Da grande uno potrebbe aspirare di diventare arbitro, o chessò io, bidello.
columnist
Arbitri nel pallone
Carriere degne di rispetto in egual misura, anche se quella di bidello è parecchio più lineare. Io da piccola nutrivo un gran timore reverenziale nei confronti della bidella della mia scuola, sentimento che non ho mai provato nei confronti degli arbitri. La parola della bidella nei corridoi non si metteva in discussione, non c’era VAR che ti tenesse in gioco, se andavi in bagno e non era l’intervallo.
Bene, se da grande vuoi fare il bidello, devi avere un curriculum scolastico che preveda almeno il conseguimento di un diploma triennale, devi iscriverti a un concorso pubblico per titoli e/o esami del personale ATA (personale Amministrativo, Tecnico, Ausiliario della scuola), corredando la domanda dell’ISEE e gli allegati di rito. Dopodiché il Provveditorato stila una graduatoria pubblica, e da lì si attinge. Chiaro, lineare. Esiste il regolamento del dipendente pubblico a cui il bidello deve conformarsi e, se lavora coscientemente, può aspirare di prestar servizio in qualsiasi università, posto che non preferisca attorniarsi di utenti decisamente più simpatici, i bambini.
E se da grande vuoi fare l’arbitro di serie A?
Devi aver assolto gli obblighi scolastici (biennio delle superiori), devi iscriverti a uno dei corsi della durata di tre mesi tenuti annualmente dall’AIA (l’Associazione Italiana Arbitri), conseguire il patentino e via, inizi ad arbitrare nei campionati giovanili minori, a partire dagli Esordienti. Applichi il “Regolamento AIA del gioco del calcio” e nel frattempo gli ex arbitri ti osservano in partita, così che le commissioni speciali possano decidere chi merita la promozione nella categoria superiore. Quando arrivi in serie A, sul comodino fai posto al Protocollo VAR, e la sera te lo studi bene bene (te lo impari a memoria, avrebbe consigliato la mia bidella delle elementari).
Chiaro. Be’ proprio chiaro chiaro, no. Non è così lineare, ad esempio, comprendere le valutazioni tecniche che stanno alla base di recenti decisioni dell’AIA sulle carriere di due arbitri.
Da un lato la promozione in serie A di un arbitro come La Penna, che ha diretto in modo imbarazzante la sfida del playoff di giugno Frosinone-Palermo: una corrida tesa a incornare più caviglie che palloni. La Penna che per tre volte cambia idea sul rigore guadagnato dal Palermo, che non nota una testata di Maiello davanti al suo naso, di più, non nota i giocatori del Frosinone seduti in panchina che – con grande sportività – tirano palloni in campo ogni volta che il Palermo attacca, facendo in modo di interrompere il gioco. Insomma, neanche Oronzo Canà (competente Allenatore nel pallone) sarebbe arrivato a tanto, mi chiedo cosa abbia pensato Longo, tra quei palloni. E per finire, il pubblico ciociaro, è lui che fischia la fine della partita, invadendo il campo. Ma La Penna, non nota neanche quest’orda barbarica che lo travolge. Ora, non vorrei peccare di supponenza ma io credo che – sulla scorta dell’esperienza maturata sul campo domestico nell’arbitrare i conflitti tra i miei figli - avrei fatto di meglio. Ma non basta: io non ho conflitto di interesse quando castigo mia figlia o mio figlio, mi ritengo equa nell’amore per entrambi. La penna, non so. La Penna è un avvocato dello studio legale che dal 2008 assiste la società di costruzioni che ha realizzato lo stadio del “Frosinone Calcio”, una società il cui amministratore delegato è addirittura il fratello, del presidente del “Frosinone Calcio”. Ora, non sta a me giudicare l’operato dell’arbitro La Penna in partita, ma mi sorge il dubbio che La Penna non abbia studiato con la dovuta attenzione il Regolamento citato prima (quello per diventare arbitro, non bidello), che all’articolo 40 recita: “…l’arbitro deve segnalare la sussistenza di qualsiasi eventuale rapporto, diretto o anche indiretto, con società calcistiche, al fine di permettere la tempestiva verifica di situazioni di incompatibilità”.
E poi, forse, non so, da profana mi verrebbe da dire che un play-off che decide la qualificazione in serie A non è opportuno che lo arbitri una persona che vive e lavora a meno di un’ora di macchina da uno degli sfidanti. Finisce che ci si conosce…o almeno aumentano le possibilità. C’è poca serenità, toh. L’altra recente curiosa decisione dell’AIA riguarda la retrocessione dell’arbitro Gallucci, che la commissione arbitrale ha “dismesso per motivate ragioni tecniche”. Un tantino generica e atecnica come motivazione eh, in un mondo che fa girare insieme al pallone miliardi di euro. Eh niente, a nulla è valsa la professionalità scevra da condizionamenti con cui Gallucci ha arbitrato Sampdoria-Napoli, con tanto di sospensione dell’incontro per cori discriminatori. Come dire, è stato retrocesso perché ha applicato il regolamento (sempre quello degli arbitri, non quello dei bidelli. Ma forse ti squalificano in entrambi i regolamenti, per cori discriminatori)? Gallucci ha presentato ricorso al Tribunale Federale Nazionale (se ve lo state chiedendo, no, non ha scelto La Penna come avvocato difensore), denunciando assenza di trasparenza nelle graduatorie e nelle votazioni sulle performance, parzialità, mancata applicazione delle norme relative al numero di arbitri annualmente dismessi (che poi io pensavo si dismettesse una gonna passata di moda, una lavatrice, mica un arbitro. Anche le mogli si dismettono?). Motivazioni molto simili ai principi enunciati nella “sentenza Greco” dello scorso anno, quando il Tribunale annullò la dismissione dell’arbitro Greco, contestando all’AIA la violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e terzietà.
Eh già, perché la buona fede si deve sempre presumere, ma la storia recente del calcio parla di arbitri che si vendettero per un orologino. Che poi se hai il cellulare, manco ti serve più l’orologio. Inoltre si registrano arbitri che di sera non leggono l’appendice VAR prima di dormire. Mancanza di imparzialità significa falsare la classifica, sei o sette punti in più o in meno determinano la qualificazione o meno in Europa. Un sacco di soldi…montagne di orologini. Gallucci, in attesa della sentenza, non si è iscritto nelle liste ATA ma ha comunque scelto di frequentare le persone pure che hanno la fortuna di avere intorno i bidelli, i bambini. Il 13 ottobre è sceso su un campo di terra battuta per arbitrare lo scontro tra Vis Sezze e Tor De’Cenci, per la gioia degli allievi regionali, che si sono sentiti importanti. Che sono, importanti. Ogni aspirazione su cosa fare da grande è legittima, però terrei in considerazione che i bidelli non sono noti per le loro crisi coniugali, a differenza degli arbitri. Mi permetto di fare dell’ironia su una categoria di persone – gli arbitri – che stimo e ritengo depositaria di un compito fondamentale: garantire equità. Per questo, perché stanno più in altro degli altri, gli arbitri devono osservare una condotta civile e sportiva irreprensibile, così come da regolamento. Chi si presta ad altre logiche, fuori con disonore, nell’interesse dell’intera categoria.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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