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Verso lo sciopero / 2

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di Stefano Rosso
Redazione Toro News

Dopo aver anticipato gli attori coinvolti nella contesa - Lega di serie A e presidenti delle società da una parte e sindacati dei calciatori dall'altra ed una breve descrizione storica degli intervententi effettuati e della loro importanza nel mondo del pallone, ci concentreremo sui contenuti della trattativa per il rinnovo dell’Accordo collettivo che proprio in questi giorni sembra essersi bloccata, ripronendo le medesime avvisaglie di sciopero che già avevano minacciato il regolare svolgimento della quarta giornata di serie A. Come implicitamente sottolineato nell’introduzione il rinnovo del contratto riguarda soltanto i giocatori e le squadre militanti nella massima serie del campionato nazionale: non è infatti un caso che nessuno tra giocatori e società della divisione cadetta si sia mai pronunciato in materia e soprattutto che non si sia mai parlato di sciopero del campionato di serie B. Accordo collettivo attualmente oggetto di discussione, come detto, è un contratto che viene stipulato tra la federazione sportiva nazionale, la lega di competenza ed i rappresentanti degli atleti con l’intento di disciplinare “il trattamento economico e normativo dei rapporti tra calciatori professinisti e società partecipanti ai campionati nazionali” (art. 1): tale accordo ha validità annuale e, come recita l’art. 23, non è rinnovabile o prorogabile tacitamente.Le cause che stanno portando allo scontro circa il rinnovo di questo documento possono risiedere nel cambiamento dell’attuale scenario calcistico (la scissione tra Lega di serie A e Lega di serie B) ed economico (legato non soltanto alla crisi, ma più in generale all’evoluzione dei contratti di lavoro e della loro flessibilità): non è infatti casuale che sui ventiquattro articoli contenuti nell’accordo soltanto otto siano stati messi in discussione e che la disputa sia permessa ed ancora aperta solamente su sei di questi.Analizzando il contenuto di tale contratto, che - come stabilito sempre dall’art. 23 – ha scadenza fissata al 30 giugno dell’anno in corso, il primo punto della discussione si trova alla voce ‘Retribuzione’ (art. 4).La norma finora in vigore permetteva a società e calciatori di stipulare accordi basati su una retribuzione suddivisa in una parte fissa ed una variabile non superiore al 50% della prima, legata al raggiungimento di obiettivi di squadra (piazzamenti, titoli ecc…) ed individuali (presenze, reti segnate e subite…), mentre la nuova proposta – caldeggiata dalla Lega di serie A e ricusata dai rappresentanti degli atleti – prevederebbe l’equiparazione delle due parti, senza eliminare quella fissa ma permettendo alla variabile di essere di pari valore: in questo modo, quindi, le prestazioni dei calciatori influirebbero maggiormente sulla consistenza dello stipendio.L’articolo 8, ovvero i “Limiti allo svolgimento di altre attività”, sono il secondo punto della diatriba: al calciatore professionista era proibito svolgere altre attività sportive, lavorative o imprenditoriali senza l’autorizzazione della società, specificandone l’impossibilità totale in caso di incompatibilità con l’esercizio della propria professione agonistica.Indipendentemente dai problemi economici e di mantenimento del proprio tenore di vita o della propria famiglia da parte dell’atleta – non bisogna pensare soltanto ai grandi nomi dagli ingaggi faraonici (il giocatore del Cagliari Radja Nainggolan, ad esempio, ha recentemente ammesso di giocare a calcio per mantenere la propria famiglia ed i propri genitori, entrambi in situazioni complicate) – la clausola riguardante l’incompatibilità sembrerebbe una garanzia sufficiente per permettere al calciatore professionista di costruirsi un futuro od un presente parallelo al mondo del calcio (argomentazione sostenuta dai sindacati) senza che questo ne pregiudichi il suo operato in campo (punto di vista della Lega). Il terzo argomento della trattiva riguarda il codice di comportamento dei giocatori e le conseguenti sanzioni (artt. 10 e 11): essenzialmente, al di là del comportamento all’esterno del rettangolo di gioco - che le società vorrebbero comunque includere tra queste norme – la discordanza verte sulla modalità di comminare le ammende. L’attuale procedimento, che i rappresentanti dei calciatori intendono mantenere, prevedeva l’approvazione della sanzione da parte del Collegio Arbitrale