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Santi in Purgatorio

Redazione Toro News
di Andrea Ciprandi

Cosa c'entra una squadra di terza divisione inglese con Gareth Bale, Alan Shearer, Theo Walcott, Wayne Bridge, Dennis Wise e Kevin Phillips? E soprattutto di quale Club si tratta? Forse l’arcano può essere svelato aggiungendo il nome di Matt Le Tissier. Stiamo parlando del Southampton, i Saints? Il possibile stupore di fronte al legame fra tanti giocatori celebri e un Club della cui importanza solo chi ha più di trent‘anni può conservare buona e diretta memoria è destinato a crescere se si aggiungono a quella lista campioni che hanno fatto la storia del calcio inglese, europeo e mondiale dei quali mi limiterò a ricordare alcune conquiste. Kevin Keegan, Bruce Grobbelaar, Jimmy Case e Sammy Lee campioni d‘Europa con il Liverpool; Peter Shilton campione d’Europa col Nottingham Forest; Mick Mills vincitore della Coppa UEFA con l’Ipswich Town; Peter Reid, Mark Hughes e Graeme Le Saux vincitori della Coppa delle Coppe rispettivamente con Everton, Manchester United e Chelsea; Peter Osgood, anch’egli vincitore di una Coppe della Coppe col Chelsea ma negli anni Settanta; Dave Beasant, primo portiere a parare un rigore in una Finale di Coppa d’Inghilterra, poi vinta, e l‘ex portiere della Nazionale inglese Chris Woods; Alf Ramsey, allenatore dell’Inghilterra Campione del Mondo; Jamie Redknapp (il cui padre Harry invece a Southampton allenò); un simbolo del grande Arsenal degli anni Trenta come Ted Drake; e poi  Kerry Dixon, Paul Rideout, Mark Wright, David Beattie e Peter Crouch.

Mentre tutti questi giocatori hanno vestito la maglia biancorossa dei Saints soltanto a carriera iniziata, i sette menzionati in apertura hanno qualcosa in più che li lega a questo Club del Sud dell’Inghilterra: sono usciti dal suo vivaio. E fra loro ci sono niente meno che l’esterno sinistro più forte del momento (Bale), uno dei più grandi attaccanti inglesi di sempre nonché il più prolifico realizzatore nella storia della Premier League (Shearer) e una delle ali destre più promettenti al mondo (Walcott), con tutti gli altri che hanno comunque saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel calcio di oggi e del recente passato. Uno di questi, però, non ha pari con nessuno in quanto a classe e soprattutto storia personale e professionale: mi riferisco a Le Tissier.

Partiamo dai numeri e in particolare da quelli più significativi e stupefacenti: due e zero. Due sono le maglie che Le Tissier ha vestito nel corso della propria carriera: Southampton e Inghilterra. Zero, conseguentemente, i titoli vinti. Poco, infatti, ci si poteva attendere dai Saints fra il 1986 e il 2002 e poco anche dai Tre Leoni fra il ‘94 e il ‘97 e dalle Selezioni minori con cui aveva già iniziato a giocare a fine anni Ottanta. Se con la Nazionale maggiore ha disputato appena 8 gare e non è mai andato a segno, col Southampton invece ha giocato 443 incontri e realizzato 162 reti, divenendo fra l’altro il primo centrocampista a raggiungere quota 100 gol in Premier League. Alcune sue reti sono entrate nella leggenda, frutto di un controllo di palla e di una visione fantastica del gioco, al limite del visionario, davvero, che rimane senza pari a quasi dieci anni dal suo ritiro. Sua fu anche l’ultima rete realizzata sullo storico campo di The Dell, che coincise anche con l’ultima segnatura della sua carriera. Coincidenze che non possono essere considerate casuali per ‘Le God’, com’era stato soprannominato dopo aver respinto l’ennesimo assalto milionario di alcuni fra i Club più ricchi d’Inghilterra quando stavano già iniziando a girare i soldi della Premier League coi suoi diritti televisivi. Non vedo perché dovrei andare altrove quando la mia felicità l’ho trovata qui, dichiarò un giorno. Aggiunse che da un’altra parte avrebbe forse trovato motivo di benessere, sì, ma dipendente esclusivamente dai quattrini, e che quindi intendeva restare. 

Ma dev’esserci qualcosa di magico e irresistibile nell’aria di Southampton, qualcosa che ha a che fare col calcio inteso innanzitutto come gioco, se è vero che un’altra stella assoluta e prodotto dei Saints, pur andandosene, preferì un Club di secondo piano al Manchester United. E venne premiato, riuscendo a vincere proprio in uno sprint a due coi Red Devils un titolo che ebbe del miracoloso. Parlo di Alan Shearer e del Blackburn Rovers. Trionfo, il suo, che ai tifosi dei Saints che ancora lo seguivano deve aver riportato alla memoria l’unico trofeo maggiore conquistato dalla squadra del cuore nei suoi 125 (a oggi) anni di storia: la Coppa d’Inghilterra del 1976 vinta in Finale appunto contro il Manchester United. Nell’incredulità generale.

Dicevamo dei soldi. Da quando ha lasciato la Premier League nel 2004-05 dopo essere riuscito a salvarsi nelle prime dodici edizioni, il Club ha patito un crollo graduale ma irreversibile. Dopo aver soltanto sfiorato il ritorno nella massima divisione e per ironia della sorte contemporaneamente alla resurrezione dei rivali del Portsmouth, all’indebolimento tecnico si sono aggiunti problemi finanziari che hanno portato all’amministrazione controllata e a una penalizzazione di punti che ha significato retrocessione in terza divisione. D’altra parte si sa: quando non ci sono di mezzo Club potenti prima ancora che ricchi la giustizia non fa sconti nella civile Inghilterra esattamente come nella demenziale Italia. 

Per fortuna i tribunali non riusciranno mai a cancellare la storia, che nel caso dei Saints passa anche per lo stadio. Per tanti, me compreso, è stato sacrilego l’abbandono di The Dell e la conseguente inaugurazione del Saint Mary’s, nel 2001. Per quanto mi riguarda, il trasloco in questo impianto anonimo che ha l’unico merito di soddisfare i parametri di sicurezza e modernità imposti dalla Premier League può essere mitigato solo dalla volontà dei dirigenti di allora di far riferimento alle origini del Club, nato nel 1885 come St.Mary’s Young Men’s Association Football Club, con sede nel quartiere ove è sorto il nuovo impianto. Per il resto, provo solo un’incurabile nostalgia per il vecchio stadio incastonato nella collina, nel cuore di una cittadina verde a ridosso della Manica che sembra non avere un centro; e a volte con la fantasia mi ritrovo a percorrere Archers Road come fosse la prima volta, quando pensavo di costeggiare delle semplici paratie di legno e non sospettavo che dietro di esse ci fosse addirittura la fila di seggiolini in cima a una delle due curve… Che meravigliosi spalti, quelli di The Dell, asimmetrici e irregolari, unici come le sorti del Club che nella loro cornice ha giocato per più di un secolo, a partire dal lontano 1898. Peccato che non ci siano più: oltre che per l’assenza di rischi, la trasferta a Southampton era considerata dalla maggior parte dei tifosi inglesi la più piacevole di tutte certamente anche per via di questo stadio fiabesco.