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di Andrea Ferrini
Cercheremo di evitare in questo articolo facili ipocrisie come definire “coraggiosa scelta”, “decisione che gli fa onore”, il messaggio che Javi Poves vorrebbe dare al mondo del calcio e al mondo intero. A prescindere da ideologie e schieramenti politici, che c’entrano solo marginalmente, vorremmo aiutare ad amplificare il segnale d’allarme che il giovane spagnolo lancia alla società.
Il fatto: Il 21 maggio 2011 il 24enne il calciatore-universitario Javi Poves Gomez debutta nella Liga con la maglia dello Sporting Gijon, subentrando nella ripresa a Barral nella sfida contro l’Hercules di David Trezeguet. Dopo appena due mesi Javi annuncia il proprio ritiro dall’attività calcistica dopo essersi dichiarato “disgustato da un ambiente marcio, rovinato dal denaro e dalla corruzione.”
I primi segnali di “insofferenza” Javi li aveva dati già in precedenza quando aveva chiesto alla propria società di sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie, perché non voleva che si speculasse sul suo denaro. Aveva inoltre pregato di poter restituire l'automobile che il club gli aveva regalato: “Non posso accettare l’idea di avere due auto quando ci sono amici miei che non possono permettersene una.”
Evitiamo facili sarcasmi paragonando Poves a un calciatore italiano qualsiasi, e concentriamoci sulle sue parole. "Ciò che si vede da dentro chiarisce molto: il calcio professionale è solo denaro e corruzione. E' capitalismo, e il capitalismo è morte. non voglio stare in un sistema che si basa su ciò che guadagna la gente grazie alla morte di altri in Sudamerica, Africa o Asia.""A che mi serve guadagnare 1000 € invece di 800, se sono macchiati di sangue - si chiede - se si ottengono con la sofferenza e la morte di molta gente? La fortuna di questa parte del mondo è la disgrazia del resto. Non sono anarchico o antisistema, so solo che non voglio prostituirmi come fa il 99% della gente."
Continua, raccontando ciò che visto : “Da quando iniziamo a dare i primi calci veniamo trattati come bestie: ci istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età è difficile tornare indietro. Finché la gente continua ad accettare il sistema così com’è, non sarà facile cambiare le cose. Io voglio vedere cosa succede nel mondo, andare nei Paesi più poveri per capire.”
L’intento di questo articolo non è innalzare Javi Poves a martire, cosa che neanche lui vuole: “Non mi piace essere un punto di riferimento. Non voglio che ‘Javi Poves’ diventi un’icona. Io combatto la disuguaglianza. Il mio desiderio è che tutte le persone siano uguali e vorrei che ci unissimo per tirare avanti insieme.”
Il giovane spagnolo, Indignado come gran parte dei suoi coetanei, non risparmia neanche le grandi figure del calcio mondiale: “Pelé, Ronaldinho e Messi sono ambasciatori dell’Unicef e questo per l’immagine può andare. Ma per incidere sulla vita reale di quelle persone che dicono di voler aiutare, devono fare molto di più. Devono muoversi in altro modo, essere coinvolti più profondamente. Ma quelli che mi sorprendono di più sono i giocatori che provengono dai paesi del terzo mondo. E ‘incredibile: la maggior parte arrivano da paesi che soffrono, poi vengono qui, guadagnano quattro dollari e si credono dei re.”
L’intento suo, e di questo articolo, non è quello di “di cambiare un sistema, sarebbe utopico, la mia è una critica, una denuncia. Non voglio incitare alla violenza ma contemporaneamente penso sia necessario passare all’azione se vogliamo cambiare in meglio qualcosa.”
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