di sconvolti, senza più santi né eroi” che ha aperto gli occhi su un mondo in cui le certezze cadevano come birilli (fine Settanta, Ottanta): una “faccia di vinile” che non si adatta a crescere e rimane aggrappato disperatamente al Rock e al Toro (anzi, a una certa idea incorruttibile di Rock e di Toro). Se non vi basta, sentitelo mentre pensa a voce alta:
“non si può sottrarre a nessuno il diritto a rimanere “forever young”, come cantava Dylan in una ninna nanna al figlio Jakob, che oggi guida i Wallflowers nel segno della continuità. E se questo vuol dire essere un disadattato, un disarcionato nel rodeo dei benpensanti, accetto questo ruolo. Come diceva un vecchio saggio, vivo a cavallo tra due mondi, e nessuno è il mio”.
La lingua di Massimo Cotto è uno spasso, rapida e avvincente, visionaria, piena di trovate e citazioni musicali, divertente grazie a quel cinismo che hanno in dote solo i romantici feriti (e chissà quanto ha contato il suo inconscio granata nella scelta del nome del protagonista, Sandor Marlav… a proposito di sogni infranti). Hobo ha insomma tutto per essere il primo tassello naturale nel mosaico di Fuoriarea: parla di passioni che hanno preso il sopravvento, il timone, e guidano la vita lontano dalla noia e dalla terra ferma. Che altro dire? Questo libro mi ha fregato quando, curiosando in libreria, sono andato a sbattere contro il suo clamoroso attacco… Lo riporto di seguito e, sperando che possa incuriosirvi come ha incuriosito me, vi do appuntamento alla prossima settimana. Ciao!
“La prima volta che io e Terry abbiamo scopato, lei aveva 15 anni, io 16, Tom Waits 29. Il fatto che io inserisca nel mio ricordo l’uomo di Pomona anziché archiviarlo come semplice colonna sonora dell’evento è, secondo Giulia, il segno dominante della mia personalità disturbata (…). Giulia è un’idiota. Del resto, che cosa potrei aspettarmi da una che non ha mai pianto su Late for the sky e che pensa che Superga sia una marca di scarpe?”
Un abbraccio a tutti, Marco
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