Il Toro non segna su punizione diretta da tempo immemore (fine 2017, piazzato di Ljajic nella Genova rossoblù) e aspettando che il mercato porti buone nuove da questo punto di vista (sì, Malinovskyj, sto parlando proprio di te) ogni tanto ripenso a quante volte un nostro calciatore abbia superato la barriera con un gran tiro gonfiando la rete avversaria negli ultimi trent’anni. Pur lontani dal deserto delle ultime stagioni le circostanze in cui un calcio di punizione ci abbia causato gioia non sono state moltissime. A non far rimpiangere i Junior e i Policano ci sono stati, oltre al già citato Adem, Abedi Pelè, Scarchilli, Maspero, Rosina, Ferrante. Tra i nomi di vari specialisti sbuca anche quello di un outsider e forse per questo la storia della rete di Agostino Garofalo alla Reggina va raccontata.
Culto
Agostino Carlos
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Dopo la dolorosissima retrocessione del 2009 il Toro, nonostante le cessioni di Rosina e Dzemaili, sembra allestito per essere per la B ciò che l’uomo è su questa terra: di passaggio. La squadra affidata a Colantuono può contare, oltre che sulle conferme di Bianchi e Sereni e sul rientro di Di Michele, su innesti come Leon, Loria, Zoboli, Coppola e Vantaggiato. Dodici punti nelle prime cinque partite sembrano confermare le impressioni degli addetti ai lavori e le speranze dei tifosi, ma la sconfitta interna contro il Padova trasforma un cammino che si sognava trionfale in una via Crucis fino a sfociare in una vera e propria crisi col suo culmine nell’incommentabile sconfitta al “Delle Alpi” contro il Crotone che costerà la panchina a Colantuono. L’arrivo di Mario Beretta non raddrizza la situazione: quattro punti in cinque partite con una sola vittoria esterna contro il Gallipoli (ironia della sorte, in panchina ci sarà il vice Daniele Zoratto, perché l’ex tecnico del Parma non ha passato le prime visite mediche), un pareggio e tre ko. Il Toro chiude il girone d’andata dilaniato dalle polemiche, con uno spogliatoio apparentemente a pezzi, la brutta serata del Ristorante I Cavalieri, il comunicato dei giocatori, voci di partite non affrontate al massimo dell’impegno. La classifica piange, la vetta è lontana, ma la zona playoff tutto sommato no. Ci sarebbe ancora tempo per rimontare, ma servirebbe qualcosa di completamente diverso.
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Quel qualcosa lo porta Petrachi che, accolto da un petardone durante la prima conferenza stampa nel tristemente noto container che ne era teatro, prende le redini del mercato del Toro e fa un repulisti incredibile: una serie massiccia di addii senza rimpianti di giocatori che non avevano più nulla da dare e da dire alla piazza e una decina di operazioni in entrata fra giocatori delle serie minori e calciatori in cerca di rilancio. I primi colpi sono Danilo D’Ambrosio, Rocco D’Aiello e Manolo Pestrin. Inizia a formarsi il Toro dei “peones” che, richiamato Colantuono in panchina, proverà una rincorsa epica facendo riavvicinare anche il pubblico. Il primo atto è in casa col Grosseto, in un Olimpico semideserto per protesta, ed è un 4-1 dove, a proposito di punizioni, due reti sono proprio su calcio franco da parte di Leon e Gasbarroni. Nei giorni successivi arriveranno Antonelli Agomeri, Barusso, Genevier, Morello, Scaglia, Salgado, Statella e Agostino Garofalo.
Garofalo è un terzino sinistro solido, con buon fisico e buon piede. Dopo un quadriennio brillante a Grosseto si è accasato ai rivali del Siena in massima serie, ma ha visto poco il campo. Agostino arriva al Toro e viene buttato in campo alla primissima occasione a Empoli, a causa della squalifica di Rubin, e piace subito per come attacca il fondo e domina la fascia. Colantuono, salvo infortuni, non lo toglierà più e i tifosi iniziano ad apprezzarlo riconoscendo come sia diventato in fretta un punto di forza dei granata.
