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columnist
“se non puoi dare a tuo figlio nient’altro
che una sola cosa, lascia allora che sia
l’entusiasmo”.
Bruce Barton
“Vergogna, fate giocare i ragazzi della primavera”, ha tuonato attraverso i social il Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, chiosando un suo commento sulla brutta presentazione dei rossoneri all’Olimpico Grande Torino. Non era facile trovare una risposta sensata a questo intervento un po’ scomposto, e probabilmente non opportuno, nell’amara e triste conferenza stampa di Gennaro Gattuso nel post partita di Torino Milan. Ma il tecnico rossonero ha trovato delle parole così umili e belle da lasciarmi per un attimo spalancata la bocca dalla meraviglia: “ha detto bene lui (Salvini): vergogna. Mi assumo la vergogna, e gli auguro il meglio e di fare un grandissimo lavoro perché ne abbiamo bisogno. Il bello delle persone è che hanno sempre, nelle loro infinite possibilità, la capacità di sorprendere. Non siamo scontati, anche se viviamo in un tempo in cui tutto ci appare esserlo, e possiamo in ogni momento ricordare e far ricordare come nella vita abbiamo un nostro posto da rispettare. Gattuso non ha dimostrato solo di essere un galantuomo, ma ha anche sottolineato la giusta differenza tra i ruoli ricoperti, e ha mandato un tenero messaggio ai suoi connazionali.
Un allenatore di calcio, per quanto importante, è solo un allenatore di calcio. Al massimo ha il dovere e l’onore di provare a regalare entusiasmo, attraverso undici giovani messi a correre dietro un pallone su un prato verde lungo poco più o poco meno di cento metri. Come ciò non sia cosa da poco se ne sono accorti i tifosi del Toro alla fine della partita di domenica sera, quando improvvisamente hanno preso atto, grazie alla vittoria con il Milan, di andare a giocarsi il prossimo derby di venerdì sera denso di tanti quei significati come non accadeva da anni. La vittoria sui rossoneri ha acceso tanto di quell’entusiasmo, da far dimenticare a tutti i tifosi le innumerevoli polemiche su allenatore e presidente, che hanno accompagnato tutta la stagione dei granata. Il calcio è una di quelle poche cose in grado di provocare estasi, tanto da farci restare con una tipologia di sensazione di benessere davvero difficile da poter spiegare a parole o con delle acute analisi dotte.
Nella ricerca dell’etimologia della parola “entusiasmo”, tra i tanti significati c’è anche quello “di avere Dio in sé”. Ne discende come ogni volta qualcuno, chiunque esso sia, provi a negarci l’entusiasmo sta anche togliendoci uno dei contatti più importanti: il contatto con la spiritualità. E’ lo sguardo dell’estasi, nel disperato tentativo di trasferire quanto più possibile di ciò che è fuori dentro di noi, a dover ristabilire una connessione che non deve essere interrotta. Nella Costituzione Italiana, precisamente nell’articolo 3 comma 2, si fa riferimento al fatto che siamo persone umane. E se persone rimanda all’identità, l’umano ci ricorda che siamo prima di tutto in una comunità. In due parole, pensate, si tengono etica e morale. E’ questa la connessione a non dover essere interrotta. E parlando di etica e morale mi sovviene un altro fatto accaduto di recente nel corso di una partita di calcio, esattamente un incontro decisivo per la stagione della Championship tra Leeds e Aston Villa. Marcelo “El Loco” Bielsa, attuale allenatore dei “The Whites”, ha ordinato ai suoi giocatori di “segnarsi” un goal per far pareggiare il conto ai “Villans”, che avevano subito la rete del momentaneo vantaggio del Leeds con un loro giocatore a terra per infortunio. Qualcosa di inaccettabile per l’etica che ha sempre pervaso ogni azione dell’allenatore argentino. La cosa stupefacente, questa volta in negativo, è la reazione sviluppatesi nella rete. In altri tempi, oserei dire in tutti i tempi, Bielsa sarebbe stato acclamato come un esempio da seguire, invitato ovunque a prendersi una standing ovation. Ma non in questo tempo disgraziato. In queste ore si possono leggere, su Facebook e Twitter, commenti equivoci e accusatori su un gesto che avrebbe dovuto essere additato come “meno male che qualcuno ancora si soffermi sull’etica e la decenza”. E invece, uno dei tanti messaggi scritti da autorevoli leoni da tastiera, è addirittura giunto a redarguire pesantemente il tecnico del Leeds per “aver penalizzato noi che giochiamo le schedine”. Tralascio di citare altri commenti, del resto scovabili e consultabili facilmente sulla rete, per un fatto di pubblica decenza mentale. Questi “mirabili” commentatori, definiti ironicamente leoni ma sospetto nemmeno essere delle ironiche pecorelle, non sanno evidentemente di cosa stiano parlando.
