Qualche anno fa hanno definito Boca-River lo spettacolo sportivo migliore al mondo. Credo che si riferissero oltre che alla sfida in sé, che potrebbe essere chiamata anche River-Boca, alle partite giocate alla Bombonera, stadio effettivamente unico nel suo genere per motivi architettonici in grado di esaltare la partecipazione del pubblico. Avendo assistito a nove di queste sfide, alcune delle quali al Monumental ove fra l’altro normalmente gioca la Nazionale argentina, devo dire però che a campi invertiti lo spettacolo non cambia e una predilezione per quello del Boca può dipendere al massimo dall’assenza della pista di atletica benché lo stadio del River sia talmente maestoso che la distanza degli spalti dal rettangolo di gioco non si avverte. Il Superclasico, la sfida che spacca l’Argentina, può essere raccontato in mille modi diversi e sono quindi costretto a scegliere solo qualcosa nel mare magnum degli episodi che ne caratterizzano la storia. Nonostante dal punto di vista umano tutti i derby abbiano uguale importanza e per fare un esempio un altro confronto argentino, Independiente-Racing che va in scena ad Avellaneda, valga per il blasone delle squadre quanto un Boca-River, la sfida tra Xeneizes e Millonarios mantiene qualcosa di unico che va al di là dei grandi numeri e di una comprensibile propaganda mediatica. E’ anche per questo che mi è capitato spesso di volare dall’altra parte del mondo per assistervi, e in un’occasione l’ho fatto a un solo mese di distanza dalla precedente. Era il 2004 e dopo che a metà maggio avevo visto Cavenaghi segnare il gol della vittoria esterna che spianò al River la strada verso il titolo, le due squadre s’incontrarono anche in Semifinale di Coppa Libertadores. All’andata, sempre alla Bombonera, il Boca aveva vinto per 1-0, ma è al Monumental, appena sette giorni dopo, che ancora sotto i miei occhi sarebbe successo di tutto: vantaggio del River nella ripresa con Mascherano, pareggio allo scadere di Tevez e nuovo vantaggio locale con Nasuti al secondo minuto di recupero; quindi, non contando la regola dei gol fatti in trasferta, calci di rigore. E anche qui protagonisti furono due future stelle del calcio europeo: Burdisso che segnò uno dei rigori del Boca e Maxi Lopez del River che sbagliò quello decisivo. Di scontri al cardiopalma in Libertadores ce n’era stato già un altro, quello valevole per i Quarti dell’edizione 2000, quando dopo il 2-1 dell’andata in casa e a favore del River il Boca riuscì a ribaltare il risultato alla Bombonera con un sonante 3-0 che le permise di volare in Finale e poi laurearsi campione del Sud America e del Mondo. Cosa che non sarebbe accaduta invece nel 2004, quando l’Once Caldas, sempre ai rigori, riuscì ad aggiudicarsi la Coppa nell’incredulità generale. I primi confronti fra queste due squadre che un tempo dividevano lo stesso quartiere, la Boca, e che secondo la leggenda proprio in base al risultato di un derby avrebbero preso strade diverse col River che negli anni Venti lasciò quella zona trasferendosi a nord, avvennero a inizio secolo. Il primo in assoluto fu un’amichevole datata 1908, vinta del Boca per 2-1, mentre il primo ufficiale se lo aggiudicò cinque anni più tardi il River con lo stesso risultato. Col passare del tempo divenne questo il clasico (come lo si chiama nei Paesi di lingua spagnola) che attirava la maggiore attenzione e così si passò a distinguerlo da tutte le altre stracittadine o comunque sfide di grande importanza e tradizione attraverso l’attributo di Super, lo stesso utilizzato per definire Barcellona-Real. In attesa di quello che si giocherà a metà novembre, il bilancio generale vede in vantaggio il Boca, che dei 326 incontri finora disputati ne ha fatti suoi 120 contro i 104 del River, mentre i pareggi sono stati 102. Di questo calcolo fanno però parte più di cento sfide amichevoli o valevoli per i cosiddetti Tornei Estivi, ugualmente sentiti soprattutto perché giocati fuori da Buenos Aires per consentire anche ai tifosi sparsi in un Paese grande un terzo dell’Europa di vedere dal vivo i propri idoli ma pur sempre occasione per rodarsi in attesa che inizi la nuova stagione. Tolte queste e anche quella decina di derby precedenti l’era del professionismo, restano 186 partite di campionato di cui 68 andate al Boca e 61 al River (oltre a 57 pareggiate) e poi 24 in Coppe internazionali di cui 10 andate agli Xeneizes, 6 ai Millonarios e 8 finite senza vincitori né vinti.Benché queste partite restino pur sempre partite e il fascino, che comunque c’è, lo sentano principalmente le persone