Le grandi competizioni continentali, come i campionati Europei, sono l’occasione per appassionati ed addetti ai lavori di verificare i movimenti e gli sviluppi del mondo del pallone nelle varie nazioni che lo praticano. Per le società queste rassegne possono essere delle vere e proprie vetrine per mettere in mostra i propri giocatori – con talloncino del prezzo ben evidente – o per annotare sui taccuini nuovi potenziali acquisti, mentre per le federazioni sono l’occasione per dimostrare i progressi del movimento calcistico nazionale.Negli ultimi anni, tra la crisi economica ed i cicli che finiscono, è salita sempre più in voga la tendenza delle società a lavorare sui giovani giocatori prodotti dai vari vivai: una politica che in termini di risultati ha sempre pagato molto ed in quelli economici ha spesso dato i suoi frutti, accontentando di fatto anche le proprie federazioni di riferimento che negli anni hanno visto aumentare di prestigio il bacino dei propri giocatori sia in fatto di prestazioni sia per introiti.Andando ad analizzare le formazioni che si sono qualificate per gli i campionati Europei attualmente in corso in Polonia ed Ucraina si può facilmente osservare come, salvo rare eccezioni (Repubblica Ceca, Irlanda, Croazia e Svezia), tutte le selezioni nazionali abbiano attinto a piene mani dai vivai delle proprie società coinvolgendo molto spesso giocatori nati negli anni ’90.Se però la convocazione significa certamente mettere in condizione i giocatori di maturare esperienza altrettanto non vale in termini di fiducia: un conto è renderli partecipi della spedizione in una rassegna continentale, un altro e affidarsi alla loro bravura.In questo senso, quindi, non stupisce di certo la truppa azzurra: l’unico giocatore nato negli anni ’90 a cui è stata concessa sia la convocazione sia la fiducia è Mario Balotelli, attaccante del Manchester City con un triplete alle spalle con l’Inter di Mourinho, caso certamente eccezionale nel panorama internazionale. Tra gli altri “giovani” del gruppo si può annoverare il ’91 Fabio Borini della Roma, ancora fermo a quota 0 minuti nonostante il reparto offensivo italiano sia stato il più criticato in quest’avvio di Europeo, ed Angelo Ogbonna, centrale difensivo classe ’88 – dunque già fuori dagli anni ’90 - a cui sono stati preferiti altri giocatori fuori ruolo o addirittura non in condizione.La giustificazione è sempre la medesima e non riguarda solo il movimento calcistico ma più in generale la concezione dell’intero sistema italiano nei confronti dei giovani: non hanno ancora l’età giusta, hanno poca esperienza e rischiano di bruciarsi.
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Non è una nazionale per giovani – parte I
Ammettendo che questo sistema paternalistico nostrano possa dare i suoi frutti – eventualità comunque smentita non soltanto dai continui appelli dell’U21 alla ricerca di nuovi talenti e modi di farli esprimere ma anche dall’andamento generale del sistema economico e del mercato del lavoro italiano – è significativo confrontare il caso azzurro con le altre nazioni in corsa per la competizione continentale.Con questa inchiesta europea TN andrà ad analizzare le rose delle varie compagini che stanno partecipando al campionato Europeo valutando con particolare attenzione gli approcci che le singoli nazionali riservano ai propri giocatori giovani e di prospettiva: se in Italia in alcuni ruoli considerati centrali giocatori di 24-25 anni, ovvero nel pieno della propria maturità mentale e fisica, vengono considerati ancora inesperti ed a rischio di bruciarsi, altrettanto non avviene negli altri paesi e non è un caso se il calcio italiano sta lentamente calando di livello e cedendo il passo, per competitività e nuovi talenti, a nazioni che per numero di abitanti, praticanti, competenze ed investimenti in materia sono decisamente inferiori al belpaese.
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