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I quadrumani

Redazione Toro News
 di Andrea CiprandiQuesta rubrica intende essere una finestra sul panorama calcistico mondiale. Partendo non necessariamente dalla cronaca, mira a offrire spunti di riflessione rispettosi delle diverse identità di questo sport nei...

 

di Andrea Ciprandi

Questa rubrica intende essere una finestra sul panorama calcistico mondiale. Partendo non necessariamente dalla cronaca, mira a offrire spunti di riflessione rispettosi delle diverse identità di questo sport nei tanti luoghi ove è praticato, con un occhio parimenti attento alle realtà di cui meno si parla.  

Sono sempre esistiti calciatori capaci più di altri di accendere la fantasia degli appassionati. Quelli da cui ci si può sempre aspettare qualcosa, le cui giocate si è disposti ad attendere per tutta una partita perché quando entreranno in azione sapranno sicuramente meravigliare. Molti di loro sono il cosiddetto cervello della squadra, i famosi numeri 10 che oggi mancano, registi o rifinitori in grado di leggere la partita, di interpretarla, io dico soprattutto immaginarla, pensarla come il resto della gente, sul campo e non, mai potrebbe. Cambiano ritmo, fanno un mezzo passo, si fermano un secondo, si danno uno sguardo intorno e poi piazzano un colpo di biliardo. Il campo, allora, prende subito un’altra forma e come potremmo fare grazie alle moderne telecamere mobili a un tratto lo vediamo anche noi come loro già avevano fatto, girandoci idealmente intorno e avendo svelata la chiave ideale per affrontarlo.

In apparente, totale contrapposizione a questa categoria ci sono i portieri. Giocatori relegati di base a due aree di cui una poco più grande dell’altra ma entrambe immensamente più piccole del campo a disposizione di registi e rifinitori. Limitati oltretutto dal predominante utilizzo delle mani impostogli dal regolamento rispetto ai piedi che il resto della squadra per lo più usa. E se queste differenze non fossero sufficienti, ecco che interviene la divisa, con maglie che mentre li fanno spiccare rispetto ai giocatori di movimento finiscono per isolarli ancor di più.

Dato però che sul campo come nella vita ognuno è libero di esprimersi come può ma soprattutto crede, ed è in base a questo che si riconoscono i campioni, alcuni portieri hanno saputo interpretare il proprio ruolo in maniera unica, sfoggiando uno stile inconfondibile e utilizzando ogni parte del proprio corpo, arrivando in qualche caso a privilegiare gli arti inferiori o a non essere più avvertiti esclusivamente come estremi difensori. 

Mi limiterò a citare i più recenti fra loro, in modo che possiamo tutti condividere qualcosa per averlo vissuto direttamente. Con buona pace di atleti particolari come Sentimenti IV e Rigamonti.  

Il portiere che più ha incendiato la mia fantasia è sicuramente il danese Peter Schmeichel, eletto per due volte il migliore al mondo. Consacratosi al Manchester United insieme a Cantona e alla generazione di fenomeni passata alla storia come Fergie Babes, per intenderci quella di Beckham, Giggs e Scholes, era un vero selvaggio, anche più di quanto lo fosse stato Grobbelaar. Tipiche sue erano le uscite a una mano sola, le parate coi piedi (che in Italia erano state il marchio di fabbrica di Garella) e i colpi di reni, uno dei quali valse ai Red Devils la conquista della Champions League del ’99 al termine dell’epica Finale contro il Bayern. Quella sera si produsse in una deviazione in tuffo determinante almeno quanto la fortuna in occasione dei legni colpiti dai bavaresi prima del micidiale uno-due nel recupero di Sheringham e Solskjaer. Poche settimane prima, al 90’ della Semifinale di Coppa d’Inghilterra contro l’Arsenal, aveva parato a Bergkamp un rigore che, fosse stato realizzato, avrebbe impedito allo United di ottenere il Treble costituito da campionato, coppa nazionale e Champions League. Sette anni prima, invece, un rigore decisivo l’aveva parato a un altro campionissimo olandese, van Basten, sempre in Semifinale ma questa volta degli Europei, quelli che la Danimarca riuscì a vincere in Svezia dopo essere stata ripescata al posto della Jugoslavia. Come se non bastasse, al Danese Volante si deve un’altra pagina storica dello United: nell’autunno del 1995, infatti, allo scadere della partita interna contro il Rotor, in Coppa UEFA, segnò di testa la rete del definitivo pareggio evitando la prima sconfitta europea interna di sempre al Club dell’Old Trafford.

