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Se provassimo a entrare nella testa di Cristiano Ronaldo, probabilmente la prima sensazione che vorremmo provare sarebbe quella di dar finalmente sostanza ai nostri pensieri impuri sulla sua fidanzata, Irina Shayk, una delle maggiori fomentatrici di testosterone al mondo. Tuttavia, in seconda battuta, ci imbatteremmo inaspettatamente in delle cupe angosce pallonare. Di cosa dovrebbe angosciarsi Cristiano Ronaldo, con quella fidanzata e con tutti i soldi che si intasca (33 euro al minuto, per la precisione), potrebbe apparirci un bizzarro mistero. Ma seguitemi nel ragionamento.
Ronaldo, da almeno un paio d'anni, segna a ritmi impensabili per un essere umano, tanto che, dall'inizio della sua avventura madridista, ha già toccato la spaventosa cifra di 274 gol in 261 partite. Dopo aver vinto la Scarpa d'Oro per la terza volta in carriera, quest'anno CR7 ha già totalizzato 17 reti in campionato: questo significa che ogni 48 minuti, su un campo di calcio da qualche parte in Spagna, un portiere raccoglie mestamente un pallone nella propria porta a causa di un tiro del portoghese. E questo significa anche che, al momento, l'attaccante del Real ha segnato, da solo, più gol della maggior parte delle squadre europee. Insomma, Ronaldo è Terminator applicato al football, e lo diciamo senza paura di esagerare.
Questi numeri da fantascienza, però, non sono soltanto il frutto di una manifesta superiorità tecnica e atletica, ma anche di una sotterranea inquietudine esistenziale. Ronaldo è afflitto da una maledizione: è nato nella stessa era di un altro mostro calcistico, Lionel Messi. Una foto del 2012, scattata durante la cerimonia di consegna del Pallone d'Oro (a Messi, ovviamente), incornicia impietosamente la frustrazione di Cristiano, beffato per l'ennesima volta dal suo acerrimo rivale. Quando gli sportivi competono a questi livelli, possono ormai permettersi di accantonare l'ossessione del denaro e di rimpiazzarla con ambizioni meno terrene. Le carriere dei calciatori sono brevi ed altrettanto effimera è la memoria dei tifosi. «Fra dieci, venti o trent'anni si ricorderanno ancora di me? E come sarò ricordato?», si domandano, infatti, i più grandi sportivi.
Nel caso di Messi e Ronaldo sarebbe superfluo incaricare un sondaggista per saggiare gli attuali umori degli appassionati di calcio. Da anni Messi è sistematicamente inserito nella graduatoria dei calciatori più forti di sempre, a un'incollatura dal duo totemico Maradona-Pelè, un'incollatura per lo più dovuta ai risultati della nazionale argentina. Nessuno ha mai azzardato proporre il nome di Cristiano Ronaldo per l'Olimpo del calcio. Eppure, sul piano tecnico e tattico, CR7 appare persino più completo del suo antagonista: può giocare indifferentemente da ala sinistra o destra, così come da prima o seconda punta con esiti sempre letali per gli avversari. Messi, al contrario, anche a causa della sua struttura fisica, è incatenato in un solo ruolo, quello di falso nove, sul cui altare sono stati sacrificati campioni come Ibrahimovic e, recentemente, Suarez, costretto poco opportunamente da Luis Enrique ad agire da attaccante esterno proprio per valorizzare le qualità di Messi.
La principale differenza tra Messi e Ronaldo non risiede, dunque, nelle loro qualità, su cui si potrebbe disquisire per settimane, ma in una banale constatazione: Messi ha avuto la fortuna di giocare nella squadra che ha rivoluzionato il calcio moderno, il Barcellona di Guardiola, e sarà questa la discriminante che assegnerà all'argentino, e non al portoghese, il privilegio di essere ricordato come il più forte della sua epoca. Per anni, mentre i blancos accumulavano figurine patinate, in Catalogna scrivevano la storia di questo sport. Per anni, fino all'arrivo di Carlo Magno Ancelotti, che ha finalmente spezzato il tabù della decima Champions League, Cristiano ha vissuto sulla sponda sbagliata del calcio iberico. E poi c'è l'onerosa eredità che si trascina quel nome, Ronaldo: ancora oggi, per molti, il vero Ronaldo è il brasiliano ex Inter, come se quello attuale fosse uno spregevole usurpatore dell'onomastica.
Da qui la frenesia di CR7 di rompere ogni record, di mulinare sempre più velocemente le gambe, di sfondare con violenza la rete altrui. Alle soglie dei trent'anni, Ronaldo ha l'obbligo di vincere il più possibile per non essere dimenticato in un vecchio album di figurine. Per raggiungere questo obiettivo, non poteva trovare compagno di strada migliore di Ancelotti, un altro monumento del calcio ingiustamente poco celebrato. Se a fine stagione il Real dovesse ottenere il titolo, l'allenatore italiano, dopo i campionati conquistati in Italia con il Milan, in Inghilterra con il Chelsea e in Francia con il Psg, sarà ufficialmente il miglior allenatore del mondo, pareggiando e superando i conti con Josè Mourinho, lo Special One. Messi permettendo.
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