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di Anthony Weatherill - Un fondamentale concetto pare sfuggire, in questi giorni, a molti protagonisti del mondo del calcio italiano. La storia è sempre quella iniziata nel 2006, e che ormai è passata alla storia come “Moggiopoli”. La storia è nota, ed è raccontata in numerose intercettazioni telefoniche che da anni vengono raccontate in tutti i mezzi d’informazione italiani.
Cosa si evince da queste intercettazioni? Vediamo, per una volta, di essere estremamente chiari, uscendo fuori da logiche di appartenenza di casta o di colori che siano. I campionati di calcio di serie A, non dico che erano truccati, ma erano di sicuro viziati da forti irregolarità. Gli “attori” principali del mondo del calcio(calciatori, allenatori, dirigenti, arbitri, ecc…) non potevano non sapere alcune consuetudini irregolari in vigore nell’esercizio delle attività dei campionati. E non potevano non sapere, perché essi stessi erano protagonisti o principali spettatori di queste consuetudini irregolari.
Nella migliore delle ipotesi, nel 2006, ci trovammo tutti di fronte ad un gigantesco peccato di “omissione” collettiva. La colpevolezza di Moggi è, aldilà di ogni ragionevole dubbio, fuori discussione. Ricordiamo, come “piccolo” indizio fra innumerevoli indizi, lo smodato utilizzo di schede telefoniche svizzere, con l’evidente scopo(ed è questa l’evidente malafede dell’ex dirigente bianconero), assai illusorio, di non farsi intercettare.
Il Giacinto Facchetti che esce dalle intercettazioni, è colui che fa il dirigente dell’Inter. Preoccupato di rendere la vita un po’ più facile all’Inter. Risulta molto evidente, scorrendo le intercettazioni telefoniche, come Facchetti conosca bene il contesto in cui sta operando, e come cerchi di evitare al suo club meno ostacoli possibili nel percorso del suo campionato.
Questo non vuol dire che Facchetti stesse cercando di corrompere qualcuno, ma che comunque, a norma di regolamento, stava parlando con chi non doveva parlare di cose di cui mai avrebbe dovuto parlare. Fa specie che questa cosa non risulti molto chiara a Massimo Moratti e a gente del calibro di Gigi Riva, di cui il vincolo di lealtà di amicizia verso un amico che non c’è più va comunque rispettato e, sotto certi aspetti, anche ammirato. Il problema è che, in Italia, ormai si sta perdendo sempre più, e sempre più in modo progressivo, il senso delle cose che si possono fare e di quelle che non si possono fare.
Tutti ci siamo convinti che abbiamo sempre una buona scusa(non convenienza, che altrimenti tutto diventerebbe politicamente poco corretto), per commettere qualcosa di non proprio regolare. Invece, proprio in momenti di tempesta e di nebbie oscure, bisognerebbe avere sempre il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: Luciano Moggi orientava alcune partite di campionato, Giacinto Facchetti ha quantomeno contravvenuto a delle regole chiare che avrebbero dovuto fermarlo dalla tentazione di fare quelle telefonate per cui oggi è messo sotto accusa. Proprio Gigi Riva, in quanto dirigente della Federazione Italiana Giuoco Calcio nonché una delle massime leggende del nostro calcio, avrebbe dovuto schierarsi apertamente dalla parte delle regole, pur ricordando come ha fatto le straordinarie virtù umane di Giacinto Facchetti.
Tutto questo Riva ed altri, avrebbero dovuto farlo per rispettare le intelligenze e i sogni dei tifosi, a cui sempre più spesso nessuno pensa, se non in cervellotiche polemiche sulla violenza negli stadi. Il calcio è nato come lo sport giocato nelle strade, nei vicoli più umili di ogni Paese si può sempre trovare qualcuno che rincorre un pallone. “Laddove possiamo scorgere dei bambini che rincorrono qualcosa che rotola, lì nasce il calcio”, disse una volta il grande scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges.
Dovremmo sempre ricordare che quel qualcosa che rotola, spesso contiene sprazzi di vita, sogni di riscatto, traiettorie che incontrano pezzi di cielo. Il calcio non è lo sport della signorilità, ma è il gioco dove si riversano i sogni di tutte le classi sociali di ogni generazione. Il calcio disegna le geometrie dei desideri, e cerca sempre di andare a scovare qualche riscatto mancato. E ogni riscatto che si rispetti, non può essere umiliato dalla mancanza del vero nello scorrere del gioco. Perché è proprio questo che è successo nei campionati di serie A dell’era Moggi: mancava il vero, sale della terra di ogni sogno che riscatta. Il tradimento verso i tifosi, in questa triste vicenda, è imperdonabile. Gigi Riva era “Rombo di Tuono”, Gianni Rivera era “L’abatino”, Roby Baggio era il “Divin Codino”, tutti nomi e soprannomi che hanno resa grande la leggenda del calcio italiano, del modo di essere italiani, del loro modo unico di correre dietro qualcosa che rotola giù per una strada.
Queste leggende oggi siedono in Federazione, e almeno da loro avremmo voluto sentire delle chiare parole su che cosa è il calcio, su che tipo di valori dovrebbe veicolare. Che non tradiscano nel momento del bisogno, almeno loro, le ragioni dei nostri desideri e dei nostri sogni.
Devono ricordare ai dirigenti del nostro calcio che nella vita esiste una parola che ci ricorda la grande virtù dell’umiltà, una parola che ormai nessuno pronuncia quasi più: “ho sbagliato”. E quando si sbaglia bisognerebbe avere la dignità di fare un passo indietro, di pagare una pena, e di trarre le reali conseguenze morali di ciò che si è fatto. Luciano Moggi, per prima cosa, ha tradito proprio i tifosi della Juventus, “regalandogli” una macchia che andrà via solo tra molti anni, e rubandogli in modo postumo una gioia che per anni avevano creduto vera. Moggi non dovrebbe dire , con un’insopportabile punta di compiacimento, così facevan tutti. Moggi dovrebbe solo dire “scusate, ho sbagliato, mi faccio da parte”.
Giacinto Facchetti è stato un grande calciatore, e probabilmente una grande e onesta persona, ma nel gestire il confronto con il “sistema Moggi” ha evidentemente sbagliato. Non c’è nulla di male nel riconoscerlo, non c’è nessuna insana voglia di volerne infangare la memoria. I tifosi italiani meritano una classe dirigente e dei campioni, che tornino a garantire che i loro sentimenti siano espressi di fronte ad uno spettacolo vero. In fondo dentro un pallone che si infila dentro il sette di una porta c’è il racconto di una grande poesia, e forse di una grande occasione. Posso dirlo perché un giorno ho visto giocare Rombo di Tuono, e non l’ho più dimenticato.
: Le opinioni espresse nell'articolo sono quelle dell'autore, ma non riflettono necessariamente quelle dell'editore e della redazione del giornale online Toro News.
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