La lunga ombra del fairplay finanziario annunciato dalla UEFA ha improvvisamente frenato le manovre di mercato di tanti Club europei che negli ultimi anni ci avevano abituati a faraoniche transazioni e conseguenti trionfi. Fra questi anche molti inglesi, alcuni dei quali tradizionalmente forti e altri che solo negli ultimi dieci o vent’anni avevano trovato nuova linfa, rinverdendo i successi di un tempo molto lontano. Da quando nel 1992 è nata la Premier League, che guarda caso è praticamente coincisa con il lancio della Champions League al posto della vecchia e totalmente differente Coppa dei Campioni, Club inglesi del sud come Arsenal e Chelsea hanno avuto la possibilità di tornare a competere con le squadre del centro-nord, storicamente più attrezzate e vincenti. Oltre ad aver agevolato il rifiorire improvviso e per questo un po’ anomalo di queste squadre, i soldi provenienti dai diritti televisivi e dagli sponsor della Premier hanno letteralmente squarciato l’intero panorama calcistico inglese, da un lato scavando un profondo solco fra le Società ricche e quelle fuori dal cosiddetto giro che conta e dall’altro restringendo drasticamente il gruppo delle vincenti. Così la mappa calcistica d’Oltremanica, pur mantenendo alcune peculiarità, è sostanzialmente cambiata: fino a quando i soldi non hanno fatto la differenza rispetto al valore tecnico, infatti, lo scenario inglese era stato ben diverso da quello degli ultimi lustri. E vale la pena di ripercorrerlo.
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La battaglia d’Inghilterra
La nascita dei Club di calcio è stata una delle conseguenze della Rivoluzione Industriale. A metà del XIX secolo i lavoratori delle fabbriche iniziarono a riunirsi nei dopolavoro. Qui sorsero associazioni sportive e la working class ebbe finalmente modo si trascorrere ore di svago che fino a quel momento erano state prerogativa esclusiva dei nobili, peraltro impegnati in ben altre discipline praticate sui campi universitari o nei loro giardini privati. Di lì a poco il calcio si diffuse in tutto il mondo, seguendo i sudditi di Sua Maestà impiegati nelle Società Ferroviarie britanniche operanti soprattutto nel Sud America, che a loro volta crearono nell’emisfero boreale le proprie élite borghesi, dalle quali erano esclusi i locali; a questi ultimi fu concesso di integrare le squadre solo col tempo, benché il gioco già l’avessero conosciuto, osservandolo, e fossero chiaramente liberi di praticarlo fra loro.
Tornando però all’Inghilterra, non può passare inosservata la correlazione fra ubicazione della maggior parte delle prime fabbriche e successi delle squadre che rappresentavano quelle aree geografiche in tempi in cui non esistevano i trasferimenti, quindi il calcio era espressione del valore sportivo locale. Il centro-nord dell’Inghilterra dominava rispetto al sud e in particolare a Londra, e soprattutto dalle Midlands in su c’erano molte squadre che vincevano tantissimo. Dal 1888/89 sono stati giocati 111 campionati fra vecchia First Division e Premier League, una serie lunghissima interrotta solo durante i nove anni delle due guerre mondiali. Di questi tornei, 90 sono andati a squadre del centro-nord e soltanto 21 a Club del sud, tutti di Londra con la sola eccezione del Portsmouth, vincitore due volte a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Dividendo questo periodo in decenni, solo in due occasioni le squadre del sud sono riuscite a lasciare il segno, negli anni Trenta con i cinque titoli dell’Arsenal e negli anni Cinquanta quando sorprendentemente vinsero una volta ciascuna le uniche quattro squadre della fetta meridionale d’Inghilterra ad essersi mai aggiudicate un campionato: ancora Arsenal e poi Chelsea, Portsmouth e Tottenham.
Col passare del tempo sono stati sempre più i soldi e non solo l’organizzazione a fare la differenza. Detto che prima della discesa in campo di grandi investitori stranieri è stata la creazione della Premier League, coi contratti televisivi che prevede, ad aprire la prima reale era dei ricchi e dei poveri, delle 18 edizioni di questo torneo finora disputate 12 sono comunque andate al centro-nord benché praticamente tutte al poderoso Manchester United eccetto un unico titolo del Blackburn, mentre 6 a rappresentanti del sud, precisamente ai ‘paperoni’ Arsenal e Chelsea. Numeri che se da un lato confermano il predominio centrosettentrionale, per quanto incarnato nel monopolio dei Red Devils, dall’altro sottolineano l’incidenza dei nuovi capitali confluiti su Londra.
Ora che i soldi iniziano a girare di meno nonostante la ricca Premier League continui a esistere, sarà interessante vedere se Club di grande tradizione cui recentemente sono mancati i mezzi economici torneranno ad affermarsi. Se invece ci sarà spazio solo per i nuovi capitali, con niente più che un passaggio di testimone fra ricchi, c’è da considerare che il rinnovato e rampante Manchester City potrebbe tornare a trionfare dopo più di quarant’anni così come il Tottenham, i cui proprietari hanno finalmente messo mano al portafogli, addirittura dopo quasi cinquanta. Niente d’impossibile, ma questa sì che sarebbe una notizia dato che negli ultimi tre decenni solo Blackburn Rovers e Leeds (vincitori di un titolo a testa in questo lasso di tempo) hanno interrotto l’egemonia delle grandi di sempre o anche solo del passato recente, con Everton, Aston Villa e Chelsea che hanno comunque vinto appena sei titoli in tre, e in particolare i londinesi prima degli ultimi successi targati Abramovich erano stati campioni soltanto nel 1954-55.
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