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C'è qualcosa di strano nello spirito di tanti tifosi italiani. Un atteggiamento che, mi sia concesso, non riscontro in quelli del resto d’Europa ma neanche nei connazionali che seguono altri sport. E’ innegabile che quando si tratta di una semifinale europea o di una sfida di cartello si riversino allo stadio. Normalmente, però, è esattamente il contrario. Ma la ragione non è riconducibile esclusivamente al loro modo di essere e magari pretendere dalla squadra che sostengono più di quanto siano disposti a concederle.La capienza media degli stadi di Premier League inglese è di 38.500 posti e la media di spettatori per partita di 35.500: praticamente fanno sempre il tutto esaurito. In Bundesliga rispettivamente 45.000 e 42.500: idem. Nella Liga spagnola quasi, con 34.500 e 29.000. In Italia, invece , il divario è impressionante: in Serie A 42.000 posti per 25.000 spettatori. Come dire che tolta la curva dei tifosi di casa, tradizionalmente più popolata delle altre zone e capace di contenere all’incirca 1/6 del totale (7.000) rimangono 18.000 anime disperse un po’ qua e un po’ là che, pur nella particolarità di questo mio calcolo teorico, fanno davvero tristezza a occupare uno spazio da 35.000 (i 5/6 del mio stadio virtuale, tolta la curva di casa) che potrebbe ospitarne praticamente il doppio. E’ per questo che le televisioni sono costrette a fare inquadrature menzognere per dare l’impressione che ci sia grande affluenza di pubblico sempre e comunque. Sì, perché le Società, nel frattempo, quando non arrivano a ricreare il pubblico artificialmente come a Trieste chiudono i vari terzi anelli di San Siro (eccezion fatta per lo spicchio in cui sono relegati gli ospiti) e le piccionaie del San Paolo tirate su per Italia 90, quando venne anche coperto e quasi raddoppiato in capacità il Bentegodi ove oggi giocano una squadra encomiabile ma pur sempre di quartiere e una decaduta dopo i fasti dei primi anni Ottanta, si tirò su il San Nicola a Bari e si ridisegnò il Franchi di Firenze abbassandone il campo e facendo digradare gli spalti sullo spazio che fu della pista… Già, la pista, poverina, nobile com’è ma ridotta a essere comprensibilmente detestata da tutti i calciofili vittime dell’ipocrisia per cui gli impianti, comunali, devono essere polifunzionali per poter ospitare anche una sola gara di atletica all’anno. L’ampliamento sciagurato di tanti stadi in occasione di Italia 90, pretesto per assegnare appalti miliardari più che occasione per fare qualcosa di sensato e contemporaneamente futuribile, è andato di pari passo con la costruzione di un paio di piani in più in molti alberghi, per esempio, di Milano. Si pensava che avrebbero dovuto ospitare decine di migliaia di turisti venuti da chissà quale parte del mondo e invece a Milano giocò la Germania, coi tedeschi che facevano avanti e indietro in giornata. Un fallimento immediato ma anche in chiave futura. Non proprio quel che accadde ad Atlanta per le Olimpiadi del ’96. Sorvolando sulla vergognosa e impudente scelta della città di CNN e Coca Cola invece che di Atene nel centesimo anniversario dei Giochi, bisogna comunque riconoscere agli organizzatori, di comune accordo con gli amministratori locali, di aver costruito lo stadio dell’atletica in modo tale che finita la manifestazione lo si è potuto riconvertire per il baseball. In Italia si parla con esaltazione della miseria di un paio di stadi di proprietà, neanche rappresentassero una reale svolta capace di metterci davvero al pari del resto dell’Europa e ormai del mondo. In realtà i progetti più che da planimetrie prima e cemento armato poi sono fatti esclusivamente di parole, comprese quelle accorate di Della Valle che si è visto costretto a mettere una croce sulla Cittadella. E i pochi impianti che stanno sorgendo o si stanno pensando rispondono, così dice chi decide, alle nuove esigenze della società con la ‘s’ minuscola, cioè la gente: devono quindi