Partiamo da un dato di fatto: quando M’Baye Niang ha voglia di giocare, sa essere determinante. La prova di quest’affermazione non l’ha data nella stagione in granata (in cui voglia ne ha avuta poca a dir la verità) ma ieri, nel suo esordio mondiale in Russia. Contro la Polonia, Niang è stato straripante e decisivo, prima propiziando l’1-0 e poi mettendosi in proprio e realizzando lui stesso il momentaneo 2-0. Non solo, quella del senegalese è stata anche una partita ordinata, intelligente e determinata. Chi ha visto la maggior parte dei match di questo campionato e non quello di ieri probabilmente non crederà a ciò che sta leggendo, ma la verità è che Niang ha delle potenzialità enormi. E allora perché con il Senegal è riuscito a tramutarle in una grande prestazione e con il Toro non proprio (per usare un eufemismo)?
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Niang, contro la Polonia una partita da giocatore vero: perché con il Toro no?
MOTIVAZIONI – Che sia una questione di motivazioni? Il senegalese, vista la stagione deludente, ha accumulato una grande voglia di riscatto, che unita alla possibilità di rappresentare la propria nazione e di mettersi in mostra in una vetrina di lusso come quella Mondiale, possono rappresentare un mix esplosivo. Inoltre il Torino ha avuto non pochi problemi quest'anno, considerando il cambio di allenatore e gli obiettivi sfumati prima del previsto. Queste spiegazioni non sembrano però sufficienti per giustificare l’indolenza del giocatore, che in alcune partite con il Toro è stato supponente e deleterio per la squadra, conquistandosi le ire dei tifosi e anche dei due tecnici che lo hanno spesso relegato in panchina.
TATTICA – E allora c’è la questione tattica: Cissé gli ha dato libertà di offendere e di svariare su tutto il fronte d’attacco (invertendosi spesso con un giocatore come Manè) e questo sistema di gioco, in cui occupa principalmente il settore centrale senza particolari compiti difensivi, potrebbe essere la molla decisiva per far rendere il numero 11 del Toro. Una tesi corroborata dal fatto che, proprio quando è stato impiegato da prima punta mobile, a cavallo dell’insediamento di Mazzarri, ha sfoderato delle buonissime prestazioni (Bologna, Benevento e Sampdoria su tutte). Mihajlovic lo ha impiegato fin dall’inizio sulla corsia di sinistra in un 4-2-3-1 completamente sbilanciato, chiedendogli di ripiegare fino alla trequarti difensiva. È palese che Niang non abbia questa vocazione e la stanchezza con cui arrivava a ridosso della trequarti avversaria ne è la riprova.
Prescindendo da questi discorsi, la carriera del classe 1994 è sempre stata discontinua. Questa prova potrebbe essere stata una dimostrazione di forza oppure un’illusione, l'ennesimo fuoco di paglia. Per risolvere questo dubbio bisognerà osservarlo domenica: contro il Giappone, Niang e compagni potrebbero già qualificarsi agli ottavi di finale e l’attaccante ex Milan sarà l'osservato speciale in casa Toro. Riuscirà a riconfermarsi?
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