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La partita in cui Agostino diventa, per un attimo, Roberto Carlos giunge al culmine di una grande settimana per i nostri colori. Il sabato precedente si vince al “Braglia” contro il Modena in una sorta di anticipazione di quello che saranno le trasferte che si disputeranno contro il Sassuolo sempre in quello stadio: settore ospiti stracolmo, rete in apertura (Barusso), espulsione discutibile (sempre Barusso), raddoppio di D’Ambrosio che rompe la sofferenza. Contro l’Ascoli, nel turno infrasettimanale, decide un colpo di testa deviato del piccolo Genevier nelle battute conclusive. La trasferta di Reggio Calabria, giocata nell’allora inusuale orario delle dodici e trenta, diventa importantissima perché potrebbe addirittura rilanciare il Toro per la promozione diretta, cosa impensabile fino a qualche settimana prima.
Sin dalle prime battute del match, però, non sembra giornata con la Reggina che mette l’undici di Colantuono all’angolo. Dopo una decina di minuti Carmona triangola con Pagano e colpisce la traversa con un pallonetto che scavalca Sereni in uscita, poi il portierone granata salva di piede su diagonale di Brienza e con un gran volo su conclusione da fuori di Giacomo Tedesco. Al 25’ gli amaranto passano meritatamente in vantaggio con un colpo di testa di Valdez su punizione di Brienza. L’unica presenza del Toro sul tabellino del primo tempo è dovuta a due cambi forzati per infortunio (Rivalta e Rubin rilevano Zoboli e Gasbarroni).
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Nella ripresa proviamo a dare qualche segnale di vita, mentre la Reggina si accontenta di qualche giocata di rimessa poi, al 65’, ecco la svolta. Pestrin sradica un pallone a Brienza a centrocampo e lo butta in avanti per Rolando Bianchi. Il bomber granata sembra in una situazione di svantaggio, stretto fra due difensori amaranto, che, però, non riescono a posizionarsi bene permettendo all’ex di turno di colpire di testa all’indietro. Il resto lo fa il portiere Marino che, fermo al centro dell’area, viene scavalcato dalla zuccata del centravanti avversario prima di cerca inutilmente di recuperare con affanno la sfera che si adagia lemme lemme in rete per il pareggio.
A poco meno di 10’ dalla fine il Toro può usufruire di un calcio di punizione dal limite nei pressi del vertice destro dell’area di rigore. Da lì si può calciare, ma si potrebbe anche crossare tanto che l’area è piena e i giocatori in barriera sono soltanto due. In quel momento Agostino Garofalo si trasforma e diventa Agostino Carlos. Prende la rincorsa, colpisce la palla col mancino e lascia partire una splendida traiettoria indirizzata verso il palo su vicino. Marino, posizionato come se aspettasse un traversone, tenta un disperato colpo di reni che lo porta solamente a sfiorare la sfera che finisce sotto l’incrocio dei pali. Un gol bellissimo e importante che viene festeggiato da giocatore e panchina. Il Toro espugna il “Granillo” e il risultato cancella la prova opaca aumentando la voglia di inseguire il sogno serie A.
La successiva vittoria in inferiorità numerica contro la Triestina, di Venerdì Santo e con un gol a tempo scaduto di Loria paradossalmente più festeggiato di alcune reti nella massima serie, ci avvicina ulteriormente alle prime due posizioni in classifica, ma conterrà i semi della mini crisi delle gare successive: Pestrin, espulso, dovrà subire una lunga squalifica e, soprattutto, a metà ripresa Garofalo esce per infortunio. L’assenza di due pedine così importanti ci porterà a raccogliere due punti in quattro partite, prima di rimetterci in sesto, blindare i playoff e cedere soltanto al Brescia in finale. Agostino Garofalo verrà confermato per l’anno successivo, ma, complice un’annata fra le più tribolate della storia recente, non riuscirà a incidere come all’inizio della sua esperienza. Di lui ci resta un ottimo ricordo, le solite domande che ci facciamo quando vediamo uno con mezzi da buona serie A non fare la carriera che avrebbe meritato e un calcio di punizione di culto che ogni tanto ci andiamo a rivedere volentieri.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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