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”Mazzola sognava di giocare nell’Huracan”

Redazione Toro News
Su cortese segnalazione di un abbonato argentino a TN, Maximiliano Mauro, che si è ancora prodigato nella traduzione riportiamo un articolo apparso sull'edizione odierna del quotidiano argentino 'Clarin'. Dedicato al Grande Torino...

Su cortese segnalazione di un abbonato argentino a TN, Maximiliano Mauro, che si è ancora prodigato nella traduzione riportiamo un articolo apparso sull'edizione odierna del quotidiano argentino ''. Dedicato al Grande Torino l'aneddoto raccontato si focalizza su un desiderio curioso e poco conosciuto di Valentino Mazzola - ribattezzato il 'Messi degli anni '40': giocare nell'Huracan.

 

IL MESSI DEGLI ANNI '40

Valentino Mazzola era il miglior giocatore della miglior squadra dei suoi tempi, il Torino. E' stato l'anima della selezione nazionale italiana fino alla sua morte nella tragedia di Superga. In quegli anni aveva una curiosa illusione: giocare nell'Huracan.

L'elica, quasi l'unica cosa rimasta dell'areo della tragedia, indica un'assenza. Lì, nella zona del vecchio Filadelfia, a Torino, quel piccolo monumento è il ritratto laconico di una delle più grandi squadre di tutti i tempi: il Grande Torino degli anni '40. Lo stadio, teatro di numerose giornate di consacrazioni e applausi, è stato dismesso dal 1963 fino alla sua demolizione avvenuta nel 1998. E aldilà dei goffi tentativi di ricostruzione continua ad essere un riferimento di quei brillanti anni che ora non ci sono più. E' anche, chiaramente, motivo di nostalgia dei grandi campioni dell'epoca come il notevole Valentino Mazzola, il Messi di quei tempi. L'incidente del 1949 si divorò quella squadra. L'aereo ritornava in Italia da Lisbona dopo una partita con il Benfica. Vincevano tutto quello che giocavano: cinque scudetti consecutivi dal 1942 al '49, derby conto la Juventus, amichevoli... Solo la seconda guerra mondiale evitò - per la sospensione dei campionati del 1943 e 1945 - che fossero ancor di più i titoli vinti.

