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El finde del Clásico

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Se qualcuno poteva credere che non ci fosse altro paese al mondo più incentrato sul calcio dell'Italia può facilmente ricredersi: la Spagna, da questo punto di vista, ci supera di gran lunga. In giro per le strade, nei negozi o in università ci...
Stefano Rosso

Se qualcuno poteva credere che non ci fosse altro paese al mondo più incentrato sul calcio dell'Italia può facilmente ricredersi: la Spagna, da questo punto di vista, ci supera di gran lunga. In giro per le strade, nei negozi o in università ci si può facilmente imbattere in gente che veste con orgoglio magliette da gioco di ogni colore e categoria - mi vanto di essere riuscito a riconoscere quella del Logroñes, terza divisione spagnola - e non c'è bar che ad ogni ora del giorno e della notta non abbia un televisore sintonizzato su un canale che, a prima vista, pare inquadrare qualcosa di verde indefinito, ma già ad una seconda si può facilmente distinguere omini, squadre e risultato. Come se non bastasse, poi, a fare da contorno all'arredamento fanno capolino anche sciarpe, bandieroni, foto e gagliardetti di compagini che nemmeno i programmatori di Football Manager potrebbero mai immaginarsi.

Addirittura le emittenti televisive, nazionali e non, ostentano programmi e approfondimenti continui sul calcio, trasmettendo quanto possibile il maggior numero di partite consecutive: se ieri mi sono risparmiato la differita a notte fonda del 3-0 del Malaga sull'Anderlecht di Champions League, martedì mi sono rallegrato da buon invasato dei 180' consecutivi di Champions League, guardando con gusto la replica di Valencia-Lille a seguito di Barcelona-Benfica.

A proposito di Barcelona stamattina ho avuto una conversazione surreale con un amico spagnolo. Ci eravamo lasciati domenica sera durante i festeggiamenti per doppia goleada Torino-Valladolid (mentre noi, infatti, travolgevamo l'Atalanta a Bergamo, a pochi kilometri dal mio computer il Real Valladolid asfaltava il Rayo Vallecano per 6-1): lui, Bruno, un ultrà della formazione blanquivioleta con tanto di scudo tatuato sulla pelle, mi ha sorpreso per strada mentre cercavo di raccogliere tutta la concentrazione necessaria per far fronte ai 5° con cui Valladolid suole salutare i suoi abitanti alle 9 di mattina agli inizi di ottobre.

''Già agitato per il finde? - fine settimana, ndr - Vi aspetta una partita importante, la gente non parla d'altro da giorni''.

La mia mente, vanificando ogni sforzo di sopravvivenza, scorre velocemente al prossimo impegno: ''Cagliari? Perchè la gente non dovrebbe parlare d'altro da giorni?".

Le riflessioni fortunamente non fanno in tempo a prendere forma chè Bruno mi distoglie: "Es el finde del Clásico, Barcelona contro Real Madrid" dice aprendosi la giacca e palesando sorridente la camiseta blaugrana che portava addosso.

Rimango un attimo confuso da questa immagine: Bruno el pucelanos - nome degli abitanti di Valladolid - sfegatato sostenitore dei blanquivioleta che ostenta con orgoglio la maglia di un'altra squadra.

"Ma non tifi per il Real Valladolid?" gli domando incuriosito.

"Si, ma cosa c'entra. In Spagna ciascuno ha la propria squadra, ma per il finde del Clásico ci si divide tra Barça e Real Madrid: come si farebbe altrimenti a vedere la partita?".

La domanda retorica mi risuona poco convinta in mente, ma lascia immediatamente spazio ad un altro interrogativo altrettanto interessante, considerando la vicinanza di Valladolid a Madrid: ''Perchè il Barcelona?".

"Che domanda, tio - come suole chiamarmi quando gli dico qualcosa di ovvio - è chiaro: il Barça è calcio, il Real Madrid no. Basta pensare a Mourinho o a Pepe''.

Senza scomodare episodi troppo lontani nel tempo, leggasi Sergio Busquets, mi viene spontaneo ribattere sul comportamento di Fabregas contro il Siviglia: a 18' dalla fine col Barcelona sotto per 2-1 ha finto un colpo scorretto inducendo l'arbitro ad espellere Medel e favorendo la rimonata dei blaugrana tra l'89' ed il 93' e ribaltando il risultato nel 3-2 finale.

"Tio, ma cosa dici - mi domanda evidentemente stupito - quella è solo una simulazione, un modo come un altro per avere un vantaggio durante una partita. E' una cosa italiana, l'avete inventata voi: ricordi Grosso ai Mondiali del 2006 contro l'Australia''.

La memoria mi tradisce in quello specifico momento ma il tentativo di spiegare la differenza tra una scorrettezza volta ad infliggere una penalità non recuperabile, come un cartellino rosso, all'avversario ed il trarre vantaggio dalla concessione di un calcio di punizione o di rigore è totalmente vano.

Nelle sue parole, però, ricompare un nuovo concetto interessante: ''Il Real gioca solo palla lunga e interventi duri, noi invece siamo il calcio, siamo més que un club".

Quest'ultima battuta introduce una nuova incognita: tralasciando l'utilizzo della prima persona e l'immedesimazione in una squadra non propria, gli domando il significato del motto tanto famoso: "Siamo più che una squadra perchè per noi il calcio è un culto: fino ai bambini viene inculcato il concetto del gioco del pallone, dello spettacolo e del rispetto dell'avversario. E' così siamo riusciti ad organizzare una cantera in grado di sfornare i migliori talenti degli ultimi anni ed incantare tutto il mondo con il tiki-taka".

"Ma il més que un club - ribatto - non affonda le sue radici nella resistenza catanala alla dittatura franchista e nell'identità indipendentista della Catalunya?"

"Una volta, tio - risponde Bruno guardando l'orologio - adesso Franco non c'è più e tutti i giocatori del Barça sono diventati campioni d'Europa e del Mondo con la Roja, te lo sei dimenticato?" conclude beffardo.

Vorrei domandardi ancora come più di ottant'anni di valori ed ideologie storiche e politiche possano essere stati tanto facilmente e superficialmente reinterpretati in qualcos'altro di non particolarmente coerente (parlando di rispetto dell'avversario inculcato sin da bambini e dell'episodio di Fabregas contro il Siviglia) ma ormai non c'è più tempo: "Nos vemos pronto" mi saluta con un gesto della mano dall'altro lato della strada.

Ci rivedremo sicuramente domenica sera, in qualcuno dei tantissimi bar che faranno vedere la partita. Per il resto, mentre mi allontano pensando a quante volte ho guardato Inter-Roma senza vestirmi dei colori nè dell'uno nè dell'altra, mi rendo conto che evidentemente no pasa nada se si cambiano storia, passione e tradizioni. Si può perdonare tutto, ma solo per stavolta: è il finde del Clásico.

 

Stefano Rosso (Twitter: @ste_ro_)