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Bandiera Moretti

Maria Grazia Nemour
Sotto le granate / Torna la rubrica della nostra Maria Grazia Nemour

L’undici giugno saranno 37, gli anni di Emiliano Moretti. Per un uomo sono pochi, per un calciatore sono parecchi. Se a 37 anni difendi ancora con ardore la tua squadra, vuol dire che il fisico non ti fa difetto, che la natura è quella della roccia. Moretti infila la maglia granata numero 24 nel 2013, un anno significativo per il Torino, che amplia il respiro della squadra e regala un mazzolino di soddisfazioni ai tifosi. Moretti ne fa parte, da subito. È l’anno che là davanti, in attacco, si intreccia e strabilia la coppia Immobile-Cerci. L’anno in cui il Toro torna in Europa, non tanto per le sue prestazioni quanto per il suo bilancio saldo. E mica faremo i pignoli, per una volta che si va in Europa. E poi, essere corretti è un valore sportivo. Come “non rubare”, che sta inciso addirittura sulla pietra.

Moretti, accetta senza lamentele la competizione con i compagni granata – Castan, Maksimović, Bovo – per conquistare lo spazio in campo la domenica. Non dà mai nulla per scontato. Moretti al Toro fa quello che gli riesce meglio: lavora con serietà.

Una caratteristica che si è portato dietro in ogni squadra dove ha giocato, che fosse la Lodigiana che lo ha visto crescere a Roma, portandolo a giocare in C1 a 17 anni, o il Valencia, dove arriva uomo nel 2004, pronto per conquistare la Primera Division e correre in Champions League. Nel mezzo, la Fiorentina e l’esordio in serie A nel 2001, la toccata e fuga alla Juve – ‘vincere, vincere, vincere’ il loro credo, dirà Moretti, una dimensione che non mi appartiene fino in fondo – e poi il Modena, il Bologna.

Degli anni spagnoli dice di amare il gioco divertente e spettacolare, la velocità e la fantasia. Ma nel 2009 l’aria di casa inizia a mancare e lo riporta in Italia. Aria di mare per l’esattezza, quella del Genoa. Tre anni per farsi apprezzare e amare dai liguri e poi, finalmente, il 2013: Toro. Moretti, del Toro, è Capitano onorario. Senatore a vita. Ne incarna lo spirito bellicoso e l’abnegazione. Per questo, nella lettura delle formazioni, il suo nome è urlato più forte degli altri.

Moretti è Toro quando nel 2015 sfonda, al 94esimo, il muro alto 27 anni dell’imbattibilità dell’Inter a San Siro contro i granata, e ai giornalisti che gli domandano cosa abbia provato in quel momento galvanizzante, lui risponde che lavorare per i tre punti della squadra, è la cosa più importante. Moretti è Toro perché sa che gli obiettivi si conquistano,  a crederci e lavorarci:  nel 2014, a 33 anni, gioca per la prima volta con la maglia della Nazionale addosso. È il più anziano debuttante in azzurro di tutti i tempi. Moretti è Toro perché non si nega mai a qualcuno che ha voglia di stringergli la mano dopo l’allenamento.

È l’uomo che organizza il torneo che raccoglie fondi per chi cammina ogni giorno nelle corsie degli ospedali pediatrici e si inventa mille e un modo per far sorridere i bambini dai letti della malattia, Casa Ugi e la Fondazione Forma. Emiliano Moretti è l’uomo che trova il tempo di andare a trovare i ragazzini della scuola media Valsalice e rispondere alle loro domande che spaziano dal calcio al rapporto con Dio. Accetta di farsi intervistare da uno di loro e racconta di sentirsi un uomo molto fortunato perché la sua passione è diventata un lavoro che gli ha permesso di conoscere il mondo e lo ha arricchito di soddisfazioni. Ma aggiunge che il calcio, prima di ogni cosa, gli ha insegnato il valore dell’impegno e del sacrificio.

Moretti è il padre che va a fare il tifo per la squadra del figlio e che aspetta la fine della partita per fare una sola domanda a Matias: ti sei divertito?

Emiliano Moretti a giugno si toglierà la maglia numero 24 del Toro e tutti speriamo che si infili la bandiera, del Toro, mettendo a disposizione della dirigenza o della Primavera il suo valore più prezioso, il suo essere uomo.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.