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La ‘vecchiaia’ nello sport: l’esempio italiano

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di Stefano Rosso Il problema del ricambio generazionale, in Italia, è uniformemente diffuso ed all'ordine del giorno ed anche il mondo dello sport non può sottrarsi a questa dinamica sociologica. Tra tutte le discipline,...
Stefano Rosso

di Stefano Rosso

 

Il problema del ricambio generazionale, in Italia, è uniformemente diffuso ed all'ordine del giorno ed anche il mondo dello sport non può sottrarsi a questa dinamica sociologica. Tra tutte le discipline, però, ce n'è una in particolare affetta da 'vecchiaia' cronica: il calcio.

Negli anni si sono susseguite le teorie più disparate, quella sulle generazioni buone e cattive (c'è chi sostiene che il talento calcistico sia ciclico e dipenda dalle annate di nascita), quella sul discorso economico (troppe prospettive di guadagno causano la dispersione dei giocatori fin da giovani) o quella sulla decadenza della cultura sportiva e calcistica (allenatori nelle giovanili interessati solo al risultato, bagagli tecnici scarsi degli aspiranti calciatori...).

Senza andare a raccogliere gli esempi in giro per il mondo (l'attuale miglior portiere d'Europa, ad esempio, il tedesco Manuel Neuer, classe 1986, è titolare nello Schalke dal 2005) in paesi in cui le realtà sportive e sociali sono differenti e quindi qualsiasi parallelismo anche tra le medesime discipline potrebbe risultare scorretto è sufficiente analizzare il panorama italiano per rendersi conto di quanto più chiuso e conservatore sia il mondo del calcio rispetto alle altre pratiche sportive.

Gli attuali prospetti del calcio italiano, considerato tra i più vecchi d'Europa per l'età media dei praticanti professionisti, possono essere considerati Mario Balotelli ('90), Giuseppe Rossi e Sebastian Giovinco ('87): soltanto uno dei tre, Rossi, ha già avuto un'esperienza nazionale di alto livello - convocato da Lippi nella disastrosa spedizione in Sud Africa degli ultimi Mondiali - mentre il solo Balotelli ha avuto la possibilità di militare in un club, l'Inter, in grado di giocare ad alti livelli e ambire a più titoli su più fronti.

Per Giuseppe Rossi, invece, è stato necessario migrare all'estero per venire alla luce: al di là delle giovanili trascorse nel Manchester United, il fantasista italiano ha incantato il campionato nostrano nella stagione in prestito al Parma - che ha praticamente salvato da solo da retrocessione certa - eppure nessun club di serie A ha avuto il coraggio di investire su di lui, tant'è che l'anno successivo è emigrato in Spagna, salvo poi venire amaramente rimpianto, a fare le fortune del Villareal. Discorso persino superfluo per Sebastian Giovinco, scaricato senza remore dalla Juventus, che si è conquistato la nazionale soltanto con l'avvento di Prandelli da commissario tecnico e giocando con la maglia di una squadra, il Parma, che sta disputando una stagione di basse pretese al fondo della classifica.

Andando a dare uno sguardo negli altri sport ci si accorge che gli atleti di punta del movimento nazionale già calcano i palcoscenici più prestigiosi da molti anni. Nel basket, ad esempio, i tre atleti italiani impegnati in NBA - Andrea Bargnani, Danilo Gallinari e Marco Belinelli, stanno facendo molto scalpore. Se si analizzano le loro storie sportive, però, ci si accorge che non si è trattata di un'esplosione improvvisa.

Il primo, ad esempio, meglio noto con soprannome di 'Mago' Bargnani è stato il primo giocatore italiano ad essere chiamato come prima scelta assoluta nel draft NBA: era il 2006 e lui, appena ventunenne (classe '85), aveva già tre stagioni alle spalle nella Benetton Treviso, forse la formazione cestistica più vincente degli ultimi anni in Italia. Due anni dopo, nel 2008, è Gallinari a raggiungerlo negli States: all'età di 20 anni viene scelto dai New York Knicks. Non però è un caso che Danilo stesse trascinando l'Olimpia Milano già da quando aveva 17 anni.

L'ultimo, in ordine cronologico, ad aver raggiunto il paradiso del basket americano è Marco Belinelli, classe 1986, anche lui chiamato in NBA a 21 anni dopo ben cinque stagioni tra Fortitudo e Virtus Bologna. Facendo il conto si può facilmente risalire ai suoi esordi da professionista: appena quindicenne, nella Virtus, l'allenatore Ettore Messina lo chiama ad allenarsi con la Prima squadra e lo propone da subito come alternativa al campione argentino Emanuel Ginóbili, uno dei migliori giocatori di sempre.

Sulla scia di questi ragazzi, proprio perchè nulla è lasciato al caso, c'è anche Nicolò Melli: il giocatore nato nel 1991 è di proprietà dell'Olimpia Milano e sta giocando in prestito - in serie A, non nella giovanile - alla Scavolini Pesaro.

Tornando invece ai calciatori assunti come riferimento - Balotelli, Rossi e Giovinco - ed al loro bagaglio esperienziale, si può fare un confronto anagrafico con alcuni atleti, più o meno coetanei, militanti in altre discipline individuali.

La pattinatrice Carolina Kostner, ad esempio, classe 1987 come Rossi e Giovinco, a differenza dei calciatori italiani vanta già la partecipazione ad otto Campionati del Mondo, nove Europei e due Olimpiadi in cui ha raccolto una decina di medaglie d'oro, cinque argenti e qualche bronzo. Discorso analogo per Tania Cagnotto, la tuffatrice, nata nel 1985: per lei nove medaglie d'oro raccolte dopo 3 Olimpiadi, 8 Europei e 5 Mondiali (competizioni giovanili escluse, ovviamente).

E' evidente che il movimento calcistico italiano stia attraversando un momento di crisi, ma considerando la fiducia, l'attenzione e soprattutto la preparazione che viene rivolta ai giovani e le possibilità che vengono loro concesse per crescere, migliorarsi e mostrare il proprio valore non ci si può stupire più di tanto della penuria di campioni nostrani: finirà quindi che saremo costretti ad ammirare soltanto per televisione i vari Cristiano Ronaldo - classe '85 acquistato dal Manchester United a 18 anni e lanciato subito in Prima squadra da sir Alex - Lionel Messi - nato nel 1987, esordio diciassettenne nel Barcellona - o Wayne Rooney, classe 1985 lanciato in Premier dall'Everton a sedici anni...

 

(foto: Ansa)