Chi con la rete avversaria aveva grande dimestichezza è invece Chilavert, il vulcanico portierone del Paraguay che tanto vinse soprattutto con gli argentini del Velez Sarsfield, inclusa un’Intercontinentale contro il Milan. Era specializzato in calci piazzati, punizioni e rigori, e nel corso dei suoi 26 anni di carriera fra squadre di Club e Nazionale segnò la bellezza di 75 gol, uno dei quali all’Argentina al Monumental di Buenos Aires.

Un altro eroe del passato è René Higuita, che a differenza di Chilavert un’Intercontinentale giocata contro il Milan la perse. Questo colombiano dall’aspetto eccentrico, capelli lunghi sulle spalle e baffoni scuri sulle labbra carnose, era indefinibile: molto più che un portiere spericolato e molto più che… una macchina da gol. Era la follia personificata. Basti pensare al famoso ‘colpo dello scorpione’ di Wembley, contro l’Inghilterra, con cui bloccò sulla linea di porta un tiro destinato alla rete (vedi foto). In poco più di 400 partite ufficiali mise a segno una quarantina di gol, ma lo spettacolo che offriva dipendeva dalla sua conduzione dell’incontro, dalle sue corse su e giù per il campo, dai dribbling al limite davvero pochi dei quali non riusciti e che quindi ingiustamente qualcuno ha indicato quali prova dalla sua supposta inaffidabilità, quasi fosse un fenomeno da circo. Al contrario, era un autentico artista e non è forse un caso che con lui nella Colombia giocasse un altro illuminato, Valderrama. Non vale la pena di stare a spiegarlo a chi non va oltre le folte chiome e l’uscita dai canoni per bollare negativamente i calciatori e la gente in generale, e nemmeno a chi in un gioco non riesce a trovare motivo di divertimento e creatività… 

A essere ancora in attività è invece Rogerio Ceni, uno che di gol ne ha già fatti più di ottanta. Personalmente sono felice che sia riuscito a segnare anche al Maracanà nell’ultima occasione che ha avuto a disposizione prima che lo stadio venisse chiuso per restauri in vista dei prossimi Mondiali, qualche mese fa. Per quanto sia longevo, infatti, è facile che l’estremo difensore del San Paolo ora del 2014 si sarà ritirato.

Una menzione a parte merita Jorge Campos, l’ex minuscolo portiere del Messico noto anche per le divise sgargianti che si disegnava e faceva confezionare. Alto appena 1 metro e 68, non solo fece una splendida carriera tra i pali ma agli albori giocò da centravanti, segnando a raffica per i Pumas. Non avendo mai perso il vizio del gol nemmeno quando cambiò ruolo, arrivò a collezionare una quarantina di centri in poco più di 400 partite.

Più recentemente, potremmo ricordare il portoghese Ricardo che oltre ad aver sempre tirato e segnato parecchi rigori ne ha parati tantissimi, i più famosi restano quelli dei penultimi Europei contro l’Inghilterra (Nazionale contro la quale si verificano sempre fatti curiosi), che bloccò a mani nude. Esattamente il contrario rispetto a un altro mostro sacro, il tedesco Sepp Maier che invece utilizzava guantoni di un paio di taglie più grandi del necessario per estendere il proprio raggio d’intervento... In verità però questa sua caratteristica è poca cosa rispetto alle imprese degli altri portieri citati, ai quali mi sento di attribuire uno spirito prima ancora che un talento fuori del normale. E che idealmente ringrazio per aver saputo aggiungere qualcosa a un gioco che ultimamente sta diventando troppo prevedibile. E’ un peccato che certe cose le possiamo ormai soltanto ricordare, ma almeno questa consolazione l’abbiamo. E non c’è motivo che mi dilunghi oltremodo nella descrizione di quel che hanno compiuto perché le parole, in questo caso, non possono esprimere troppo: al massimo, aiutano a rievocare.