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Un Paese che non coltiva la cultura non possiede neppure memoria. E un Paese in cui difetta la memoria non rende un servizio alla propria cultura. Se, poi, la cultura becera di certe frange di tifo offende gratuitamente la memoria di chi non è più tra noi, si apre (legittimamente) un caso nazionale. Che deborda dal vaso sporco del pallone per coinvolgere la quotidianità imperfetta della nostra società in crisi: di valori, d'identità e di argomenti. Non ci appassiona, tuttavia, tutta la retorica che si sta annidando e si anniderà attorno alle ingiurie tributate a Morisini da una fetta (sostanziosa, pare) di ultras veronesi nel corso della trasferta livornese, consumatasi ieri. Quella stessa fetta di ultras che, in passato, ha colorato con altre pessime iniziative altre pagine di cronaca: senza essere mai davvero arginata. Non per mancanza di misure (quelle ci sono, ma non valgono per tutti o, nel migliore dei casi, funzionano per i casi meno clamorosi, dunque meglio gestibili), ma per mancanza di volontà politicosportiva. Conforta un po', piuttosto, sapere che il club scaligero e la città, prontamente, hanno stabilito le distanze di sicurezza da certi personaggi. Molto meno, infine, ci garbano le sempre più frequenti (e irritanti) provocazioni di Andrea Mandorlini, un addetto ai lavori dal quale è lecito attendersi comportamenti e parole più sobrie. Che non istigheranno i più maleducati (quelli non hanno bisogno di alcun input, agiscono automaticamente), ma che contribuiscono a intorbidire il sottobosco del nostro calcio. Le frizioni tra il tecnico e le tifoserie avversarie - più o meno simpatiche, non importa - cominciano numericamente a crescere e non ci sembrano più frutto della semplice coincidenza. Ed è, forse, il caso di cominciare ad approfondire la questione.
Maurizio Mazzacane (foto Campo)
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