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Bruno Peres e Torino, quando il calcio non ha mezze misure

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Il Granata della Porta Accanto/ Dall'ombra del taglio a potenziale top player: giudizi agli antipodi sintomo di mancanza di equilibrio nelle valutazioni
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Se fossimo in America la storia che sta vivendo il terzino brasiliano Bruno Peres sarebbe una delle tante nelle quali un perfetto sconosciuto sale alle luci della ribalta: un copione già visto in tanti film hollywoodiani, il classico "from zero to hero" (più o meno traducibile in "dalle stalle alle stelle"), espressione molto in voga dall'altro lato dell'oceano dove lo sport è spesso sinonimo di spettacolo e certe situazioni esaltano la realizzazione del mitico sogno americano. Ma siccome siamo in Italia dove c'è meno prosopopea, la "strana" storia di questo ragazzo brasiliano non fa altro che confermare un sospetto che da troppo tempo avevamo: nel calcio non esiste equilibrio nelle valutazioni.

Il mercato sudamericano del Torino, novità assoluta dell'era Cairo, ha portato in dote un venezuelano, Martinez, un argentino, Sanchez Mino e appunto questo eclettico brasiliano prelevato dal club che vide compiere le gesta del mitico Pelè, il Santos. Il suo arrivo a Torino doveva risolvere il problema del terzino sinistro, ma una delle prime contraddizioni fu proprio scoprire che in realtà Bruno Peres è un terzino destro che, all'occorrenza, può giocare anche senza problemi sulla fascia sinistra. Inoltre il suo status di extracomunitario, unito alla situazione nebulosa del passaporto comunitario di Sanchez Mino, fece sì che il Torino non potè ufficializzare immediatamente il suo acquisto in attesa di liberare un posto nel roster dei giocatori non comunitari. In breve tempo il brasiliano divenne un po' l'oggetto misterioso del ritiro della squadra di Ventura: un fastidio ai tendini lo costrinse addirittura a tornare a Torino per curarsi e una ridda di voci iniziò a diffondersi su di una presunta bocciatura da parte del mister (sempre smentite su queste colonne).

Tutti sappiamo come è finita la storia: all'ultimo giorno di mercato il Torino gira il montenegrino Vesovic al Rijeka in modo tale da riuscire finalmente ad inserire ufficialmente in rosa il giovane brasiliano. Nello scetticismo generale dovuto più ai contorni della vicenda (non ultima l'esclusione dalla lista Uefa per l'Europa League) che a reali riscontri del campo, Bruno Peres inizia sul serio la sua avventura italiana. Nella sconfitta interna col Verona, Ventura lo fa esordire nel finale e il brasiliano si procura il penalty del possibile pareggio. A Cagliari gli viene data una maglia da titolare e, come un novello Forrest Gump, il terzino comincia a correre e non si ferma più: imprendibile per i difensori sardi e ottimo anche in fase di chiusura difensiva, anche contro la Viola Bruno Peres bissa la buona prestazione di Cagliari. E il mondo si accorge di lui. Titoloni sui giornali, elogi a destra e sinistra, dopo appena due partite sembra nata una stella.

E' così? Evidentemente è difficile rispondere a questa domanda. Chi lo vide in amichevole a Cuneo lo definì impacciato e poco in palla, chi lo ha visto domenica all'Olimpico è arrivato a paragonarlo a Maicon. Due sono le cose da considerare: la prima è legata al giocatore in sè, alle sue qualità tecniche, alla sua determinazione, alla sua maturità, la seconda è legata all'ambiente in cui si esprime, quindi al contesto tattico ed emotivo della squadra, allo spogliatoio, al tipo di calcio praticato e alla solidità della società per cui è tesserato. Sotto il primo aspetto Bruno Peres sembra essere il profilo giusto per età (non troppo vecchio, ma nemmeno troppo giovane per provare l'avventura italiana), per doti tecniche e temperamento. In questo sono da elogiare Zavagno e la sua rete di osservatori che lo hanno "scoperto" e Petrachi che lo ha preso, visto e considerato che comprare in Sudamerica non è propriamente una passeggiata... Sotto l'altro aspetto, il Torino come società, la presenza di Ventura col suo modulo che prevede terzini con compiti anche molto offensivi e una squadra che più o meno ha già una sua ossatura definita, possono essere tutti elementi che potrebbero aiutare Bruno Peres a far emergere il proprio talento e la propria completezza tipica del terzino moderno.

Ciò che resta, però, di questi dieci giorni che hanno fatto scoprire al mondo granata, e anche al resto del calcio italiano, Bruno Peres, è la sensazione netta che non esista, ed anzi si rifugga volontariamente, ogni tentativo di assegnare giudizi ponderati ed equilibrati sui singoli giocatori e sulle squadre in generale. Che un certo sensazionalismo possa essere il pepe del giornalismo sportivo ci può stare, che però questo si trasformi in schizofrenia collettiva per cui un giorno sei un campione ed un altro un brocco o una settimana sei da Champions e la seguente da serie B, molto meno.

Se Bruno Peres a fine campionato sarà il nostro "nuovo Darmian", ne saremo tutti contenti, ma se anche non lo diventasse bisognerebbe almeno evitare il classico atteggiamento italiano che, al contrario dello stile americano, è più morbosamente stimolato dalla parabola inversa, quella "dalle stelle alle stalle". In fondo non è detto che automaticamente se non si è "hero" si debba per forza essere "zero": ci sono tante sfumature nel mezzo e un po' di buon senso può aiutarci ad utilizzarle tutte.

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