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MILAN, ITALY - APRIL 28: Referee Daniele Orsato reacts with Antonio Candreva of FC Internazionale, Ivan Perisic of FC Internazionale and Miralem Pjanicduring the serie A match between FC Internazionale and Juventus at Stadio Giuseppe Meazza on April 28, 2018 in Milan, Italy. (Photo by Claudio Villa - Inter/FC Internazionale via Getty Images)
“Poiché si gioca, mi
tocca guardare”.
Gianni Brera
Sono passati solo pochi giorni dalla frase del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in cui si sottolineava la serietà come un carattere antropologico/culturale degli italiani. Una frase, questa del presidente, spedita in risposta a Boris Johnson che, in modo alquanto sgangherato ed inopportuno, aveva fatto un paragone tra il senso di libertà degli inglesi rispetto a quello degli italiani. Mattarella, nel lodevole intento di difendere l’onorabilità del suo Paese, forse ha fatto un errore ad elevare uno stato di consapevolezza, per forza di cose di carattere individuale, come la serietà ad una virtù generale nazionale. Perché la serietà, essendo un obbligo soggettivo che si assume in conseguenza di una scelta, non può essere sottostante a nessuna legge, come invece è costretta ad esserlo la libertà, figlia di un cammino generale più che individuale. E la prova di quanto questo assunto sia vero la si è avuta nelle feroci polemiche del mancato Juventus-Napoli e nel mistero delle comunicazioni audio tra VAR e Orsato di Inter-Juventus dell’aprile 2018, apparentemente scomparse nel nulla. “La Juventus fu sempre vagamente odorosa di privilegio sociale”, scrisse una volta Gianni Brera “fu Carlo”, aggiungendo come la società bianconera fosse stata fondata da borghesi, ancora ignari di un calcio avviatosi a diventare una sorta di religione, i quali decisero di unire “i propri estri snobistisci”.
Dalla penna geniale di Brera, è facile intuire come e perché dietro quasi ogni polemica o sospetto del mondo del calcio italiano ci sia quasi sempre la società oggi presieduta da Andrea Agnelli. C’è sovente l’ombra di un agire predatorio, dietro ogni azione della società bianconera, l’ipotesi di un procedere con azioni prevaricanti atte a favorire una sua vittoria a qualunque costo. Ecco perché ha avuto il sapore di una maldestra involontaria ironia l’affermazione del figlio di Umberto, in relazione dell’essersi presentati allo Stadium per giocare nonostante l’assenza del Napoli, che “la Juve rispetta i regolamenti”. La confusione, in questa vicenda, continua a regnare sovrana perché, al solito e in barba a tutti i riferimenti presidenziali alla seriosità, sovente i provvedimenti legislativi italiani sono inclini al carattere non della certezza, ma dell’interpretazione. Uno dei motivi per cui molti investimenti esteri preferiscono stare lontano dal BelPaese è la paura, in caso di controversie giudiziarie, di precipitare in un mondo giurisprudenziale definito più dalle percezioni di un giudice di turno, che da una legge scritta in modo chiaro e applicabile sempre con coerenza.
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Non può esistere giustizia e armonia sociale in un complesso di regole costruito per essere regolato dalla discrezionalità. Non possono esserci due ministri, Roberto Speranza e Vincenzo Spadafora, riluttanti a dire una parola certa a nome del governo su quanto è accaduto domenica sera allo Stadium. Fa quasi ridere, per non dire piangere, un Ministro della Repubblica affermare come “sarebbe stato meglio trovare una soluzione condivisa, non serve schierarsi. I protocolli sono chiari e stabiliscono responsabilità precise”. Domanda: perché il ministro avrebbe preferito una soluzione condivisa, quindi discrezionale, se esistono protocolli chiari e responsabilità precise? Laddove esiste una legge chiara, dovrebbe essere facile stabilire chi ha torto e chi ha ragione, e stabilirne le conseguenti sanzioni. Se è vero, come afferma l’autorevole giurista Karl Schmidt, che “sovrano è chi decide lo stato d’eccezione”, allora non si capisce come importanti decisioni per la vita di una comunità possano essere demandate ad un organo che non sia un governo. Ma forse il giurista tedesco non deve essere considerato molto serio dalle élite politiche italiane, che attraverso Roberto Speranza, giovane e attivissimo Ministro della Salute, a proposito della polemica della mancata partita di Torino ha lapidariamente dichiarato: “le cose importanti in questo momento sono altre. Si parli un po’ meno calcio e un po’ più di scuola”. Fa impressione, almeno a me, quando la retorica populistica prende piede nella gestione di un Paese, quando un politico, invece di provare a risolvere dei problemi, utilizza l’escamotage del sempiterno odio contro i mondi scintillanti, e il calcio è a pieno diritto uno di questi, per fare una dichiarazione ad effetto dall’evidente tornaconto personale per la sua immagine. Cosa vuol dire meno calcio e più scuola? Niente naturalmente, perché un governo ha il diritto/dovere di occuparsi con la stessa determinazione e attenzione di tutte e due le cose. Se esiste un Ministro dello Sport, vuol dire che il Paese considera questo aspetto una delle sue priorità. Inoltre, scorrendo l’informazione, non corrisponde al vero la mancanza di dibattito sufficiente sulla scuola, tutt’altro. E poi invece di parlare di scuola, forse, e in nome della serietà evocata dal Colle, sarebbe meglio fare qualcosa per essa. Mi dispiace per le preoccupazioni scolastiche di Speranza, ma francamente trovo inquietante assistere ad un governo incapace di prendere una posizione certa nemmeno riguardo ad una partita di calcio.
