Dividevamo un appartamento in via Nizza, a Torino. Si vedeva dall’inizio che Bobo aveva la stoffa del bravo attaccante, ma non credevo che diventasse così forte. Lauro Minghelli ricorda così, davanti ai taccuini di una giornalista del Corriere della Sera, i tempi dell’adolescenza trascorsi nella squadra Primavera del Torino Calcio con Christian Vieri, poco prima di spegnersi nel febbraio del 2004, a soli 31 anni. Lauro Minghelli è il giocatore di calcio più giovane morto di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) malattia conosciuta anche come Morbo di Gehrig. Negli anni trascorsi a Torino ha giocato con calciatori diventati poi famosi come Giuseppe Pancaro, Sandro Cois, Giulio Falcone e Gabriele Graziani (figlio di Ciccio Graziani). Era il loro capitano come ricorda un tifoso giornalista dell’Arezzo, squadra in cui militò Lauro, in queste righe rievocative della sua carriera:
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Lauro Minghelli e il morbo di Gehrig
Bobo Vieri, Falcone e Cois giocavano nella Primavera del Torino. Il libero e capitano di quella squadra era Lauro Minghelli. Se pochi di voi conoscono il suo nome, la colpa non è né del talento perduto, né di osservatori ottusi. E’ del morbo di Lou Gehrig.
Lauro Minghelli nasce l’11 gennaio 1973. Dopo le giovanili in granata, giunge ad Arezzo nella stagione 1993/94.Il presidente dell’Arezzo è Ciccio Graziani che conosce bene la storia di Lauro. A 20 anni, una fitta alla schiena lo aveva bloccato. Poi il dolore, quindi la diagnosi. Ciste alla spina dorsale, molto probabilmente un tumore. Graziani lo aveva fatto operare dal medico della nazionale, Ferretti. Il tumore era benigno, l’operazione era andata bene. Il recupero sembrava possibile.
Minghelli gioca tre partite nella prima stagione in amaranto, nove nella seconda. Nel 1995/96, ad Arezzo arriva Serse Cosmi. Ci resterà cinque anni. Il presidente chiede a Cosmi di provare Minghelli, che originariamente non rientra tra i convocati. Serse accetta. Nel ritiro estivo di Anghiari, si accorge subito che Minghelli tocca la palla come pochi. E’ un difensore moderno, tecnico, intelligente. Lauro gioca quattordici partite, Cosmi lo promuove capitano. L’Arezzo va in C2.
Nella stagione 1996/97, Minghelli gioca tutte le partite che la sua schiena gli consente. Ventuno. A primavera, il dolore aumenta. L’Arezzo, neopromossa, finisce quarta e perde i playoff.
Nella stagione 1997/98, quella della promozione in C1, Minghelli sta sempre peggio, ma vuole esserci:“Cosa vuole che sia un dolore alla schiena, mister? Non si preoccupi per me, io sto bene”.Come spesso gli capita con i suoi giocatori, Serse Cosmi ha instaurato un rapporto profondo con Lauro. Lo invita nella sua casa di Giovi, in piena campagna aretina. Cenano insieme, bevono, si confidano. La prima partita è con la Maceratese. Minghelli è in campo. Il dolore lo tortura orrendamente. Ogni volta che tocca palla, urla. Come certi tennisti quando portano il colpo. Un passaggio, un urlo. Un rinvio, un urlo. Un tackle, un urlo. Minghelli non molla. La sua sesta partita è a Pontedera. Viene espulso per fallo da ultimo uomo. Non giocherà mai più.
L’estate successiva, Cosmi prova a farlo allenare, ma Lauro non regge più. Non ha più il tocco, corre con difficoltà, soffre troppo. Lui e Walter Sabatini, il direttore sportivo, pensano a un suo futuro come osservatore o allenatore del settore giovanile. E’ l’unico giocatore rimasto tra quelli presenti ad Arezzo già nel 1993, il primo anno dopo la radiazione. Gli vogliono bene, non solo per la sua fedeltà.
Un giorno Lauro non si presenta agli allenamenti differenziati. La forza, dopo le mani e le braccia, ha abbandonato definitivamente anche le gambe. la diagnosi è definitiva. L’ultima volta che appare in pubblico in piedi, sorretto dagli amici, è nel giugno del 2000. Perugia-Standard Liegi, Intertoto, il debutto di Cosmi con il Perugia.
Alla giornalista del Corriere della Sera, Mingo, racconta con lucidità quei giorni in cui inizia a fare i conti con la malattia.
“Non ho più la forza di tenere in mano un bicchiere. Ogni gesto è diventato una fatica sovrumana: la malattia attacca i muscoli finché non sei più autosufficiente”
Dopo i continui consulti con i medici.
“Da anni mi ripetono sempre le stesse cose. I medici ne sanno poco: non si sa da dove questo male arriva, perché colpisce, come si evolve. Per avere una diagnosi sono dovuto andare nel Minnesota”.
Relativamente all’indagine del pm di Torino Guariniello sul doping
“Mi chiedono se nella mia carriera avevo preso farmaci o sostanze dopanti . Rispondo sempre di aver assunto parecchi antidolorifici, ma mai doping.”
A 29 anni Lauro Minghelli non muove le braccia, le gambe, la testa. Fatica a parlare. Non ha più tanta voglia di raccontare la sua malattia, tanto meno di quel terribile timore, che il morbo di Gehrig sia figlio dei troppi farmaci che girano nel calcio.
Muore il 15 febbraio del 2004.
Il 24 aprile 2006 è stato inaugurato a Torre Maina, località del comune di Maranello, un campo da calcio intitolato a Lauro Minghelli.
Recentemente i tifosi dell'Arezzo gli hanno dedicato la curva sud dello Stadio Città di Arezzo.
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