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Grandi si è, non si diventa

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 di Andrea CiprandiQuesta rubrica intende essere una finestra sul panorama calcistico mondiale. Partendo non necessariamente dalla cronaca, mira a offrire spunti di riflessione rispettosi delle diverse identità di questo sport nei...
Redazione Toro News

 

di Andrea Ciprandi

Questa rubrica intende essere una finestra sul panorama calcistico mondiale. Partendo non necessariamente dalla cronaca, mira a offrire spunti di riflessione rispettosi delle diverse identità di questo sport nei tanti luoghi ove è praticato, con un occhio parimenti attento alle realtà di cui meno si parla.  

Sono tante le squadre che hanno segnato un’epoca. Ce ne sono anche a cavallo di questo secondo decennio del nuovo Millennio e fra qualche tempo le ricorderemo come tra le più forti e strabilianti non solo di questo periodo ma forse anche dell’ultimo mezzo secolo. Grandi, si dice di loro. Ma partendo da quali presupposti? Credo che valga la pena di capire quali sono le basi su cui si sono costruite - o stanno per costruirsi - tante fortune.

In Inghilterra i veterani del Manchester United stanno assistendo alla resurrezione del City. Una sostanziale differenza sta però alla base della comprovata grandezza dei Red Devils rispetto a quella che promettono di raggiungere i Citizens ripercorrendo le orme del Chelsea di Abramovich. Giggs, Gary Neville e Scholes fanno infatti parte del gruppo dei cosiddetti Fergie’s Fledglings – ossia alle prime armi - che comprendeva anche Beckham, Phil Neville e Butt. Questi ragazzi, resistendo a una selezione attraverso la quale Sir Alex si liberò invece dei giovani meno talentuosi e presi per mano da Cantona, iniziarono a vincere subito e arrivarono a conquistare tutti insieme l’Europa essendo partiti dal vivaio. A distanza di vent’anni dalla nascita di quella splendida creatura calcistica, al City si sta invece procedendo all’acquisto dei pezzi ritenuti più idonei all’allestimento di una squadra vincente, con l’idea di farne a breve la regina continentale. Se anche è vero che questo particolare United può permettersi di pagare stipendi da capogiro e aggiudicarsi un grande e costosissimo campione all’anno, resta il fatto che ancora oggi molti suoi nuovi protagonisti sono giovani che Ferguson inserisce da adolescenti nell’Academy prima di farli debuttare in prima squadra. Mancini, invece, al momento si limita a farsi comprare grandi stelle già formate, ragion per cui se arriverà a vincere non lo farà diversamente da molti altri Club che hanno la fortuna di essere stati scelti da un multimilionario col vizio del calcio. Come dire… ti piace vincere facile… 

Una vicenda analoga a quella attuale del Manchester City ha riguardato il Chelsea che nel 2003 diventò Chelski agli occhi di chi l’avversa. Con l’arrivo di Abramovich, all’improvviso i Blues poterono permettersi acquisti importanti rinunciando di fatto all’inserimento di giovani del vivaio, ritenuto ormai superfluo perché avrebbe comportato troppo tempo rispetto alla smania di vincere del suo nuovo proprietario. Il magnate russo cavalcò l’impazienza di centinaia di migliaia di tifosi che erano tornati a godere di qualche vittoria solo da poco e dopo lunghi decenni di astinenza con una colonia di stranieri di cui facevano parte Zola, Vialli e Di Matteo. Nessuno può discutere la qualità dei suoi giocatori presenti e del recente passato, ma è indubbio che ci sia meno merito nella costruzione di una squadra basata sul portafogli del suo proprietario, sempre pronto a correggere il tiro se qualcosa non va staccando l’ennesimo assegno, piuttosto che sulla creazione di un gruppo identificato col Club, che di esso esprime il valore del momento. Certo, non può andare sempre bene e possono anche trascorrere anni prima che si ripresenti una generazione di fenomeni, con la logica conseguenza che nel frattempo si possa anche ricorrere al mercato in modo massiccio, ma ci sono Società che tendono innanzitutto a salvaguardare il proprio DNA. L’Arsenal, che non vince più da cinque anni ma si qualifica costantemente per l’Europa e d’accordo con Wenger non smette di radunare giovani da tutto il mondo che finiscono puntualmente per incantare tutti, come quelli che nel 2006 raggiunsero la Finale di Champions League, e per esempio il Middlesborough, che è disposto a giocare qualche tempo nelle Divisioni inferiori pur di continuare ad affidarsi innanzitutto ai propri ragazzi, sono altri due casi che stridono col modello di City e Chelsea.   