Tutto è lasciato ad una evidente guerra tra bande, dove presto la rissa ha cominciato a fare da padrone. Basta leggere i commenti dei tifosi napoletani e juventini, impegnati da domenica a prefigurarsi un diritto in nome esclusivo dei loro interessi. In una nota trasmissione sportiva campana, un giornalista ha tentato disperatamente per tutta un’intervista di far dichiarare al responsabile della Asl 2 Napoli Nord, che se il Napoli fosse partito per Torino avrebbe commesso un reato penale. Risultato? L’intervistato ha ripetutamente glissato su eventuali responsabilità penali del Napoli, qualora si fosse presentato allo Stadium. La confusione su questa vicenda, ripeto, ormai è all’apice, e chi ha visionato il documento dell’Asl napoletana sostiene come non vi sia contenuto nessun divieto al Napoli di partire alla volta di Torino. Forse il ministro Spadafora dovrebbe fare una dichiarazione netta e chiara per stabilire in modo inequivocabile cosa abbia stabilito veramente l’Asl con quella sua valutazione scritta. Aspettiamo speranzosi. Personalmente avrei preferito un gesto di sportività da parte della Juventus, e al posto del presidente Agnelli non avrei presentato la squadra allo Stadium. Ma questa è una considerazione soggettiva, e non può avere nessuna pretesa di assurgere allo stesso livello di una norma.
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Ma, come detto, negli ultimi giorni la Juventus non è stata protagonista solo del mancato incontro di domenica sera, ma anche di un’inquietante inchiesta fatta dalla trasmissione “Le Iene”, su un retroscena di Inter-Juventus del 2018. Tutti ricordiamo le furiose polemiche scatenatesi intorno alla mancata espulsione di Pjanic nel corso di quella partita fondamentale per la corsa scudetto di Juventus e Napoli, polemiche che avrebbero potuto trovare un chiarimento attraverso le conversazioni tra l’arbitro Orsato e l’addetto al VAR. Cosa che l’ex Procuratore Capo della FIGC, Giuseppe Pecoraro, ha provato a fare richiedendo all’Aia (Associazione Italiana Arbitri) e alla Lega A l’audio video dell’episodio incriminato. E qui arriva la sorpresa: il video è senza audio, quindi il reperto diventa inutile per l’indagine di Pecoraro. Ascoltato dall’inviato delle Iene, Nicola Rizzoli, il designatore arbitrale, ha detto in modo risoluto di dubitare che possano “esistere video del VAR senza l’audio”. Aggiungendo come questa ipotesi impossibile dovrebbe essere dimostrata dall’ex Procuratore Capo della FIGC. Rizzoli ha rubricato la denuncia di Pecoraro come parole, sfidandolo a dimostrare la fondatezza della sua denuncia. A quel punto l’intervista a Rizzoli ha raggiunto vette di comicità attraversate da nervature surreali impensabili, con l’inviato della nota trasmissione obiettare come probabilmente si stesse dando “del cazzaro” a Giuseppe Pecoraro, e con Rizzoli a replicare che lui assolutamente non lo stava definendo così.
Giuseppe Pecoraro potrebbe essere davvero un “cazzaro”? A scorrere il suo curriculum non sembrerebbe proprio l’archetipo del “conta balle”, anzi la sua dichiarazione rilasciata alle Iene è un autentico capolavoro di chiarezza spicciola tipica di chi ha dedicato una vita alla giustizia e all’ordine pubblico: “dal momento che è muta (la registrazione), che me l’hanno data a fare?”. Dichiarazione sublime, che come conseguenza dovrebbe avere una sola conclusione: l’ufficio inchieste delle federazione convochi Rizzoli e Pecoraro, e tutti insieme, appassionatamente, si proceda alla visione del video recapitato all’ex Prefetto di Roma. Giusto per capire chi dei due sta mentendo. Ma sarebbe una soluzione troppo semplice in un contesto italiano dove tutto è pensato e costruito per restare con delle domande perennemente sospese nell’aria, con delle risposte impossibili da enucleare. Un grandissimo Ennio Flaiano, di fronte a tale scenario avrebbe rispolverato uno dei suoi più celebri aforismi: “La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria”. E chissà se Sergio Mattarella lo avrebbe perdonato per tanta impudenza, al limite del tradimento patrio.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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