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Una di quelle notizie che scuotono il mondo, una di quelle che si ricordano negli anni a venire: Mu'ammar Gheddafi é morto. La gente si é riversata nelle strade della Libia all'annuncio, ora confermato dal governo transitorio del Paese, del decesso del dittatore che ha tenuto in mano il potere per 42 anni, dopo il colpo di stato con il quale venne destituita una monarchia accusata di "filo-occidentalismo".
Il dittatore sarebbe stato trovato nascosto in una buca; le voci si susseguono concitate in questi minuti, in un primo momento si é detto che la morte sarebbe sopraggiunta in seguito alle ferite riportate nella cattura, ma anche qui si é detto di spari alle gambe, di bombardamenti Nato sul suo convoglio, e infine anche di un colpo alla testa. L'unica conferma da parte di ogni fonte, nel momento in cui cade definitivamente Sirte (superstite roccaforte dei suoi fedelissimi), é che le sue ultime parole siano state "Non sparate!". Non é stato ascoltato.
Il leader libico, dalla storia strettamente legata a quella italiana (mille minacce, pochi fatti, e una recente quanto effimera amicizia con Roma, unico governo occidentale a riconoscere onori al dittatore), aveva molti interessi economici nella nostra terra; interessi legati anche al calcio, sua passione (ma specialmente dei suoi discendenti), soprattutto a quello italiano, con sponsorizzazioni e investimenti in squadre (Atalanta e Juventus) tramite società petrolifere, e con la presenza di uno dei figli come "calciatore", volutamente fra virgolette, di Serie A (Saadi Gheddafi, sceso in campo con Perugia e Juventus, e tesserato anche per la Sampdoria). "Sic transit gloria mundi", il commento del primo ministro Berlusconi. Gheddafi, dunque, non dovrà rispondere dei suoi presunti crimini ad alcun tribunale: ma almeno sarà questa davvero la fine della guerra in Libia?
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