Spostandoci in Spagna troviamo gli esempi forse più evidenti di quanto diversamente si possa impostare un Club. Mi limiterò a tre fra i tanti. Nelle ultime stagioni, in media sette o otto titolari del Barcellona, la squadra più spettacolare degli ultimi vent’anni e fra le migliori di sempre, vengono dal vivaio, la famosa Masia. Come se non bastasse, con l’eccezione più evidente di Messi che è argentino la maggior parte di loro si è anche laureata campione d’Europa prima e del mondo poi con la Spagna. Mentre i ‘blaugrana’ continuano a sfornare campioni e di recente si sono dimostrati addirittura preoccupati per non riuscire a forgiare attaccanti in erba con la stessa facilità con cui plasmano centrocampisti e difensori, a Madrid sponda Real con la presidenza Perez si è tornati a inseguire record in fatto di cifre sborsate per far giocare al Bernabeu i nomi più altisonanti che ci sono in circolazione, meglio se attaccanti. Quest’anno Mourinho ha portato un po’ di buon senso scegliendo, sì, altri solisti talentuosissimi oltre a quelli che già c’erano, ma almeno in ogni reparto. Nemmeno lui però ha il coraggio di lanciare in blocco delle giovani ‘merengues’; non credo che in ogni caso lo farebbe, vista la predilezione che ha per organici di qualsiasi genere basta che siano già forti al punto da potersi autogestire, ma non gli si può nemmeno dare torto se guardando nel vivaio non ha trovato molti ragazzi pronti, che da altri avrebbero dovuto essere cresciuti nel corso degli anni. Insomma, al Real potranno sempre dire che l’odiato Barcellona ha vinto la sua prima Champions League poco più di quindici anni fa e che ne ha solo 3 contro 9, ma se si parla di scuole calcistiche allora il confronto non si pone e il Madrid scompare, limitandosi a essere il Club più noto fra quelli a cui piace vincere facile. Non parliamo poi della magra figura che fa anche rispetto all’Athletic di Bilbao, una Società nobile al punto da affidarsi esclusivamente a giocatori baschi senza per questo aver vinto molto meno di tanti altri che pescano ovunque.    

In Germania c’è un’altra grande che non rinuncia all’identificazione territoriale e con essa al ruolo centrale del vivaio: è il Bayern, con Lahm e Schweinsteiger ma anche le nuove stelle Müller, Contento e Badstuber che sono tutte originarie della zona oltre che sorte dalle giovanili. I bavaresi sono il classico esempio di come si possa essere all’avanguardia e decisamente ricchi senza prescindere dalle radici. Basta volerlo. Anche se quanto l’Ajax non sembra volerlo nessuno. La Scuola degli Arcieri di Amsterdam è universalmente riconosciuta quale la migliore al mondo. La conquista da parte di suoi prodotti di epoche diverse di 10 trofei internazionali – incluse 6 fra Intercontinentali e Coppe dei Campioni - sono la testimonianza di come una seria e durevole attenzione al settore giovanile, reputato anche più importante della prima squadra e onorato attraverso il lancio continuo di suoi elementi tra i professionisti, non impedisca il raggiungimento di alcun obiettivo, incluso quello per ottenere il quale ogni anno decine di Club europei muovono complessivamente miliardi di euro. Senza stare a soffermarsi sull’epico gruppo di Cruijff & C. che vinse tutto giocando il calcio totale, alla Finale dell’ultima Champions League conquistata, quella del 1994-95, oltretutto guidati da un allenatore-simbolo del Club come van Gaal presero parte 8 giocatori usciti dal vivaio: van der Sar, Reiziger, i due gemelli De Boer, Rijkaard, Seedorf, Davids e l’allora 18enne Kluivert che fra l’altro decise la partita. Dall’altra parte, a onor del vero, c’era comunque un Milan che di rossoneri DOC schierava se non altro Maldini, Baresi, Costacurta e Albertini e in panchina aveva portato Stroppa. Altri tempi…

Per finire, uno sguardo al Sud America a ad alcuni suoi illustri rappresentanti. Il River Plate schiera ormai regolarmente quattro o cinque giocatori meno che ventenni e provenienti dal vivaio non tanto per necessità economiche quanto per impostazione, e fra loro spiccano gli oggetti del desiderio di tanti Club nostrani Lamela, Rogelio Funes Mori e Lanzini. Al momento è anche il Club argentino che più giocatori dà alle Nazionali giovanili biancocelesti (6 all’Under-20 e 8 all’Under-17), con Pezzella e Cirigliano che da protagonisti del Mondiale che si sta svolgendo in Perù benché ancora non abbiano un posto da titolare nel River potrebbero passare direttamente in Serie A. In questo, i ‘millonarios’ rinverdiscono una lunghissima tradizione che li ha sempre visti distinguersi dai rivali del Boca Juniors, notoriamente abili soprattutto – ma semplicemente – nel mettere a punto campioncini sorti altrove. C’è però una Società che in Argentina incarna l’esaltazione del vivaio più di ogni altra – e dalla quale non a caso è uscito Messi, poi finito alla Masia. E’ il Newell’s Old Boys, che nel 1998 e nel 1992 arrivò a disputare la Finale di Copa Libertadores con rispettivamente 18 su 18 e 22 su 25 giocatori della rosa provenienti dalle giovanili, e che in quel periodo vinse tre volte il campionato. 

Insomma, ogni volta che diamo della grande a una squadra che vince dovremmo chiederci se sia il caso e comunque ricordarci che ce ne sono anche di grandissime.