Quei nomi pieni zeppi di consonanti: Vukovar, Knin, Tuzla, Mostar quella che un giorno aveva il ponte e il giorno dopo, spazzato via da un mortaio -, Bihac, Gorade, Omarska, i suoi campi di concentramento... Non siamo in Germania, né in Polonia. Semplicemente dall'altre parte del mare Adriatico. 10 anni fa. In Bosnia. Dove eravate in quegli anni? Cosa facevate? E poi Sarajevo, per 4 anni l'ombelico del mondo. I tram, il caffè turco, i minareti, il bazaar, un muro sporco di sangue e crivellato di proiettili, con una scritta: Welcome to hell. Benvenuti all'inferno. Come potevamo non vedere? Ma Srebrenica, andiamo Come potevamo immaginare? Con inaudita violenza, in quella cittadina termale al confine con la Serbia il termine pulizia etnica, che sembrava appartenere al passato, ritorna drammaticamente sulle pagine dei giornali. 8372 bosniaci musulmani massacrati dalle truppe paramilitari di Ratko Mladic e Zeljko Raznatovic. Meglio conosciuto, come Arkan. E i suoi bravi sono le tigri di Arkan. Criminali, scarti della società, raccolti nelle prigioni serbe e nella curva del Marakana. No, non quello di Rio de Janeiro. Quello di Belgrado, tana della Stella Rossa. E' la Guerra di Bosnia: davanti a fatti come questi si ha l'impressione, se uno è credente, che Dio (o chi per esso) fosse vagamento distratto in quel periodo. Il nostro obiettivo qua è parlare di calcio ma spesso, questo sport che unisce e divide, si intreccia con la storia e la politica. E allora questa triste pagina di morte e dolore ci viene drammaticamente incontro per raccontare, con rispetto e ammirazione, la storia di Vedad Ibievi?, attaccante bosniaco dello Stoccarda, protagonista a suo modo del riscatto di una nazione ancora profondamente divisa al suo interno.
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La guerra, poi venne la Bosnia ed Ibisevi?: le favole esistono ancora
Vedad nasce a Vlasenica. A 8 anni, quando i serbi fanno della Bosnia il loro giardino da pic-nic, è costretto a scappare dalla propria città natale e dal campetto nel quale ha tirato i primi calci. Il posto che più lo faceva sentire protetto, nel giro di pochi mesi diventa un campo di battaglia. Il suo letto diventa la fredda terra delle foreste, gli autobus, i campi profughi allestiti in fretta e furia. Quando si scappa dalla morte, ci si arrangia, non si fanno storie e tutto va bene. I serbi (che, specifichiamo, non sono TUTTI i serbi, ma i nazionalisti serbi che hanno abbracciato gli ideali di Mladic e Arkan, appunto) invadono il villaggio della mamma, Pijuke. I serbi, ammazzano quanti più bosniaci riescono a scovare. Vede morire suo nonno, i serbi gli spaccano la testa a metà. I serbi bruciano il villaggio di suo papà, un posticino chiamato Gerovi.
Gli accordi di Dayton sanciscono la fine della guerra nel 1995, Ibievi? scappa cinque anni dopo. Bisogna rifarsi una vita, lontano da casa, senza mai dimenticare o rinnegare le proprie radici. Prima Svizzera, Basilea: un anno nelle giovanili e poi si va negli Stati Uniti d'America. La terra delle opportunità, si dice. E per Vedad va veramente così. A Saint Louis, nel Missouri, finisce di studiare: se non divento calciatore, dice, almeno posso contare su un'ottima istruzione. La fortuna, però, gli sorride: è in debito con lui e con altri tre/quattro milioni di bosniaci. Gioca nei Saint Louis Strikers, poi vola a Chicago. Tre presenze, tre gol. E' il 2004. In quel periodo, c'è un suo connazionale che allena uno dei club più forti d'Europa: Vahid Halilhodi?. Lo nota, ne intuisce le potenzialità e lo fa acquistare dal PSG. E' la grande occasione, ma le cose non vanno come voleva: annata storta, solo quattro presenze. E allora via in Ligue 2: ritrova la vena del gol con il Digione. Arriva la chiamata dell'Alemannia Aachen. Anche lì, non va benissimo, ma segna 6 gol che attirano l'attenzione dell'Hoffenheim. Insomma, la sua carriera sta prendendo una bella piega. Nel Baden-Württemberg ci rimane 5 anni: segna 48 gol in 123 partite. Non male. Ottiene la prima storica promozione in Bundesliga con l'Hoffenheim. Il 25 gennaio 2012 passo allo Stoccarda. Si rifà una vita in Germania ma non può dimenticare cos'è successo al suo paese. Qualcosa di infernale, che noi italiani possiamo solo lontanamente immaginare.
Come tutte le storie drammatiche, anche questa ha un suo lieto fine. Bellissimo, dolce e romantico, come un thè bevuto con la propria fidanzata alla Ba?arija di Sarajevo, magari ascoltando il muezzin che canta e invoca alla preghiera del tramonto. Il 15 ottobre 2013, Ibievi? segna in Lituania il gol decisivo che manda alla Coppa del Mondo la Bosnia. La prima della sua storia, da quando Tito è morto e la Jugoslavia non si chiama più così. Il 15 giugno 2014, ieri, nell'esordio in Brasile contro l'Argentina (partita persa 2-1 con onore) Ibievi? chiude il cerchio: segna il primo gol della Nazionale della Bosnia in un Mondiale. Il primo di tanti, perché questa squadra è forte e passerà il turno. Vedad Ibievi?, orgoglio di un paese intero, che ieri notte ha dimenticato problemi sociali, povertà, corruzione, e si è stretta (serbi e bosniaci assieme? Mi piace pensarlo ) in un abbraccio lungo 90 minuti. Tutti in piazza, con quella bandiera colorata che i tifosi all'uscita dello stadio, baciavano e sventolavano con amore e patriottismo.
Dal genocidio di Srebrenica al Mondiale in Brasile. Il passo è stato lungo e doloroso, sporco di sangue, macchiato da 100.00 morti. Ci sentiamo un po' tutti "figli della guerra", soprattutto noi tifosi del Toro, abituati da sempre a stare dalla parte degli oppressi e non degli oppressori. Forza, Bosnia.
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