Ogni tanto in curva Maratona sventola una bandiera che ritrae un vecchio pallone in cuoio e, sopra, la scritta: No al calcio moderno.
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Toro, i dolori tedeschi del giovane Ciro…
Nel calcio moderno le squadre hanno in gran parte perso la loro identità storica, ormai tramutatesi in anonime terre di passaggio, come hub aeroportuali da cui raggiungere la destinazione finale del viaggio. Per i calciatori la destinazione finale ha un solo nome e si chiama Champions League. Giocare nella più importante competizione internazionale permette ai calciatori di ottenere visibilità, di calcare i suggestivi palcoscenici europei, ma soprattutto di massimizzare i profitti. E, da un certo punto di vista, sarebbe persino noiosamente moralistico condannare i giocatori a causa delle loro aspirazioni materiali: le loro carriere hanno una durata assai breve e sono sempre esposte al rischio di infortuni e di inaspettati cali di rendimento. È perciò logico che cerchino di accumulare più denaro possibile.
I calciatori si dice sono professionisti. Ciro Immobile è uno di questi. Chi, mettendosi nei suoi panni, avrebbe resistito al richiamo della musichetta più seducente del mondo del pallone, alle sirene di un campionato in ascesa, quello tedesco, e di un club ambizioso come il Borussia Dortmund, alla tentazione di essere allenato da un cavallo pazzo come Jurgen Klopp e, infine, a una camionata di milioni di euro? Non possiamo davvero biasimare la scelta di Ciro. Il Borussia è una grande squadra, il Torino, beh, con tutto il bene che gli vogliamo, purtroppo (ancora) non lo è.Sabato, però, i gialloneri hanno definitivamente certificato la loro crisi di risultati. A Colonia, nel derby (sebbene in una partita meno sentita di quella con lo Schalke), il Dortmund è crollato sotto i colpi di un club in lotta per non retrocedere ed è scivolato al quint'ultimo posto in classifica, con appena 7 punti guadagnati in 8 giornate. Nonostante il ritorno dopo un anno di Gundogan e il recupero di Reus, la formazione di Klopp è apparsa paurosamente involuta, soprattutto in difesa, dove le amnesie di Hummels e Papastathopoulos si sommano alla fragilità del centrocampo (vedi Kehl) e degli esterni (vedi Großkreutz, adattato al ruolo di terzino per l'assenza di Durm).
L'impressione è che gli avversari abbiano ormai imparato a disinnescare il 4-2-3-1 kloppiano, a prescindere dai giocatori che lo interpretano. Immobile, come terminale offensivo, risulta così, inevitabilmente, il più penalizzato da una manovra sterile e improduttiva, e le sue due reti in campionato sono, di conseguenza, più lo specchio delle difficoltà della squadra che del mancato adattamento del napoletano alla nuova realtà.Solo i falsi profeti parlano a posteriori, quindi non chiederemo a Ciro se si sia pentito del trasferimento a Dortmund. Non è quello che i tifosi del Toro vorrebbero sentirsi dire. Quello che i tifosi granata vorrebbero sentirsi dire, almeno per una volta, è scritto in una bandiera che sventola, romanticamente perdente, in curva Maratona.
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