Un dato ci indicava la supremazia di quella squadra in quel periodo: dieci degli undici titolari della nazionale Italiana appartenevano al Torino.La domanda inevitabile che seguì la tragedia è tutt'ora rimasta senza risposte, parzialmente sostituite da alcune ipotesi: se non fosse caduto quell'aereo cosa ne sarebbe stato del calcio mondiale? Il giornalista Jaime Rincòn scrisse sul quotidiano spagnolo 'Marca': "In molti sostengono che se la storia di quella squadra non fosse finita in modo prematuro oggi forse non esisterebbe il catenaccio. Può anche darsi che la Juventus non avrebbe avuto tanta importanza quanta ne ha raccolta fino ad oggi nel calcio italiano. E sicuramente il "Maracanazo" non avrebbe avuto luogo".Non si tratta di un'esagerazione: coloro che l'han visto e raccontato attraverso i mezzi di comunicazione dell'epoca sono d'accordo. Quel Toro era capace di tutto, incluse le magie mentre spazzava via i rivali. E, dicono, avrebbero potuto modificare la storia del calcio trasformandolo in qualcosa di diverso da come lo conosciamo oggi.Nessuno sopravvisse all'impatto. Ma il fato volle che due calciatori non salissero su quell'aereo: l'immenso Ladislao Kubala, che stava per firmare un contratto con quella squadra proprio in quei giorni ma che non lo fece, ed un tal Sauro Tomà, difensore proveniente dallo Spezia che era appena arrivato a Torino. Quel giovane di 23 anni raccontò: "Il mister, Leslie Lievesley, aveva detto a Valentino Mazzola ed a me di fare attenzione agli infortuni prima di viaggiare. Mazzola non stava bene del tutto ma poteva giocare e viaggiò. Io avevo problemi al ginocchio e l'allenatore mi consigliò di rimanere a casa: mi sentii l'uomo più sfortunato di Torino. Tutto il Toro andò a Lisbona ed io rimasi a casa, infortunato".Con quel Torino, oltre ad una squadra di grande successo, se ne andarono anche un mito e Valentino Mazzola. Era il capitano, la grande figura, l'idolo, il goleador, il riferimento inevitabile. In un'intervista concessa nel 2009 al giornale 'El Pais' di Madrid, suo figlio Sandro, anche lui grande calciatore, parlò di Valentino a 60 anni dalla sua morte: "Mio padre aveva 30 anni ed io sei e mezzo. Non ricordo niente. La mia testa ha dimenticato tutto quello che avevo vissuto con mio papà. Tutto tranne la sua "manona", in centro a Torino tutti volevano parlare con lui. Mi dava sicurezza. Io allora non capivo perché tutti volessero stare con lui. Dopo mi resi conto che era una gran persona. La qualità dei video dell'epoca non è buona, ma ho racconti di allenatori campioni del mondo come Valcareggi e Fabbri o giocatori come Boniperti, capitano della Juve, che mi dicevano: il più grande di tutti era tuo padre. Era un interno destro. Ma, in realtà, giocava a tutto campo. Pur essendo centrocampista, infatti, fu capocannoniere per tre volte nel campionato Italiano. Era più o meno come Alfredo Di Stefano, un portento fisico ma dotato di una grande tecnica. Io volevo essere come mio padre ma non ho potuto: ero molto tecnico in velocità, ma meno forte".All'epoca nè la rivista France Fotball nè la FIFA consegnavano ancora il Pallone d'oro al miglior calciatore dell'anno. A Valentino offrivano aggettivi, applausi ed ammirazioni che lo consacravano tal com'era: era il migliore nella miglior squadra, come lo è ora Messi nel Barcellona.

Su di lui si scrissero libri come "Un uomo, un giocatore, un mito" di Renato Tavella e si fecero film nei quali si spiega l'influenza e l'importanza che aveva in quel contesto come "Il grande Torino" di Claudio Bonivento. Era più che il capitano di una squadra. Era anche il simbolo di un gruppo di calciatori capaci di offrire allegria dopo i dolori della guerra.Il giornalista argentino Jesus Camacho su 'El Enganche', fece un ritratto di quel Valentino e di quella squadra stellare: "Quella meravigliosa squadra aveva in Valentino Mazzola il suo cervello, capitano, organizzatore e gran cannoniere. Un calciatore molto intelligente, dotato di una grande personalità e che offriva ogni anno venti o trenta gol. La squadra granata aveva un'impostazione molto offensiva, praticamente senza difesa coi soli Maroso e Ballarin dediti a tali compiti. Il portiere Bacigalupo osservava dalla sua porta il modo in cui i centrocampisti Castigliano, Martelli e Rigamonti lanciavano gli interni Loik e Mazzola ed a loro volta gli esterni Franco Ossola e Romeo Menti facevano danni sulle fasce e confezionavano assist per il magnifico centravanti Gabetto. Inoltre non possiamo dimenticare i vari Schubert, Grava, Bongiorni... detto in altro modo Valentino Mazzola era lo splendido direttore di un'orchestra magnificamente affinata".Nella sua carriera successe qualcosa, però, che agli occhi odierni può risultare inverosimile. In quel 1949, l'anno della tragedia, trapelò una notizia curiosa. Una volta conclusa la sua carriera meravigliosa con il Torino Valentino Mazzola avrebbe voluto giocare nell'Huracan. Era affascinato dal calcio argentino e gli era piaciuta la squadra "Globo di Newbery", che durante l'infanzia di Mazzola era il più vincente degli anni '20. La rivista 'Goles' raccontò la vicenda: il campione italiano scrisse una lettera alla rivista raccontando il suo desiderio. La redazione si mise quindi in contatto con il club argentino di "Parque Patricios", ma non si conoscono i passi successivi. Anche perchè, poco dopo, la tragedia ci portò via il 'Messi degli anni 40'.

 

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