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columnist
Un minuto dopo il fischio finale di Torino-Parma, mezza Italia - in particolare quella compresa tra Parma, Verona e Milano - era già impegnata nello sport italiano tipico di fine stagione: la caccia al biscotto. Li ho sentiti anch'io i commenti di tanti tifosi granata che, all'uscita dello stadio, cercavano di cancellare la delusione del pari con i gialloblu aggrappandosi alla presunta benevolenza del calendario che vedrà il Toro all'ultima giornata andare a far visita ad una Fiorentina sicura quarta e per di più la cui tifoseria è storicamente gemellata con quella granata. Li ho sentiti ed in parte mi ci sono per un momento ritrovato pure io, lo confesso: è umano in quei momenti cullarsi in pensieri "sicuri", farsi forza pensando che il prossimo ostacolo sulla strada è un amico che non vede l'ora di scansarsi senza opporre resistenza. E' facile, ma non è così e non sarà così.
Il gemellaggio tra tifoserie non è influente ai fini del risultato sul campo: che a una grande parte dei tifosi viola non interessi che la loro squadra perda col Toro, non significa che la loro squadra parta già battuta. Sicuramente agevolerà non trovare uno stadio ed un ambiente ostile e sicuramente il gemellaggio spingerà tanti tifosi granata ad affrontare la trasferta per sostenere il Toro in questa importantissima partita con più serenità e tranquillità. Ma tutto questo non ha e non avrà alcun peso sulle dinamiche tecnico-tattiche della partita in sè.
Da questo punto di vista occorre ricordarsi che la maggior parte dei calciatori vive la propria professione come una professione, appunto: sono pagati, devono giocare, seguire le indicazioni tecnico tattiche dell'allenatore e fare al meglio il proprio dovere, qualunque sia l'occasione in cui sono chiamati a farlo. Se Rossi potrà fare tre gol li farà, se Rosati potrà parare tutto quello che può parare lo farà e via dicendo. Su questo non c'è dubbio.
Da parte della Fiorentina non ci sarà nessuno sconto ed è giusto che sia così. L'unico vero alleato su cui potrà contare il Toro sarà la motivazione. I giocatori di Ventura scenderanno in campo sapendo che si giocano un traguardo importante, un pezzo di stagione, un appuntamento con la storia. Quelli della Fiorentina non avranno altra motivazione che il giocarsi una semplice partita come lo sono state tante altre di quelle che hanno preceduto questa. Anzi, per la precisione questa sarà per loro una partita senza nessun significato particolare: poco più di un'amichevole sotto un certo aspetto. E' chiaro che se è vero che nello sport le motivazioni hanno un peso spesso decisivo nelle prestazioni e considerato che il divario tecnico tra le due formazioni c'è - in favore dei viola - ma non è abissale, non occorre essere un bookmaker per prevedere che il Torino avrà più possibilità di vincere la partita.
Quello che ci si aspetta dalla partita di domenica sera è semplicemente il fatto che Glik e compagni abbiano quella determinazione e quella rabbia agonistica per arrivare primi sul pallone, per piazzare la zampata vincente, per tenere la tensione e la concentrazione alta fino al 90' più recupero. Ovvio che per vincere occorrerà fare un gol in più degli avversari, ma le motivazioni superiori proprio in questo dovrebbero fungere da coadiuvante. Altro che biscotto!
Purtroppo in Italia nello sport, ma non solo, esiste un problema culturale che tende a considerare la capacità di impegnarsi proporzionale all'importanza della posta in gioco e questo credo che sia alla base dei risultati "strani" che spesso si vedono a fine stagione nei nostri campionati. In molti altri Paesi, specialmente quelli di cultura anglo-sassone, il problema è meno evidente per un paio di ragioni fondamentali: uno, perchè in quei popoli è radicata più in profondità l'idea che scendere in campo sia un privilegio ed un onore con il quale sdebitarsi dando sempre il 100%, in secondo luogo perchè i ritmi agonistici di quei campionati sono molto più alti per cui gli atleti sono più abituati ad avere il motore che va sempre "a pieni giri" dalla prima all'ultima partita della stagione.
Riempiamo pagine di giornali sportivi e facciamo ore di chiacchiere nelle trasmissioni televisive sul crollo del calcio italiano nel ranking Uefa, quando basta guardare una qualunque partita della Liga, della Premier o della Bundesliga per notare che la filosofia di fondo di quei campionati è molto più semplice della nostra: giocare a calcio puntando a costruire gioco, ad attaccare l'avversario. In una sola parola, ad offendere e non solo a difendere.
In Italia invece viviamo di tatticismo esasperato e di dietrologia permanente, due componenti che soffocano lo spettacolo: e se nel primo caso la colpa è forse anche dei vivai che insegnano questo tipo di calcio, nel secondo bisogna puntare il dito su Federazione e Lega, chiara espressioni della politica italiana e degli interessi prioritari dei soliti club potenti che non amano dividere la torta in tante fette.
Pertanto invece di gridare al biscotto a Firenze, si faccia un'analisi seria della situazione globale del calcio italiano prima di scagliare la prima pietra. E poi che il Toro faccia il Toro in modo tale da mettere a tacere tutte le malelingue e da godersi al massimo la festa.
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