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La rivoluzione d’Argentina

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di Andrea Ciprandi
Redazione Toro News

E'ripartita nell'ultimo fine settimana la stagione argentina. Ha preso il via il cosiddetto Apertura, vale a dire il campionato che si svolge nell’ultimo semestre dell'anno, cui fa seguito il Clausura che invece ne occupa i primi sei, in un rincorrersi di tornei dalla denominazione apparentemente illogica ma che, se considerata secondo la stagione calcistica e non l'anno solare, insomma, da veri appassionati, più azzeccata non potrebbe essere. L'edizione del 2010 si preannuncia più agguerrita che mai. Ci sono allenatori ancora seduti sulle panchine delle squadre con cui furono capaci di raccogliere successi più o meno sorprendenti nel recente passato: Falcioni del Banfield e Gareca del Velez. Ce ne sono altri ancora più popolari, come Borghi che ha condotto l’Argentinos alla conquista dell'ultimo campionato e quel Cappa in grado di portare a un soffio dalla gloria l'Huracan che adesso si trovano alla guida dei due colossi storici, rispettivamente Boca e River. Ci sono altre icone del calcio argentino come Ramon Diaz e il Tolo Gallego al comando di San Lorenzo e Independiente. C’è Russo, che già vinse con Velez e Boca, che proverà a risollevare le sorti del Racing, primo campione del mondo per Club nel lontano 1967 e squadra per cui molti anni prima aveva tifato Carlos Gardel, da troppo tempo relegato a un ruolo di secondo piano anche in considerazione di un fallimento sfiorato più e più volte. E c’è l’Estudiantes campione del Sud America uscente. Ma soprattutto ci sono situazioni davvero particolari. Innanzitutto il rischio retrocessione per il River Plate, con la sua deficitaria media punti degli ultimi tre anni (decisiva per stabilire chi debba scendere di categoria indipendentemente dal piazzamento in classifica nell’ultimo torneo). Poi l’assenza del Rosario Central, finito in seconda divisione per la gioia degli acerrimi rivali cittadini del Newell’s. Con un occhio come d'abitudine alla storia oltre che all'attualità però, desidero proporvi un quadro generale del massimo torneo argentino, la Primera Division. Nel corso del tempo si sono susseguite diverse formule. Campionati unici lunghi un anno intero, versioni alternate fra cosiddetti Metropolitano e Nacional. Edizioni in cui i vincitori di ciascuna delle due fasi semestrali si giocavano il titolo assoluto in uno spareggio. Per finire, dal 1991, le attuali Apertura e Clausura, ognuna delle quali dà un campione. Da tutta questa baraonda tipicamente sudamericana sono usciti molti più campioni di quanti siamo abituati ad avere nello stesso lasso di tempo nei campionati europei. Il primato spetta al River Plate, con 33. Segue il Boca con 23 e poi Independiente con 14, San Lorenzo con 10, Velez Sarsfield e Racing con 7, Newell’s con 5, Rosario Central ed Estudiantes con 4, Argentinos con 3, Ferro Carril con 2, quindi una serie di squadre a quota 1: Huracan, Lanus, Banfield, Quilmes e Chacarita.

Adesso vi propongo un confronto. Dei 30 campionati (fra lunghi e corti) disputati fra gli anni Novanta e la metà iniziale del primo decennio del Terzo Millennio, 11 sono andati al River, 6 al Boca, 5 al Velez, 3 al Newell’s, 2 all'Independiente e al San Lorenzo, 1 al Racing. Tutte le cosiddette grandi. Negli ultimi cinque anni, invece, si sono disputati 9 tornei, andati a Boca (2) e 1 a testa a River, Estudiantes, San Lorenzo e Velez ma anche a Lanus, Banfield e Argentinos Juniors. Nel 2007 il magnate Mauricio Macri, dopo 12 anni e la bellezza di 16 titoli maggiori fra nazionali e internazionali conquistati, lasciava il Boca. E con lui se ne andavano i soldi che questo Club non aveva visto nei 15 anni precedenti al suo arrivo (e immediatamente seguenti l’era del presidentissimo Alberto Jacinto Armando, cui è intitolata la Bombonera) durante i quali aveva vinto appena 2 campionati. Nel 2001, José Maria Aguilar diveniva presidente del River, forte di un grande potenziale economico ma in realtà inaugurando una stagione che sul finire si sarebbe rivelata la più cupa mai conosciuta dal Club in più di un secolo di storia. Nel corso del primo dei suoi due mandati da quattro anni l'uno, coi propri affari riuscì a rafforzare la squadra al punto che campioni che ora fanno la fortuna delle maggiori squadre europee misero in bacheca 4 campionati e giocarono una Finale continentale. Poi però, diretta conseguenza dei sopravvenuti sperperi, il buio. E stiamo parlando non a caso delle ultime stagioni.

Ora, in assenza di fattori decisivi come i quattrini e quindi in una situazione di parità fra tutti, cosa contraddistingue gli ultimi campioni? Ma il talento! Intendiamoci, il River è una fucina di campioni (Mascherano e Higuain sono solo gli ultimi in ordine di tempo di una lunghissima tradizione), il Boca anche se prelevandoli altrove ha svezzato grandi giocatori (Maradona, Batistuta, Samuel, Veron, Riquelme), e Newell’s e Argentinos hanno storicamente vivai da favola: Batistuta, Messi e Samuel hanno mosso i primi passi coi rossoneri, Maradona, Redondo e Riquelme coi biancorossi. Ma Newell’s e Argentinos, per esempio, per capitalizzare sono soliti cedere quasi subito i propri campioncini, se non in Europa nella stessa Argentina come si può evincere dai nomi appena fatti. E il resto dei Club, senza particolari motivi di distinzione, al di là di sporadiche eccezioni può forgiare e vendere giovani con una frequenza decisamente inferiore a quella degli ultimi due Club menzionati. Figuriamoci quindi quali possibilità hanno generalmente tutte queste squadre di vincere anche solo un campionato. E invece cos'è successo nell'ultimo scorcio di decennio? Hanno potuto giocare alla pari, far valere le prorie forze, e hanno vinto. Ecco allora che forse anche in un Paese costretto a campare coi soldi dell'Europa pigliatutto pur possedendo la materia prima (che è l'autentica ricchezza sportiva ma che non può permettersi di trattenere) i meccanismi ricalcano quelli simil-borsistici del Vecchio Continente. E se oggi Napoli e Palermo possono far paura a Inter e Milan e in Serie B e Lega Pro crescono giocatori ben più valenti, in tantissimi e comprovati casi, di quelli che riempiono la massima serie (idem si dica degli altri Paesi), non suona strano che gli ultimi titoli argentini siano finiti dove praticamente non se n’era mai sentito nemmeno il profumo, financo sotto gli spalti del Florencio Sola e del Nestor Diaz Perez. Dove??? Appunto, avessi detto Bombonera e Monumental pochi di voi esiterebbero.