coinvolte, giocatori, tecnici, dirigenti o tifosi che siano, è logico anche in una città come Buenos Aires, che conta una ventina di squadre, la fortissima rivalità espressa fuori dal campo finisca per toccare un po’ tutti. Tradizionalmente, al fischio finale centinaia di tifosi legati alla squadra che ha trionfato si occupano della stampa di migliaia di manifesti che di lì a poche ore, affissi nel corso della nottata, tappezzeranno le principali strade della capitale. Sono manifesti di grande arguzia e spirito, con godibilissimi giochi di parole talvolta crudi come soltanto gli argentini sanno essere. Da una parte la sottolineatura delle presunte umili origini dei soli tifosi del Boca e delle altrettanto presunte misere occupazioni che molti di loro avrebbero; dall’altra la ribadita supremazia degli Xeneizes sul River in fatto di vittorie negli scontri diretti, che in Argentina è espressa attraverso il concetto di paternità, e la supposta pavidità degli stessi Millonarios a partire da una vecchia Finale di Libertadores persa per 4-2 contro il Peñarol dopo averla condotta per 2-0. Altrettanto frequenti sono i riferimenti a particolari dolori al fondoschiena susseguenti a una bruciante sconfitta, ma il lato volgare degli sfottò resta decisamente inferiore a quello satirico. Da questo punto di vista, insomma, Boca-River offre davvero spunti che difficilmente si ritrovano altrove. Di queste sfide se ne ricordano in particolare un paio, anche se per motivi diversi. Famosissima fu quella della ‘pelota naranja’, disputata alla Bombonera nell’aprile del 1986 per l’appunto con una palla arancione, l’unica visibile su un campo completamente ricoperto di coriandoli e carta come nella migliore tradizione locale. Fu vinta dal River che, pur essendosi già laureato campione prima di quell’incontro, poté togliersi la soddisfazione di ‘dar la vuelta olimpica’ anche sul campo dei rivali; è, la ‘vuelta’, il giro trionfale del campo che si fa quando si vince un torneo, le cui origini sono sempre sudamericane essendo stato effettuato per la prima volta dalla Nazionale uruguaiana alle Olimpiadi di Parigi del 1924, da cui l’attributo di ‘olimpica’. Tristemente famosa è invece quella tragica del 1968, passata alle cronache come il ‘clasico de la Puerta 12’. Si disputò al Monumental e non si stabilì mai se a causa della repressione della polizia, di una carica degli ultrà avversari o dell’esagitazione degli stessi sostenitori del Boca, addirittura 71 tifosi Xeneizes persero la vita, schiacciati più o meno come anni dopo sarebbe successo a tanti inglesi presenti a Hillsborough. Si trovarono intrappolati, appunto, in corrispondenza dell’allora denominata Porta 12, un numero sorprendentemente legato al Boca anche per tutt’altra ragione, cioè la definizione di Doce (12) della sua tifoseria organizzata. Per finire, i nomi di alcuni fra i più illustri o comunque noti protagonisti di questa rivalità, partendo chiaramente dal presupposto che non se ne può stilare una lista completa. Da parte Boca ovviamente Maradona, ma anche Varallo (ultimo sopravvissuto della prima Finale dei Mondiali fino alla sua recente scomparsa), Severino Varela col suo basco, il brasiliano Valentim (capace di segnare al River 7 gol in 10 partite), l’italoargentino Angelillo, il fedelissimo Rattìn capitano dell’Argentina nel ‘66, i portieri Roma e Navarro Montoya, Latorre, Samuel, Veron, Guillermo Barros Schelotto, Tevez, Gago, Palacio, il giovane Banega e poi Palermo e Riquelme, che ancora ci giocano. Il River invece può vantare innanzitutto Angel Labruna, l’idolo di sempre nonché maggiore marcatore in assoluto del Superclasico con 16 reti, colui che si turava il naso quando scendeva alla Boca anticipando la moda dei tifosi Millonarios che oggi alla Bombonera sfoggiano mascherine anti-smog con riferimento alla supposta, anche in questo caso, maleodoranza degli Xeneizes; e poi Di Stefano, Sivori, Cesarini (quello della famosa ‘zona’), il mitico portiere Amadeo Carrizo, Reinaldo Merlo (che detiene il record di presenze con 42), Perfumo, Norberto Alonso, autore della doppietta con la palla arancione, Kempes, Fillol, Gallego, Francescoli, Passarella (attuale Presidente del River ma che si dice fosse tifoso del Boca), Ramon Diaz, Crespo, Salas, Gallardo, Saviola, Aimar, Cambiasso, D’Alessandro, Higuain, Mascherano e per finire Almeyda e Ortega, che la Banda Rossa la portano ancora. Hugo Gatti, Tarantini, Balbo, Ruggeri, Batistuta, Caniggia e più recentemente Figueroa sono invece i più famosi ad aver indossato entrambe le maglie.
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