L'ultima domenica di ottobre è un giorno di cose già viste, di disattenzioni arbitrali fatali, di parole piccate (della parte lesa) e di sterili accartocciamenti verbali (della parte favorita). Dove i più deboli s'irritano e i più potenti godono. Niente di nuovo, perciò. E niente di straordinario. Il Catania segna, ma non vale. La Juve fa altrettanto, poggiandosi sull'imperfezione della giocata: ma va bene lo stesso. E il risultato, al di là delle frasi di convenienza del digì bianconero Marotta (che, una volta, la pensava diversamente, su certi argomenti), si deforma sotto il peso degli episodi. Non sarà, tuttavia, su queste colonne che infieriremo sulla classe arbitrale. Primo, perchè il gioco non ci piace. Secondo, perchè crediamo ancora all'onestà intellettuale della categoria, malgrado certi segnali orribili del passato recente. Senza retorica. Pur ammettendo l'infinita consistenza del concetto di sudditanza: che, in Italia, è anche e soprattutto pscologica. Nè indugeremo sulla cronaca spicciola del match. Non ci facciamo sfuggire, però, certi movimenti attorno alla panchina juventina (legittimi, da una certa angolazione: ma antipatici) che avrebbero potuto condizionare il giudizio finale del direttore di gara. Che, poi, in un calcio malato come il nostro, finiscono per iniettare sospetti. Esattamente quello di cui non abbiamo necessità. Alla fine, però, gli errori fanno parte del gioco e - come si dice in casi come questo - vanno accettati: non c'è alternativa. Il problema, ovviamente, è spiegarlo al Catania, al Napoli, alle altre (effettive o presunte) concorrenti dirette della Juve. Agli scommettitori che avranno puntato sulla formazione di Maran. E magari anche a chi, in settimana, avrà dovuto assorbire e decodificare l'ultimo intervento dialettico del presidente bianconero Agnelli, ultimamente preoccupato a caldeggiare la riforma del pallone, delle sue regole e delle sue abitudini (a proposito: se lo ricordi nel momento di eleggere i suoi prossimi rappresentanti). Quello stesso calcio che sta puntualmente contestando dal lunedi al sabato. Prendendosi un giorno di riposo, la domenica. Quando, come per magia, tutto scorre come deve.
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Maurizio Mazzacane
(Foto Dreosti)
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