Scrivo da un paese che non esiste più….Così attaccava l’articolo di Gianpaolo Pansa sul disastro del Vajont del 1963; lo stesso incipit può valere per il livello di dramma che si è raggiunto nella provincia spezzina la scorsa settimana. Proprio martedì 25 ottobre, nel tratto autostradale tra Deiva e Carrodano, franavano le pendici di una collina, prima avvisaglia di una serie di tsunami che si abbatteva dall’alto delle montagne, e non dal mare, sulle Cinque terre, su Aulla e sulla Val di Vara. Mi trovavo sullo stesso percorso della piena del Vara e del Magra martedì all’ora di pranzo. In auto sotto una pioggia terrificante che sembrava di guidare sotto i rulli di un autolavaggio, la mia testa era ancora alla sconfitta del Torino a Gubbio, con il fegato amaro per una partita di pallone andata a storta. Ai bordi della carreggiata tra una galleria e l’altra scorrevano ai limiti degli argini i due fiumi, uno affluente dell’altro, limacciosi e scuri. Telefonavo all’ufficio di Santo Stefano Magra per sapere se anche lì pioveva a dirotto. I colleghi liguri mi rispondevano di no. C’erano solo 20 chilometri di distanza, ma le condizioni meteorologiche erano completamente differenti. Sono gli scherzi di questo folle clima, che spazza nell’arco di un pomeriggio interi paesi e ne salva altri che distano ad uno sputo.Nel pomeriggio vedevo il Magra esondare e trascinare via con sé delle auto sotto il ponte che collega Spezia a Santo Stefano; i colleghi di lavoro ricevevano telefonate allarmanti sui cellulari, i parenti chiedevano loro di ritornare a casa al sicuro, perché i carabinieri iniziavano a chiudere le vie di collegamento tra un paese e l’altro. Qualcuno di loro andava incontro alla piena di Aulla, pensando di trovare rifugio, invece si trovava a lottare con la natura d’improvviso diventata perfida. Le tv iniziavano a mostrare le prime immagini dei disastri di Monterosso, era già sera e pioveva a dirotto ormai in tutto il Levante ligure e nell’alta Toscana. Il dramma si consumava contemporaneamente in più località. Il mattino seguente veniva salutato da un sole caldo e da un paesaggio ambiguo. Le colline di nuovo verdi e splendenti erano orlate dal marrone del fango. A Sarzana sembrava una giornata come tutte le altre di inizio autunno, ma erano gli elicotteri della Protezione civile che volano nei cieli come grossi calabroni minacciosi a far intendere che qualcosa fosse andato storto. Dalle immagini dei telegiornali si comprendeva sempre più il dramma che si era consumato, ma, mano a mano che si incontravano persone per le strade delle cittadine spezzine, erano i racconti dei testimoni a lasciare sgomenti. Parlavano i loro occhi segnati da una notte trascorsa all’addiaccio, senza acqua, luce e gas e con pale in mano per scavare sin da subito la montagna di fango che aveva seppellito i piani terreni delle loro abitazioni. In un fazzoletto di pochi chilometri quadrati alcuni abitanti di quelle zone si sono visti la vita rovinata in un pomeriggio, altri non sono minimamente stati toccati. Differenze di metri, di fortuna, di destini che non nessuno potrà mai comprendere se non li vive in prima persona sulla propria pelle.
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Per non dimenticare
di Guido De Luca
Per non dimenticare, un minuto al giorno di riflessione su quanto accaduto ci potrebbe dare la misura di quanto sia caduco e superfluo tutto quello che quotidianamente ci fa arrabbiare, che molto spesso per noi tifosi del Toro è anche solo una partita di pallone andata storta.
Un abbraccio ai nostri fratelli granata di Monterosso, Vernazza, Borghetto, Brugnato, Aulla e Pontremoli.
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