Marcelo Bielsa è un tipo davvero nato per stupire, e non molto condizionabile dal giudizio degli altri, tanto da non preoccuparsi di parlare con i giornalisti per giustificare le sue scelte, convinto come è che, se uno la verità la vuole veramente capire, ha molte strade per farlo aldilà delle giustificazioni tratte da sue possibili parole. Perciò con la stampa parla solo quando i doveri contenuti nel suo contratto glielo impongono, per il resto sono i fatti a dover parlare per lui. Le persone perbene sono fatte così. Del resto lo chiamano “El Loco”(il pazzo) perché non ha paura di niente e di nessuno. Celebre è l’aneddoto che racconta di ultrà del Newell’s Old Boys assediarlo sotto la sua casa per contestarlo vigorosamente per una pesante sconfitta subita dal San Lorenzo. Le cronache del tempo raccontano di un Bielsa, ormai stufo di tutta quella cagnara, uscire di casa con una bomba a mano minacciando di farla esplodere. Inutile dire come i contestatori si siano dispersi in pochi attimi. Aldilà di come la si pensi su questo personaggio, tutti sono unanimemente concordi su una cosa: Marcello Bielsa è nato per stupire e dovunque è andato ad allenare ha lasciato il segno.
Non è un caso come Pep Guardiola, uno che di ego ne ha in dosi quantitativamente elevate, lo abbia definito “il miglior allenatore del mondo”. E ritorniamo così allo stupore generatore di entusiasmo, cioè a quello stato estatico con il potere di lasciarci con la bocca spalancata dalla meraviglia. Svoltiamo un angolo di una strada, vediamo un gesto o una forma poetica e artistica e non possiamo che rimanere piacevolmente annichiliti. Ed è proprio l’entusiasmo dei tifosi del Toro in queste ore a dimostrarlo. Hanno svoltato un angolo del loro campionato e, voilà, hanno scoperto di essere in lotta addirittura per la Champions League. Ci sono emozioni senza prezzo, e che ricorderemo per una vita intera. Sono emozioni che ci rendono migliori, emozioni caratterizzate da una patina di polvere di stelle. Il fantastico gioco del calcio ce ne regala ogni giorno, così come la vita. Basterebbe tendere la mano per raccoglierle da un ciglio di una strada dimenticata in qualche anfratto della nostra anima. Nella vita capita raramente di vincere, e in fondo è giusto così. L’estasi è qualcosa da provare in qualche istante, qualcosa a servizio del nostro necessario riannodarci alla concretezza della quotidianità con altro sguardo. Lo sguardo di chi sa come tutto non si esaurisca con monotone transazioni di sentimenti e di denaro. Lo sguardo di chi sa ascoltare per il giusto verso la risposta pacata e umile ad un vicepresidente del consiglio forse reo, in quel momento, di arroganza e di mancanza di sensibilità. Lo sguardo di chi giunge alla conclusione che il fairplay di un allenatore di calcio non è il corollario inutile di una favola ormai deragliata in qualche ufficio degli oggetti smarriti. Ma affinché questo sguardo avvenga dobbiamo rimanere avvinghiati alla speranza dell’estasi. Perché dobbiamo imparare ad avere uno sguardo poetico nella vita. I poeti sono coloro che sottraggono le cose ovvie della vita alla loro banalità e ce la riconsegnano con una profondità straordinaria. Forse la verità sta nelle parole dette da Marcello Bielsa ai suoi giocatori del Bilbao, nell’intervallo degli spogliatoi di Old Trafford di uno storico ottavo di finale europeo, per l’Athletic, poi vinto dalla squadra basca sullo United: “La differenza tra una buona prestazione e la storia verrà fuori nel secondo tempo”. Nella vita abbiamo tutti un secondo tempo, il mio augurio è quello di riuscire a sfruttarlo positivamente. Tutti.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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