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Succede nella vita di non piacersi, di mal sopportarsi, di non andare d'accordo: in amore, sul lavoro, nella vita in generale. E' capitato anche a Gianpiero Ventura e Rolando Bianchi nelle due stagioni in cui l'ex capitano granata è stato alle dipendenze del tecnico genovese. Era finita malissimo: Bianchi lasciato andare in scadenza giubilato dalle legittime scelte tecniche di Ventura. Ora, a distanza di quattro anni, si riapre un capitolo del tormentato rapporto tra la punta bergamasca e l'ex ct azzurro e gli strascichi di quella situazione, evidentemente mai del tutto superata, esplodono in concomitanza del clamore mediatico successivo alla storica eliminazione dell'Italia dalla fase finale del Mondiale di Russia 2018.
Non voglio entrare nel merito della polemica attuale, ma soffermarmi più che altro sulle dinamiche ambientali e tecniche in cui nacque l'incompatibilità tra giocatore ed allenatore. Il Torino era reduce da una dolorosa retrocessione seguita da due anni ricchi di delusione nel limbo della serie B. Ventura fu l'ultima disperata carta giocata da Cairo, su suggerimento di Petrachi, per dare una sterzata alla brutta piega ormai presa dalla barca granata. Di quel Torino mezzo derelitto rimaneva un'icona alla quale tutti i tifosi si erano attaccati sperando in una rinascita che però non si concretizzava mai: il capitano e goleador Rolando Bianchi che nonostante le reti, l'abnegazione, l'esempio e la voglia che ci metteva, come Ettore, campione dei Troiani assediati dai Greci di Agamennone, Achille ed Ulisse, non riusciva ad essere decisivo per le sorti dei suoi. Bianchi aveva promesso che non sarebbe andato via prima di riportare il Toro in serie A e in tutti i tre anni precedenti aveva sempre rifiutato trasferimenti ad altre squadre. L'identificazione tra il giocatore bergamasco e la maglia granata ed i suoi valori era totale: soffrire e sudare erano verbi che non lo spaventavano, al contrario lo spronavano a dare tutto quello che era in grado di offrire come calciatore, anche oltre i propri limiti tecnici. L'arrivo di Ventura fu una svolta positiva per tutto l'ambiente perchè fu la persona che seppe mettere tutto e tutti nel posto giusto per costruire una stagione finalmente positiva.
Tutti tranne Bianchi.
Il gioco di Ventura prevedeva infatti in attacco la palla sempre costantemente rasoterra con tocchi di prima, triangolazioni veloci e veli. Nessun cross alto per i colpi di testa del capitano, la specialità della casa. Le panchine iniziarono ad aumentare per Bianchi e l'ultimo anno fu vissuto da "sopportato" in casa con lo sgarbo finale della mancata titolarità in Torino-Catania, partita di addio di Rolandinho davanti alla tifoseria granata.
"Mi ha tolto il Toro, l'amore della mia vita calcistica" il j'accuse di Bianchi all'indomani dell'ondata di indignazione dell'Italia per le mancate dimissioni di Ventura da ct. E' brutto schierarsi in un litigio che ha come disputa la dignità perchè, in sè, ogni litigio è già una mezza sconfitta della dignità a priori. Resto umanamente convinto che la posizione di Bianchi sia quella più vicina al mio sentimento di uomo e di tifoso granata. Riconoscenza a Ventura per ciò che ha fatto in termini sportivi ed economici (le famose plusvalenze...), ma il sospetto che all'epoca il suo ego fosse oscurato dalla popolarità ingombrante dell'allora capitano granata non era così infondato alla prova dei fatti. Ci lamentiamo che i calciatori moderni sono mercenari, ma non sappiamo neppure noi riconoscere più quei pochi che oltre al proprio lauto stipendio guardano anche alla parte, ahimè sempre più piccola, sentimentale del gioco del calcio. Bianchi non era un campione e tecnicamente non era il giocatore più adatto agli schemi di Ventura (sebbene mi chiedo quanto Amauri o Larrondo lo fossero, per citare due attaccanti simili a Rolando transitati alla corte di Ventura...), eppure aveva quel quid in più quando vestiva la nostra maglia. In un mondo normale Ventura avrebbe rispettato la figura del capitano portatore dei valori del club e lo avrebbe utilizzato cercando di variare anche il canovaccio tattico per sfruttarne le peculiarità e Bianchi, come effettivamente ha fatto, si sarebbe messo a disposizione dell'allenatore cercando di ampliare il suo bagaglio tecnico/tattico. La sinergia fra i due mondi avrebbe portato vantaggio psicologico e concreto a tutto il Toro. Qualcuno, e la storia ha svelato chi, non ha voluto o saputo fare il passo verso l'altro per mere questioni di puro egocentrismo.
La storia del Toro è fatta di grandi campioni e di grandi uomini, spesso di grandi campioni che erano anche grandi uomini (Mazzola, Pulici, tra i giocatori, Pozzo, Mondonico tra gli allenatori). Se Bianchi non entrerà nella storia di questo club perchè era un grande campione, Ventura non ci entrerà di certo perchè era un grande uomo. Sentire attaccare Bianchi mettendo in dubbio il suo attaccamento a questi colori è un brutto segnale. Significa che anche noi tifosi stiamo perdendo la fede nella nostra maglia e dubitiamo di tutto e di tutti. Con il timore che il prossimo a finire sulla lista dei "maltrattati" sarà Belotti il giorno in cui smetterà di segnare a valanga (e già in questo periodo se ne notano i prodromi...) oppure verrà ceduto. Di personaggi come Ventura, ottimi professionisti, ma maggiormente legati alla propria gloria che a quella della squadra che li ha ingaggiati, ne vedremo passare in quantità. Dei Bianchi e dei Belotti purtroppo ce ne saranno sempre meno, invece. Proviamo almeno a rispettarli per quel qualcosa in più che hanno messo o mettono oltre alla professionalità.
Da tempo opinionista di Toro News, dò voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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