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di Stefano Rosso - Sembrava dovesse essere il processo del secolo: lo scandalo del calcioscommesse aveva stravolto i campionati di medio-bassa...
di Stefano Rosso - Sembrava dovesse essere il processo del secolo: lo scandalo del calcioscommesse aveva stravolto i campionati di medio-bassa serie A e serie B e, alla lettura delle proposte di sentenza, sembrava che sarebbe partito un repulisti generale. Pene severissime, fino a tre anni e mezzo di squalifica per i giocatori, e retrocessioni varie aveva spinto, in primissima battuta, tutte le società estranee alle azioni dei propri tesserati al patteggiamento per limitare i danni di una situazione che era evidentemente sfuggita loro di mano.
Succede così che se i -6 e -2 di Siena e Atalanta possono sembrare limitati, visto il ruolo chiave dei propri giocatori nella vicenda, altre società come Torino e Sampdoria si trovano coinvolte in situazioni di cui hanno la resposabilità oggettiva, ovvero non sono direttamente responsabili di quanto accaduto, e preferiscono patteggiare a -1 per evitare sanzioni peggiori.
Un ragionamento, bisogna darne atto alla società granata, tutt'altro che eccepibile: considerando il pugno duro che sembra voler adoperare il procuratore Stefano Palazzi l'andare oltre nell'iter processuale, tra sentenze e appelli, per dimostrare l'estraneità all'operato di un proprio tesserato - Alessandro Pellicori, ndr - potrebbe addirittura arrivare a peggiorare le sorti della squadra, poichè con certezza si ignorava quale fossero gli illeciti messi in atto dall'ex attaccante granata.
Il Torino quindi giustamente patteggia per limitare i danni e così anche la Sampdoria - sebbene Stefano Guberti, la cui condanna è stata confermata in sede processuale, sia tutt'ora un tesserato blucerchiato - mentre altre compagni come il Bologna chiedono la propria totale estraneità ai fatti, nonostante i 2 punti di penalizzazione proposti.
Alla fine succede tutto ed il contrario di tutto: gli imputati tra i tesserati rossoblu emiliani sono addirittura tre, i giocatori Portanova e Di Vaio ed il team manager Sanfelice, e per loro si passa dall'accusa di illecito sportivo a quella di omessa denuncia. Il dirigente, accusato di non aver parlato pur sapendo tutto, patteggia a 4 mesi di squalifica, denotando la consapevolezza di aver effettivamente tenuto un comportamento scorretto oppure temendo, pur estraneo alla vicende, di perdersi nei meccanismi della giustizia sportiva che prevede l'inversione della prova (bisogna dimostrare la propria innocenza e non la consistenza delle accuse).
Al processo si assiste alla saga dell'assoluzione e, indipendentemente dall'effettiva colpevolezza o meno, la maggior parte dei tesserati coinvolti - tra cui i granata Vives e Masiello - viene prosciolta, passando dai tre anni di squalifica proposta all'assoluto scagionamento. Un successo per quasi tutti gli imputati, dovuto essenzialmente alla scarsa attendibilità di Andrea Masiello come testimone, ma che non tiene in conto di quanti si erano mossi correttamente durante le proposte di patteggiamento: il Bologna, responsabile oggettivo di una combine che vede imputati tre propri tesserati all'epoca dei fatti, passa così dalla proposta di 2 punti di penalizzazione ad un'ammenda pecuniaria - che in appello cercheranno di eliminare - mentre società come il Torino, che avevano creduto nel corretto svolgimento dell'iter giudiziario, sono rimaste doppiamente penalizzate da questo tourbillon di sentenze che lo porterà ad iniziare il campionato con un punto di svantaggio rispetto alle dirette concorrenti.
L'interrogativo, quindi, è sempre lo stesso in Italia: è successo veramente qualcosa oppure no? Nel primo caso, con una giustizia sommaria fatta di assoluzioni, si sarebbe assistito al solito trionfo dei più furbi, nel secondo, con le condanne fissate tra patteggiamenti e sentenze, allora si andrebbe incontro ad un'ingiustizia.
Qualunque sia la risposta, è evidente, le indagini del procuratore Palazzi, ancora una volta, non sono riuscite a cogliere nel segno.
(foto N.Campo)
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