chiamato a pronunciarsi entro un determinato limite di tempo su questioni pergiunte nel rispetto di determinati altri limiti di tempo; la Lega di serie A invece vorrebbe semplificare la prassi eliminando l’assenso del C.A. ed automatizzando le sanzioni in base alle irregolarità commesse degli atleti.Strettamente collegato, nonché contenuto nei medesimi articoli, è il quarto punto dell’elenco relativo alla consistenza delle sanzioni: l’attuale norma – appoggiata dai presidenti delle società – vincola le ammende economiche agli stipendi dei calciatori professionisti (imponendo un tetto massimo fissato al 30% della parte fissa mensile), mentre i sindacati vorrebbero slegarle dall’ingaggio.Considerando il frequente ricorso – soprattutto negli articoli finora analizzati - al Collegio Arbitrale, come garante delle contese, a cui fa riferimento l’Accordo collettivo, può essere immaginabile anche il quinto punto della contesa: la presidenza del C.A.In questo caso tutte le parti in causa sono concordi sull’estraneità alla Lega di serie A del personaggio che deve ricoprire tale incarico, ma ancora non ci trova sulle modalità di scelta: se sorteggio, elezione o scelta ponderata.Il sesto punto, invece, verte sull’assistenza sanitaria, soprattutto nel caso di infortunio. L’articolo 14 concedeva la possibilità all’atleta di scegliere se accettare o meno la proposta di cura (medici, specialisti, strutture ospedaliere, interventi chirurgici ecc..) avanzata dalla società di appartenenza, obbligando la stessa, in caso di rifiuto, a farsi carico di tutte spese sanitarie da sostenere per il recupero completo del calciatore in altre strutture di suo gradimento: anche in questo caso le posizioni sono piuttosto scontate con i giocatori, da una parte, che vorrebbero mantenere invariato il proprio privilegio e la Lega, dall’altra, che chiede di dover pagare soltanto in caso di accettazione dell’assistenza sanitaria sociale proposta all’atleta, pur continuando a permettergli – a suo spese – di rivolgersi altrove.Archiviati i primi sei argomenti sui quali il dibattito rimane aperto e possibile, ci addentreremo nell’analisi degli ultimi due punti, considerati insindacabili dagli atleti e pertanto non passabili di discussione, che costituiscono la reale motivazione delle minacce di sciopero: l’esclusione dalla rosa e l’obbligo di trasferimento.Nel primo caso, contrariamente a quanto stabilito dall’articolo 7 (sulla partecipazione ad allenamenti e partite) e legittimato dall’art. 12 (“Azioni a tutela dei diritti dei calciatori”), le società rivendicano il diritto di un allenatore – in nome del sesto comma dell’art.10 che prevede il divieto del giocatore di interferire nelle scelte tecniche, gestionali ed aziendali – di scindere la rosa in due gruppi e costringere alcuni atleti, per motivi disciplinari o punitivi, ad allenarsi separati dal resto dei compagni di squadra anche per l’intera stagione agonistica.In questo senso possono essere citati ad esempio i casi De Silvestri, Ledesma e Pandev, avvenuti alla Lazio durante la passata stagione, oppure i vari Diana e Loviso in casa granata quest’anno.L’altro punto sui quali i rappresentanti dei calciatori non intendono scendere a compromessi è, come anticipato, l’obbligo di trasferimento. Per facilitare lo sfoltimento delle rose e liberarsi di giocatori dagli ingaggi troppo elevati i presidenti caldeggiano la seguente proposta: qualora due società si accordino sulla vendita del cartellino di un giocatore se la squadra di destinazione assicura allo sportivo pari livello di competitività e pari trattamento economico, questi è costretto ad accettare il trasferimento. In caso di rifiuto il contratto in essere è da intendersi rescisso e l’atleta viene punito con un’ammenda da corrispondere alla vecchia società di appartenenza pari al 50% dello stipendio che avrebbe dovuto percepire.Il dibattito è ancora aperto e lo stato delle trattative - tra continue interruzioni, riprese e cambi di strategia – è in perenne evoluzione. L’unica certezza, per il momento, sembra essere la volontà di tutte la parti in causa di arrivare ad un accordo per scongiurare quello sciopero stigmatizzato dai presidenti delle società di serie A – con il blucerchiato Garrone ed il friulano Pozzo ultimi ad esporsi in ordine cronologico, allontanato dai sindacati dei calciatori, nessuno di noi vuole lo sciopero, ha assicurato il giocatore Massimo Oddo e maltollerato dalla Federazione con l'ipotesi risolutiva minacciata da Abete: 'piuttosto nomino un commissario'.