essere più piccoli e accoglienti, questo perché la maggior parte dei tifosi preferisce stare (in realtà la si preferisce sistemare) a casa davanti alla tivù satellitare o digitale e coloro che invece vanno allo stadio hanno diritto al comfort. Ipocrisia. Anche perché nell’attesa si potrebbero tenere puliti gradinate e bagni che già ci sono. Nel resto d’Europa, dove satellite e digitale ci sono come da noi ma gli stadi sono luoghi godibili, il problema è quello opposto: ampliarli. I 36.000 posti del White Hart Lane (Tottenham) sono troppo pochi, così come sembrano non bastare addirittura i 76.000 dell’Old Trafford (Manchester United), per non parlare dei 42.000 dello Stamford Bridge (Chelsea). E si rifanno anche quelli delle squadre di serie inferiori, che sono tutti gioielli dal New Den (Millwall) a Vicarage Road (Watford) e poi Pride Park (Derby County, che pure ha più di dieci anni) o Deepdale (Preston North End), per esempio. Gli stadi tedeschi sono stati tutti ricostruiti oppure sono in fase di ammodernamento. In Polonia e Ucraina (sede dei prossimi Europei) ce ne sono come non sarebbe stato pensabile fino a davvero poco tempo fa. Anche in Svizzera. E in Portogallo. E sono quasi sempre tutti pieni grazie all’entusiasmo e alla voglia della gente di (continuare a) stare vicino ai propri beniamini. Qualcuno obietterà che in passato si stava tutti schiacciati in curva ma anche nei distinti, in piedi, sotto l’acqua o il sole cocente, e che nella Kop, la curva dei tifosi del Liverpool, in 28.000 (cioè più del numero medio di spettatori in Italia) invece che 12.500 come oggi che ci sono posti a sedere e numerati, si orinava direttamente per terra attraverso un giornale arrotolato non potendosi raggiungere i bagni. Il punto è che allora, prima che per sconfiggere la delinquenza ed evitare altri disastri come l’incendio di Bradford o la sciagura dell’Hillsborough si rifacesse tutto, allo stadio non si trovavano più comodità che altrove. Ma pur con le dovute eccezioni legate soprattutto ai tempi regnava il decoro. Oggi invece, in Italia, per rimanere in tema di bagni, gli stadi sono dei cessi. E la gente lo percepisce, oltre a patirlo sulla propria pelle. Quindi non mi si parli della comodità di seguire il calcio in pantofole quale causa prima del loro abbandono perché chi non era pantofolaio un tempo non tende a diventarlo improvvisamente e senza motivo, e se anche alcuni sono invecchiati e adesso preferiscono la quiete di casa propria al trambusto delle gradinate non si capisce perché nuove generazioni di tifosi non dovrebbero sostituire quelli del passato. Spesso si dice che ai tifosi bisognerebbe offrire anche più merchandising, invogliandoli a frequentare gli stadi costruendoci dentro negozi, ma la verità è che di loro non importa più niente. Non importa dei biglietti che possono pagare, figuriamoci se può interessare tutelarne il ruolo rispetto alle squadre. A me fa rivoltare lo stomaco vedere gli esagitati che una domenica sì e l’altra pure mettono a ferro e fuoco gli stadi o anche semplicemente li insozzano buttando cartacce per terra, e capisco che bar belli come quelli dell’Emirates qui in molti posti non durerebbero una settimana, ma sono altrettanto urtato da chi finge di essere alla continua ricetta per fermare o, peggio, rieducare quella teppaglia e parla come se alle partite c’andasse solo quella. Mi riferisco alle autorità e alle Società. Perché nel frattempo, mentre i soldi piovono dalle televisioni e non più dagli abbonamenti, da luogo di tutti e per tutti che erano gli stadi sono diventati invivibili, spesso pericolosi, comunque insicuri, indesiderabili. Insomma, brutti. Da frequentare e anche da vedere per televisione. Abbandonati innanzitutto da chi dovrebbe gestirli, interessarsene. Non c’è quindi da stupirsi che siano deserti. E in questo deserto, sia chiaro, i barbari non sono la brava gente, cioè le migliaia di tifosi di nome e di fatto.
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