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Avevamo il vento contro, peccato. Il vento misto a pioggia che si è abbattuto ieri sulla Sardegna ci ha impedito di far fluire il nostro gioco spumeggiante e di sconfiggere il Cagliari. Lo avremmo meritato. Come ha detto Frustalupi a fine partita, abbiamo dominato. Se non abbiamo vinto è soltanto per le condizioni meteo avverse e per il destino baro che ha fatto sì che Cragno facesse due parate. Anche il presidente Cairo e Mazzarri (a proposito, auguri sinceri di pronta guarigione!) si sono detti soddisfatti, il risultato ci sta stretto.
D’altronde non si può sempre vincere; quest’anno abbiamo già spezzato le reni alle corazzate Spal, Chievo, Frosinone e Samp (tutte squadre saldamente ancorate dal dodicesimo all’ultimo posto) e stiamo blindando il decimo posto grazie a pareggi contro squadre della levatura di Udinese, Bologna e Cagliari; lamentarsi sarebbe da irresponsabili.
Ebbene sì, sto provando a sdrammatizzare l’ennesima prestazione da premio Nobel del masochismo messa in scena dai nostri ragazzi. Siamo soltanto a fine novembre e sono già cinque le occasioni in cui siamo riusciti a martellarci i testicoli con un’applicazione e una determinazione tali da fare invidia a un maestro di arti marziali. È la quinta volta che ci viene offerta su un piatto d’argento la possibilità di entrare in zona Europa League, ed è la quinta volta che la dilapidiamo preferendo stare a cuccia nel ventre molle del centro classifica. Abbiamo avuto la possibilità di spiccare il volo prima di Udine (furto subito, nessun tiro in porta, pareggio finale), prima di Bologna (pareggio finale facendoci rimontare due gol in modo pornografico), prima di Torino-Fiorentina (pareggio con buona prestazione ma regalo iniziale), prima di Torino-Parma (sconfitta con prestazione immonda), appunto ieri (pareggio con sessanta minuti di narcolessia)
In psicoanalisi la malattia del Torino si chiama “Coazione a ripetere”. Di cosa si tratta? Della tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. L’enciclopedia Treccani ne dà anche una descrizione clinica: “Nella vita di tutti i giorni alcuni individui si trovano a vivere, più e più volte, situazioni sostanzialmente simili, spiacevoli, frustranti. Assolutamente inconsapevoli del proprio ruolo attivo nel determinare gli eventi che li colpiscono, costoro si sentono vittime del destino e addirittura perseguitati dalla cattiva sorte. In alcuni disturbi del carattere, la coazione a ripetere si esprime attraverso il bisogno reiterato di attuare comportamenti controproducenti o di stabilire rapporti fallimentari, caratterizzati da modalità relazionali sempre identiche a quelle del passato”.
Insomma, la Treccani senza saperlo ha parlato del Toro. Insomma, c’è un problema: un grave disturbo si è insinuato nella nostra identità.
Eppure c’è soddisfazione presso società, staff tecnico e squadra. Si torna al Fila, si chiudono le porte e ci si guarderà in faccia. Ecco, sì; ora, dopo avere fatto un punto su sei contro Parma e Cagliari, ci si guarderà in faccia nel silenzio degli spogliatoi e si ripartirà; il segreto è uno solo: lavorare, lavorare e lavorare. E poi, magari, giovedì sera, una nuova cena per cementare il gruppo: la squadra sta crescendo e orizzonti di gloria stanno per spalancarsi dinanzi a noi.
Eppure c’è soddisfazione anche presso i media. Tutti battono la grancassa e, chi più chi meno, si associano al coro delle pance piene: Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera e Torino Channel, per ovvi motivi, assumono toni trionfalistici; Tuttosport, da qualche tempo stranamente dimesso e “cerchiobottista”, si limita a scrivere che per l’Europa serve qualcosa in più. La Stampa? Boh, la Stampa da sempre si dedica al Toro con la stessa passione che può nutrire un adolescente per gli studi catastali.
Eppure c’è soddisfazione; la società è economicamente sana, per il secondo anno consecutivo siamo la squadra che pareggia di più e finalmente sta per essere posata la prima pietra al Robaldo, tutta roba da pelle d’oca. I tifosi no, i tifosi non sono soddisfatti, i tifosi sono esausti, hanno il fegato marcio e non sanno più che scuse inventarsi per convincere i loro figli ad accompagnarli al Grande Torino (al Fila non possono, è chiuso).
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. È l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
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