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Due corazzate

Redazione Toro News
di Andrea Ciprandi

Fra le squadre che partecipano ai maggiori campionati europei iniziati in questa seconda metà dell’anno, solo Manchester United e Real Madrid non hanno ancora perso. In verità, un inizio di stagione analogo l’hanno avuto anche Rangers, Porto, Twente, Bursaspor e Copenhagen, Zilina in Slovacchia, Maribor in Slovenia, Lovech e Chernomorets in Bulgaria, Timisoara in Romania e Valletta a Malta, ma la qualità dei tornei a cui partecipano dà, ahimè, meno lustro alla bontà di quanto fatto fin qui. Menzione a parte merita il Rosenborg, che a una sola giornata dalla conclusione del campionato norvegese iniziato invece la scorsa primavera è già a un passo dall’ottenimento di una rara stagione di imbattibilità. Tornando a merengues e Red Devils, a dispetto dell’imbattibilità di entrambe non stanno ottenendo gli stessi risultati, benché parziali, questo anche in ragione di caratteristiche diverse che poggiano su inconciliabili concezioni del calcio. Vale quindi la pena di confrontarle. Il Madrid di Florentino Perez, rieletto Presidente lo scorso anno dopo che nel corso del precedente ciclo aveva portato nella bacheca dei Galacticos, com’erano chiamati ai tempi, due campionati, una Champions League e un’Intercontinentale in sei anni, si è affidato alla guida di Mourinho. Nel portoghese sarebbe stato individuato l’unico allenatore in grado di destare la squadra dal torpore di sei edizioni consecutive della massima manifestazione europea conclusesi già a marzo. Un’altra urgenza del Madrid è quella di interrompere il dominio del Barcellona, che dopo aver clamorosamente consegnato in tempi recenti proprio alle merengues un paio di campionati quasi vinti ha saputo far suoi gli ultimi due e solo un anno fa ha messo a segno un en plein di titoli nazionali e internazionali (sei su sei disponibili nel 2009) che difficilmente verrà eguagliato e mai potrà essere superato, a meno che non lo si ripeta più volte. Benché stando alle sue dichiarazioni avrebbe messo insieme una squadra nuova di zecca e per questo difficile da far decollare immediatamente, Mourinho ha inserito in un gruppo già formato di fortissimi titolari solo le due stelle tedesche Khedira e Oezil e il fenomeno argentino Di Maria oltre al fedelissimo Carvalho: i vari Cristiano Ronaldo, Xabi Alonso, Benzema, Albiol e Arbeloa, infatti, erano arrivati già l’anno scorso, e Sergio Ramos, Pepe, Marcelo, Lassana Diarra, Gago e Higuain erano punti più o meno fermi prima del suo arrivo, con Casillas poi che è un senatore. Discorso a parte meritano Kakà, ancora infortunato nella sua seconda stagione madridista, il prodotto del vivaio Granero, che aveva già debuttato coi professionisti, e una serie di nuove acquisizioni di secondo piano la migliore delle quali sembra portare il nome di Pedro Leon. In questo primo scorcio di stagione, insomma, l’eloquenza si sta rivelando ancora una volta la dote fondamentale dell’ex allenatore di Porto, Chelsea e Inter. E nonostante il momentaneo primato in classifica alla fine ci sarà bisogno di risultati concreti. Il gioco, quello, ai palati raffianti dei tifosi del Madrid piace solo quando è bello e finora raramente ha convinto, ricalcando quello che ha sempre contraddistinto il cosiddetto Special One: efficace ma utilitaristico al massimo e per questo dipendente in tutto e per tutto da interpreti di primissimo piano, grandi sia per le doti tecniche che per la disponibilità a sacrificare le proprie caratteristiche alla causa. Causa personale del tecnico, che in considerazione dei dorati mordi e fuggi degli ultimi anni questi fa coincidere per qualche tempo con quella del Club da cui è pagato. Solo importanti conquiste, allora, potranno eventualmente dimostrare la sua grandezza assoluta dopo che le prime due della Liga, Barcellona e Real Madrid appunto, nelle ultime stagioni hanno già dato distacchi da record alle terze: rispettivamente 18 e 15 nel 2009-10 e 17 e 8 nel 2008-09. E dopo che il Madrid, l’anno scorso, con l’ingiustamente bistrattato Pellegrini è stato capace di mettere insieme addirittura 96 punti, frutto di 31 vittorie in 38 partite, di cui 12 consecutive, una sola sconfitta interna e 102 gol realizzati (53 solamente da Higuain e Cristiano Ronaldo nonostante il portoghese fosse stato fuori per infortunio