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Belotti, il Toro e la consapevolezza della propria dimensione

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Il Granata della Porta Accanto / Non tutti i mali vengono per nuocere: la gara col Frosinone ha certificato che Belotti non è mister 100 milioni ma uno da Toro che col Toro può diventare un grande
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

C’è tanto di Andrea Belotti e della storia del Toro, nel palo colpito dall'attaccante al sesto minuto della partita con il Frosinone. Il centravanti bergamasco aveva bisogno di dare un segnale forte dopo l'esclusione dalle convocazioni azzurre, il Toro di dare un segnale forte ai propri tifosi che dall'inizio del campionato avevano sempre visto i granata “regalare” primi tempi alle altre squadre. Il Frosinone d'altronde, penultimo e non ultimo solo per la penalizzazione del Chievo, sembrava l’avversaria perfetta per scrivere una pagina diversa, forse addirittura un nuovo inizio. Per Belotti e per il Toro. È andata meglio al Toro che grazie a Rincon ha rotto il tabù dei primi tempi, meno al Gallo che ha visto infrangersi sul legno le possibilità di riscatto. È stato un tipico movimento “alla Belotti” quello che lo ha portato al tiro: lo scatto per attaccare la profondità in area di rigore, il filtrante che arriva puntuale, la conclusione perfetta ad incrociare. È mancato solo il finale che tante volte lo ha fatto gioire mimando con la mano la cresta del gallo, la palla che rotola in rete e la Maratona che esplode in un boato assordante. Niente di grave, sia chiaro, siamo tutti sicuri che Belotti tornerà a segnare e a riconquistarsi un posto in Nazionale, ma la serata di venerdì ha detto una cosa che non deve offendere nessuno, ed anzi, inorgoglire i più e in particolare lo stesso Belotti: Andrea è da Toro e il Toro è la sua dimensione. Scordiamoci mister 100 milioni, si scordi lui le big europee e il gotha del calcio. Belotti è nato per giocare nel Toro, del Toro e della sua storia ne reincarna e ne rappresenta vizi e virtù. È ostinato sempre e sfortunato qualche volta, non molla mai, cerca di andare oltre i propri limiti e spesso ci riesce, è un lottatore, ma è capace di gesti tecnici strabilianti, sbuffa e suda per la maglia, sbaglia gli stop, ma azzanna ogni pallone.

Non arriva da vivai di prestigio, è di Bergamo ma non l'ha “allevato” la prestigiosa cantera dell'Atalanta, bensì quella più modesta dell’Albinoleffe. Si è sempre conquistato tutto e come il Toro ha gioito il doppio per i propri traguardi faticosamente raggiunti. È amato dai tifosi e, senza fargli i conti in tasca, guadagna piuttosto bene. L'ultima cosa che gli manca è riconoscere a se stesso che il Toro è la sua dimensione. Il che non vuol dire sminuire il suo valore né stroncare la sua carriera. Belotti può entrare nella storia granata, aiutare il Torino a raggiungere obiettivi inconfessabili (un posto in Champions, una coppa Italia), ma deve capire che la partita col Frosinone è la fotografia di ciò che è stato il suo passato e probabilmente sarà il suo futuro: non è una stella che asfalta la squadretta provinciale e si prende le copertine dei giornali, ma un giocatore che si è fatto rispettare e si farà rispettare dando sempre il 110% di sé. Non è una sentenza negativa. È la consapevolezza che esiste il successo, la soddisfazione e la gioia anche se non è planetariamente riconosciuta. Di Messi ne nasce uno ogni vent'anni, ma anche di Belotti ce ne sono pochi. Sono i giocatori bandiera, quelli che rappresentano un club perché sono diventati un tutt'uno con la maglia e la tifoseria. Gente amata che non è marcita sulla panchina di qualche top club per poi rimanere prigioniera del proprio contratto e finire la carriera con più rimpianti che soddisfazioni. Belotti a 26 anni non ha più grandi margini di crescita, ma ha grandi margini di miglioramento se prende consapevolezza di chi è e di cosa può farlo arrivare al massimo di ciò che può dare al calcio.

Il palo colpito col Frosinone è un bene, più che un male, se lo si sa interpretare nella giusta maniera. È un manifesto politico, un'istantanea della grandezza che solo pochi uomini hanno di fronte al fallimento, un marchio da esibire con orgoglio. Belotti non è un'azienda con due gambe, non è nemmeno un soggetto da giornaletto di gossip: è un giocatore vero che se cade si rialza e se gioisce lo fa col cuore come i suoi tifosi che non sono di plastica come quelli di tante altre squadre. Belotti per il Toro vale più di Messi, di Ronaldo, di Neymar o di Mbappé. Perché i Belotti non si possono comprare, o meglio, non si possono comprare in tutto il loro potenziale già espresso. Sono il frutto di un incontro tra affinità elettive, sono un ibrido unico non riproducibile in altri contesti. Belotti e il Toro sono un mix che in nessun “calcio che conta” si potrebbe replicare. Mi auguro vivamente che in questo momento apparentemente difficile, mentre guarderà la Nazionale che gioca senza di lui, Andrea visualizzi nella sua mente l'azione del palo col Frosinone ed abbia un'illuminazione: il Toro è la mia casa. Diceva un saggio: un uomo viaggia tutta una vita per poi tornare a casa e trovare ciò che cercava. Andrea, tu non hai bisogno neanche di metterti in viaggio…

 

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.

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