La settimana che segue il Clasico, soprattutto se terminato in pareggio, pare la quiete dopo la tempesta. Un 2-2 che nel complesso ha accontentato tutti, tra la traversa clamorosa di Benzema e la supremazia di gioco del Barcelona, ed ha lasciato invariati gli equilibri di potere della Liga, decisamente a vantaggio di Messi&co.
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La ricetta per diventare grandi
Nella notte di una Valladolid tinta , con mio grande stupore visto le profonde radici culturali e politiche che affondano nella storia del Barca, c’erano però due scontenti. Due italiani che non erano attaccati a qualche sito internet alla strenua ricerca di informazioni circa il risultato del derby della Madonnina – liquidato, per dovere di cronaca, con un semplice accenno al risultato nei maggiori notiziari sportivi, eccetto parese claro Canal 5! – ma che masticavano amaro per quanto accaduto poche ore prima nel pomeriggio quando un Cagliari poco più che sufficiente aveva avuto la meglio del Torino.“Coraggio, perché quelle facce – ha provato a rincuorarci un francese – anche il mio Dijon oggi ha pareggiato, perdendo contatto dalla vetta della classifica: continuando così rimarremo in Ligue 2, ma mica sono così abbattuto’’.
Al di là dell’antipatia innata da transalpino, acuita maggiormente dall’averci iniziato a rivolgere la parola dopo che il suo Barca aveva appena segnato il 2-1, ho preferito non rispondere ritenendolo indegno di uno sforzo comunicativo tanto profondo: oltre al “suo” Dijon tifa per il Marseille ed il Lille, ma soprattutto in Italia simpatizza per la Gobba. Uno di quegli amici, dunque, che è meglio perdere che trovare.Mentre il mio compagno d’avventura si sforzava di rispondergli a tono, un po’ per il paragone con la squadretta di un campionati pari alla nostra Lega Pro, un po’ per il momento preciso in cui s’era degnato di rivolgerci parola – esultando, tra l’altro, in maniera indecorosa – un po’ per l’antipatia in sé, da buon francese, nei miei occhi prima e nella mia mente dopo si concretizzavano le immagini del pareggio del Real Madrid con Cristiano Ronaldo.Noncurante della diatriba italo-francese che mi stava capitando accanto, col mio compare granata intento a dare lezioni di esultanza a Pippo Inzaghi per rispondere all’irruenza dell’amico transalpino, mi è salito un pensiero nella mente, dapprima più nebuloso, ma poi pian piano ha preso forma: al Torino manca ancora un elemento fondamentale per diventare squadra da serie A, la personalità.Il parallelismo col Real è oggettivamente impietoso – per differenza tecnica ma soprattutto economica – ma la rimonta dell’equipo di Mourinho mi ha impressionato: in uno stadio interamente ostile, il Camp Nou, contro una delle squadre migliori al mondo, con le pressioni mediatiche e storiche a far da contesto (la classifica parla chiaro) e due occasioni da gol clamorose gettate al vento i Blancos sono riusciti a non disunirsi e rimettere la gara sui giusti binari. Nel suo piccolo trovo che sia stato quello che è mancato al Toro: al di là della rete ingiustamente annullata a Bianchi e del rigore non concesso per fallo di mano di Avelar nell’aria, passati in svantaggio, si fiutava la sensazione che la partita sarebbe finita male.
Non nego che possa trattarsi del classico pessimismo da tifoso granata - sensazione condivisa, tra l'altro, anche dal mio compagno di avventure - sempre portato a pensare al peggio in qualsiasi situazione per poter poi alzare il dito a bocce ferme ed affermare orgogliosamente "io l'avevo detto", ma ritengo che Giampiero Ventura possa ancora lavorare ancora su questo aspetto del suo gruppo: a questa squadra che in molti durante l'estate davano per già spacciata manca quel pizzico di personalità in più che lo scorso anno non era mancata nella rimonta di Marassi contro una Samp indiavolata.
L'ultimo ingrediente, che manca al Toro, per diventare grandi.
Stefano Rosso (Twitter: @ste_ro_)
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