parecchie settimane). Numeri da capogiro a cui dirigenti e sostenitori del Club possono preferire solo trofei alzati al cielo.Venendo al Manchester United, invece, c’è poco da dire: quelli giocano. Le capacità manageriali universalmente riconosciute a Ferguson, però, non sempre sono andate a braccetto con altrettanta arguzia tattica, al punto che se non ha vinto anche di più la causa può essere ravvisata proprio nell’interpretazione sostanzialmente omogenea che lo scozzese dà di ogni partita. E quest’anno non fa eccezione. Ma è un fatto di mentalità, oltre a dipendere della tentazione fortissima di far scatenare calciatori così bravi, a cui il tecnico cede sempre: quando lo United gioca male fa notizia e i suoi tifosi, a cui di base sta meglio vedere grandi partite che vincere a tutti i costi, hanno comunque imparato che bellezza ed efficacia è più facile che coincidano piuttosto che invece no. Curioso come un futuro abbastanza prossimo potrebbe vedere proprio Mourinho sulla panchina dei Red Devils, perché lo scontro culturale sarebbe inevitabile ed evidentissimo al di là dell’affetto che il portoghese dichiara da sempre di nutrire per il Club dell’Old Trafford. Venendo all’andamento della stagione, l’inaffondabilità dello United non ha però ancora portato al primato in classifica. Con 22 reti già segnate in 10 partite, responsabile di un ritardo (sul Chelsea) non ancora eccessivo ma che non possono permettersi di lasciar aumentare è evidentemente la difesa: privata per molte giornate di Rio Ferdinand, ha concesso alcuni clamorosi recuperi agli avversari, a cui spesso è stato consentito di raddrizzare allo scadere partite ormai compromesse. E’ anche in corso un autentico cambio generazionale. In attacco, con Rooney che sta ancora pagando i postumi dell’infortunuio subito all’ultimo minuto della Semifinale d’andata di Champions dello scorso anno, è esplosa la stella del neo acquisto ‘Chicharito’ Hernandez e il nostro Macheda sta trovando sempre più spazio accanto a un ritrovato Berbatov. Dietro invece si sta affermando Rafael, uno dei due gemelli da Silva, ed Evans e Gibson sembrano poter ripercorrere le orme di O’Shea, fra i migliori dodicesimi uomini al mondo. Aspettiamo poi di vedere cosa farà Bébé, l’ex senzatetto dai piedi d’oro arrivato in estate e che in Coppa di Lega ha recentemente siglato il suo primo gol con questa maglia.In definitiva, a parità di solidità la differenza sostanziale fra queste due squadre edizione 2010-11 risiede nel gioco e nella posizione in classifica. Mourinho, primo con un punto di vantaggio sul Barcellona, ha puntato come suo solito su campioni già affermati, vere e proprie garanzie, non necessariamente giovani e soprattutto pronti all’uso; l’ha fatto ancora perché i suoi piani non sembra che nemmeno questa volta andranno oltre un biennio e, detto brutalmente, di quel che sarà della squadra una volta andato via non si cura. Ferguson, invece, è secondo a parimerito con l’Arsenal a -5 dalla ex squadra di Mourinho ora condotta da Ancelotti. Incarnando l’esatto opposto del portoghese dopo un quarto di secolo di permanenza nello stesso Club, continua la sua politica di formazione di ragazzi potenzialmente tutti capaci di trasformarsi in vecchietti tra i più forti e in forma che ci siano in giro, com’è successo a Giggs e Scholes. Si sta anche confermando abile nel lanciare e gestire giovani talenti almeno quanto il più illustre fra i colleghi identificabili con questa missione, l’amico-nemico Arsène Wenger. Non fosse così, non avrebbe vinto una Champions nel ’99 coi suoi Babes, tutti prodotti del vivaio, fra cui gli allora poco più che ventenni Beckham, Giggs, Scholes, Butt e i fratelli Neville; e adesso non punterebbe sui già citati gemelli da Silva, Macheda, Bébé, Hernandez, Evans, Gibson e poi Anderson, Nani, Valencia, Smalley e Obertan, di cui alcuni pagati poco o niente a dispetto dell’inquietante potenza finanziaria di questo Club, e molti dei quali sentiamo nominare da tanto tempo non certo per via dell’età (21 anni di media fra tutti) ma proprio a causa della politica e dell’abilità di Sir Alex.Insomma, tra Real Madrid e Manchester United ce n’è per tutti: per gli amanti della concretezza, della bellezza e di tutt’e due queste caratteristiche messe insieme, per chi pensa che il calcio sia solo vincere e per chi crede che significhi innanzitutto giocare.