Ha ragione Vatta quando dice che l'ultimo vero prodotto del vivaio granata ancora in squadra è un giocatore che non ha mai chiuso le porte in faccia alla Juve. Al di là dei triti e ritriti discorsi sul calcio che cambia, è questo oggi il marchio di fabbrica che dà il Toro? E' questo il modello che genera? Se la risposta è sì, e lo è, allora domenica abbiamo assistito a due eventi dove il popolo granata ha chiaramente fatto sapere a chi di dovere come la pensa sull'idea di Toro a cui il Torino FC dovrebbe ambire.
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Bianchi e il Fila, facce della stessa medaglia
Per prima cosa la gente ha chiarito una volta per tutte che vuole intensamente la rinascita del Filadelfia, ma non solo come centro sportivo alla stregua di un Novarello qualunque, bensì come culla del granatismo, come "fabbrica" di un modo di interpretare il calcio (e la vita) da ricominciare a trasmettere alle generazioni che da lì torneranno a transitarvi. Dobbiamo tutti rallegrarci del fatto che il Fila stia per essere fisicamente ricostruito, ma un Filadelfia senz'anima, cioè privato del suo significato originale e della sua memoria granata se non si troverà lo spazio per il Museo e per le aree di condivisione dedicate ai tifosi, sarebbe un'opera a metà che probabilmente vedrebbe smorzati gli effetti positivi in cui tutti speriamo.
I muri, si sa, sono muri, più di tanto non possono, per cui, inutile dirlo, alla fine sono le persone che fanno realmente la differenza, passivamente respirandone l'afflato mistico e rimanendone influenzati o attivamente "caricandoli" di significati capaci di emanare forze trascinatrici. Il Filadelfia funzionava come scuola di calcio e di vita, perchè i dirigenti e i tecnici che lì lavoravano trasmettevano a chi arrivava l'essenza del mondo granata e i calciatori in rosa, lì cresciuti, "contagiavano" i compagni venuti da fuori di quei valori granata da mettere in campo indispensabilmente. Questo non garantiva successi, affatto, ma garantiva continuità, senso di appartenenza e una visione comune. Ed è questo che la gente granata sugli spalti domenica sera ha tributato a Rolando Bianchi alla fine di Torino-Catania. Tutti, dai suoi detrattori ai suoi più accaniti fan, si sono ritrovati fianco a fianco, commossi, nel riconoscere questo suo ruolo e nel salutare un pezzo di "granatismo" che non ritroveranno più. Perchè a luglio chi ci sarà a fare da tramite tra la storia del Toro e i calciatori neoarrivati? Chi trasmetterà allo spogliatoio con l'esempio, e non solo con le vuote parole, il senso ultimo di vestire questa gloriosa maglia? Chi dei calciatori oggi in rosa sarà in grado di farlo come, se non meglio, di come lo faceva Bianchi?
Forse quel calciatore a cui si riferiva Vatta (se non sarà già approdato ad una big)?O Glik? O dovremo affidarci ancora una volta al buon Tony Vigato, il magazziniere?
Quello che la gente del Toro continua a ripetere a questa proprietà troppo "milanese" è il desiderio di ritornare ad essere torinese e torinista a tutto tondo, coi pregi e coi difetti che ciò comporta, non per chiudersi al resto del mondo, ma, al contrario, per proporre una diversità a questo mondo piattamente conformato al pensiero dominante. Il calcio vive una deriva globalizzante? Bene, cerchiamo di essere più "glocal", globalizziamoci senza dimenticarci le nostre peculiarità locali!
Perdere Rolando Bianchi avrà un impatto sportivo importante perchè costringerà la società a trovare un bomber che garantisca la doppia cifra, ma non sarà questa la più grave delle conseguenze. Lasciarlo andare via vorrà dire disperdere la continuità che poteva garantire un calciatore come lui davvero in sintonia con l'ambiente e non solo, banalmente, perdere una bandiera: più semplicemente vorrà dire perdere un pezzo di Filadelfia virtuale che pulsava all'interno dello spogliatoio granata. So che molti non coglieranno il senso di questa mia denuncia perchè abbagliati dalla propaganda dello slogan "guadagnava troppo" (vedremo lo stipendio dei prossimi attaccanti...) o "non era adatto al modulo" (quindi se sfruttato bene invece che 11 gol ne avrebbe potuti fare 15-20...), ma possibile che decine di migliaia di tifosi abbiano compreso l'importanza di Rolando mentre i due o tre che potevano farlo restare no?
Sbaglia chi dice che finalmente si potrà tornare a parlare di Toro e non di Bianchi: il Toro non è (era) solo Bianchi, ma Bianchi è (era) il Toro, è (era) una delle rappresentazioni del Toro più vicina a quell'idea con cui cresciamo noi tifosi sin da piccoli. Non era Pulici, non era Ferrini, non era Mazzola, ma per certe generazioni è (era) l'unica icona che sapesse concretamente dare una testimonianza vera e tangibile che quel Toro ideale, che tutti noi abbiamo in testa e nel cuore, sopravvive e vive nonostante i tempi bui, le annate in B, le salvezze "biscottate".
Chi ha spento questa testimonianza ed ha allontanato colui che con orgoglio era fiero di incarnare e mostrare a tutti cosa vuol dire essere del Toro, si è assunto una gravissima responsabilità di cui dovrà rendere conto a tutti i tifosi granata. E' difficile poter credere che questo sia stato fatto per il bene del Toro, piuttosto che per tornaconti molto meno nobili e personali, perchè lo capirebbe anche un bambino (e tra l'altro chi glielo spiegherà ai bambini piccoli?) che la permanenza di Bianchi, con il giusto compenso e i giusti presupposti, sarebbe stato il bene del Torino. Il tempo come sempre sarà galantuomo e dimostrerà la validità o meno della strada intrapresa. Con il piccolissimo dettaglio che in caso di responso negativo saranno come sempre i tifosi a soffrire due volte...
Alessandro Costantino
Twitter: AleCostantino74
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