- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
columnist
L’amichevole non presuppone amicizia, anzi, spesso è un esercizio di forza tra squadre per nulla equilibrate. È la più forte che si allena, che fa le prove di trasmissione.
E allora a luglio ci siamo visti sotto l’ombrellone le amichevoli con dilettanti e Lega Pro – ma anche col Nizza – e le abbiamo viste mentre eravamo equamente occupati a scoprire i movimenti dei nuovi acquisti, la forma dei consolidati, e a sputare i semi dell’anguria.
Martedì sera, l’amichevole con il Liverpool. Un Toro bravissimo a ripetersi, in testa e nelle gambe, il mantra anti-mostro sacro: io non ho paura, io non ho paura!
Un Mr. Oliver amico soprattutto del Liverpool in questa amichevole, amici di cui il Liverpool fa tranquillamente a meno.
Ma a volte, a volte l’amichevole è letterale, e la si disputa proprio e solo per questo, per amicizia. Un sentimento che ti accomuna a qualcun altro e annienta solitudine, fa venir voglia di frequentarsi, condividere esperienze.
L’amichevole con la Chape mi ha regalato qualcosa che non sempre trovo allo stadio: un’emozione. E dire che era iniziata male, arrivo tardi e la fila davanti all’entrata della Maratona è ancora lunga. Ed eccoli i “migliori”, arrivano urlando e con quattro spintoni sono dentro e se ti permetti un “Ma basta!”, è una cascata di improperi e frasi intimidatorie. E io a chiedermi, ma questi forse hanno sbagliato tram e credevano di scendere a Venaria, non vanno certo a vedere il mio Toro che stasera gioca con la Chape la partita del ricordo che smonta la solitudine, che costruisce futuro. E visto che questi – i migliori – saltano l’identificazione e fanno aprire i tornelli, mi chiedo se siano “graditi” al Toro. Quel Toro che abbraccia la Chape e quella Chape che non si vergogna di piangere e di prenderselo tutto, l’abbraccio di energia sotto la Maratona. L’emozione forte di stare in mezzo a tante persone e non avvertire semplice aggregazione, ma sentirsi parte di qualcosa di più grande, unione.
Ho guardato le tredicimila persone vestite di Toro e accaldate d’agosto intorno (e so di qualcuno che ha comprato il biglietto per contribuire all’abbraccio, anche se già sapeva che non sarebbe potuto venire), e ho pensato che non avrei voluto essere in un altro posto, che non potrei tifare altra squadra.
Questi giorni di amichevoli partite sono fondamentali, aiutano il Toro a definire il profilo con cui si presenterà in campionato. È un conoscere se stessi attraverso l’amichevole incontro-scontro con gli altri.
Oltre a non avere la forza economica di stare nei primi posti in classifica, cosa ci rende diversi dagli altri?
Abbiamo ancora motivazioni potenti che ci muovono?
Le amichevoli dicono che possiamo spenderci in solidarietà con chi gioca le difficoltà della vita, e in coraggio intelligente al cospetto dei forti.
Vorrei vederlo nella campagna pubblicitaria abbonamenti, quello che ci rende diversi dagli altri. Le idee del Toro incorporate nell’abbonamento. Una cultura che non può vendere chiunque insieme al biglietto della partita, neanche se quel qualcuno ha i soldi per comprarsi Ronaldo. Riconoscersi nelle idee e nelle azioni, è importante. Almeno per me.
Penso ad esempio al St. Pauli – ho un debito di riconoscenza nei confronti dell’amico che me lo ha fatto conoscere – che ad Amburgo, in un clima sociale di intolleranza e ambiguità, ha saputo issare alta la sua bandiera col teschio e farla sventolare forte contro il razzismo, il nazismo, l’omofobia e il sessismo. Un St. Pauli che non si pone il problema di piacere a tutti, ma che propone ai suoi tifosi un modo di essere uomini e donne che vanno allo stadio. La sede in un quartiere di Amburgo forse reietto, ma indubbiamente ribelle. È così, che una piccola Società sportiva che non ha mai raggiunto le vette della Bundesliga, ha convinto milioni di abbonati a sventolare la bandiera con il Jolly Roger sopra. È così, che grandi sponsor – come la Nike – hanno iniziato a farle la corte, e la CNN a seguirla. È così che il punk e il rock hanno iniziato a cantarlo, il St. Pauli.
Ma quello è il St. Pauli, il Toro è un’altra cosa. Il Toro non ha bisogno di assomigliare a qualcun altro per essere affascinante, per attrarre, creare immedesimazione. Abbiamo la fortuna di avere già tutto nell’armadio, basta tirarlo fuori dalla naftalina quest’abito buono e farlo sventolare un po’, il nostro granata. Indossarlo a lavoro, a scuola, nel pic-nic di Ferragosto.
Se nella prossima partita di Coppa vedremo Cairo con il teschio sotto alla giacca, vuol dire che il Toro ha addirittura un progetto culturale, da proporre con l’abbonamento 2018-2019.
Ricordaci cosa ci fa diversi dalle altre squadre, Cairo. Io, ho voglia di urlarlo.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA