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A Bologna un super-Santana

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Mancano sette gare al termine del campionato forse più brutto del dopoguerra. Perchè in Italia si gioca così male? Ma per la nuova moda, che fortunatamente non ha come estimatore Giampiero Ventura, di difendere a tre! 
Renato Tubere

Mancano sette gare al termine del campionato forse più brutto del dopoguerra. Perchè in Italia si gioca così male? Ma per la nuova moda, che fortunatamente non ha come estimatore Giampiero Ventura, di difendere a tre!

 

LA SCOMPARSA DEI TERZINI - Son sempre di più i mister nostrani che affollano inutilmente il centrocampo con inutili pedalatori, medianacci rissosi, mancate mezze ali mascherate da vere fighette e mediocri palleggiatori. Italia: patria di grandi terzini? La tradizione del nostro calcio dice che è proprio partendo da questo ruolo considerato per certi versi marginale che grandi allenatori come Lievesley, Pozzo, Herrera, Radice e Sacchi hanno costruito dream team memorabili. Nel 2013 invece alcuni geni delle panchine italiche, ripassando ogni mese i sacri testi del calcio a Coverciano, hanno deciso: niente più terzini nel campionato 2012/13 per le loro squadre, son diventati inutili. Beh, li capirei se in Italia nascessero ali o mediani particolarmente dotati sul piano atletico e tecnico. Giocatori completi. Atleti capaci di coprire le due fasce laterali del campo. E invece nisba! Intanto i club europei che hanno campioni di questo calibro - come ad esempio il Bayern tritasassi di Ribery e Robben - se ne guardano bene dal ricorrere a questo modulo di gioco! Tre a difendere? In effetti per larghi tratti delle noiosissime gare di A si difende quasi sempre a cinque. Il risultato è sotto gli occhi di tutti i veri appassionati: ventidue atleti tutti ammassati fra le due aree di rigore in mezzo al campo e le due fasce quasi sempre deserte, oppure occupate quando capita da gente che tratta il pallone come un banchiere tratta i suoi correntisti: a pesci in faccia!

LO STANTUFFO DELLA PATAGONIA - Bologna-Torino 2-1. Manca una manciata di secondi alla fine quando Mario Alberto Santana, numero sette granata, porta palla sul fronte destro dell'attacco. Quasi davanti alla sua panchina il nostro eroe prende una decisione. Anzi, La decisione! Di colpo effettua un lancio calibratissimo sulla fascia opposta andando a pescare solo soletto Danilo D'Ambrosio. Da qui in poi sappiamo tutti com'è andata a finire: gollasso all'ultimo secondo di capitan Rolly, scene di giubilo fra i quasi 2mila sostenitori granata molti dei quali provenienti dal centro Italia, il Gatto di Liegi che lascia la sua porta voltandosi verso i suoi ex tifosi per salutarli con particolare affetto ... Ma soffermiamoci su Santana. Questo 31enne giocatore di fascia proviene dalla Patagonia. Terra di confine decantata, fra gli altri, dal più bravo reporter che sia mai esistito nel Novecento: lo scontroso ma geniale inglese Bruce Chatwin. "In Patagonia": amici granata, questo è un libro che merita! La gente laggiù nasce con un orgoglio a volte smisurato. E il buon Santana non fa eccezione. Arrivato quasi per caso al Toro dopo un paio di stagioni rovinate da infortuni, ricadute, incomprensioni Santana pareva ormai l'ombra del fantastico tornante di destra della magica Fiorentina di Prandelli che travolse il Toro all'Olimpico nel dicembre 2008 causando l'esonero di Gianni De Biasi. A Bologna sabato notte si è battuto e sbattuto come mai l'avevamo visto prima. Con Cerci un po' giù di corda e giustamente sostituito a inizio ripresa il ritorno sulla fascia che predilige gli ha fatto un gran bene. La probabile salvezza del Toro passa dai piedi, dai polmoni e soprattutto dal cuore indomabile di questo figlio della Patagonia: chissà il buon Chatwin (visto in foto quasi la fotocopia dell'ex idolo della Maratona Joe Baker) da lassù come si frega le mani felice!

 

LE GOD E' TORNATO! - Southampton, Inghilterra del Sud. A un tiro di schioppo dalle bianche scogliere di Dover undici footballers con una divisa inconfondibile a strisce bianche e rosse verticali han la fortuna di giocare, davanti a spalti spesso gremiti, nell'impianto a mio giudizio più bello del mondo: il Saint Mary. Le 2 sterline richieste per visitarlo, credetemi, sono ben spese anche perchè - succede così per tutte le società professionistiche della civilissima Inghilterra - il 50% va a finanziare il vivaio del club. E' notizia di questi giorni che il più grande campione, anzi l'uomo simbolo per eccellenza dei Saints torna a giocare a 44 anni suonati in Nona Divisione. Più precisamente nel minuscolo club del Guernsey, l'isoletta che gli ha dato i natali. Sto parlando di Matthew Le Tissier, centrocampista atipico che più atipico non si può, Non era un dieci, ma trattava il pallone divinamente. Correva così poco che, negli anni 80 e all'inizio dei 90, pareva un giocatore quasi a fine carriera. Però Le God, così lo etichettarono in Inghilterra, segnò la bellezza di 209 reti in 541 gare ufficiali. Lo voleva l'Arsenal, avrebbe fatto carte false per lui pure il Tottenham: non parliamo all'estero quante proposte ricevette il buon Matthew! Niente da fare: fedeltà assoluta ai suoi amati biancorossi. Finte, controfinte, pallonetti, tocchi di palla da vero artista del pallone: non a caso Le Tissier è l'idolo incontrastato di un certo Xavi del Barcellona. E sarà sempre Le God: chissà in quanti ora prenderanno il traghetto dal continente per andare a vedere come il Dio dei Saints tratta ancora la sfera?

Renato Tubère(foto Dreosti)

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